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Dall’ideologia al paradiso in terra, passando per la disinformazione Cari amici, ideologia è una parola nata in Francia nel XVIII secolo in ambiente sensista e illuminista, per indicare la scienza che doveva occuparsi della formazione dei pensieri. Nei suoi due secoli di vita il termine ha cambiato molti significati e valutazioni, diventando con Marx e Engels la “falsa coscienza” dei filosofi raccontati come imbroglioni perché in disaccordo con il socialismo “scientifico” (“L’ideologia tedesca”), poi negli anni Venti sempre in ambito comunista è diventata l’espressione positiva della coscienza di classe del proletariato, infine ne è stata proclamata la morte, notizia per dirla con Mark Twain, un tantino esagerata. Nel linguaggio corrente oggi la si intende, per usare le parole della Treccani “in senso spreg."soprattutto nella polemica politica, complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche, cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale.” Contrariamente a quel che proclamavano alcuni, fino a pochi anni fa, le ideologie non sono affatto finite. Semplicemente nel nostro tempo hanno perso la rigidità e la pretesa sistematica di un tempo. Mentre comunismo e fascismo pretendevano di fondarsi su scienze (naturalmente bizzarre ma tragiche caricature della scienza vera come il “materialismo dialettico” e la "scienza della razza”) oggi l’ideologia è piuttosto sentimentale, finge di essere etica, ma continua ad essere allergica al contatto coi fatti. Anzi cerca di eliminare i fatti che la contrastano, o almeno chi li racconta. In questo non è diversa dal fascismo e dal comunismo, ma anche dalle religioni politiche.
L’ideologia contemporanea, come dicevo è sentimentale e non “scientifica”, locale senza ambizioni universali. E’ fondata sull’odio di sé maturato dall’Occidente (e purtroppo in particolare dal suo settore più colto e professionalizzato nel giornalismo, nella politica, nella scuola, nella religione e nella giustizia. Vi faccio rapidamente un paio di esempi: il primo sono le statue. Sapete tutti che in America c’è un’epidemia di abbattimenti di statue di generali del Sud nella guerra civile di quasi centosessant’anni fa. Un nome è Lee, per esempio. A parte il fatto che nessuno ha esaminato la posizione personale del generale sudista, che probabilmente non pensava di combattere in difesa dello schiavismo ma della libertà degli stati, oggetto di un progetto di centralizzazione incostituzionale, ha senso modificare i ricordi storici consolidati a seconda degli umori politici del momento?. In America lo stanno facendo, prendendosela con Cristoforo Colombo, colpevole di aver scoperto (dal punto di vista europeo) l’America, con conseguenza terribili per gli indigeni, ma certo non attribuibili a lui, con Franklin, Washington e Jefferon, padri della libertà americana ma possessori di schiavi. Altri se la pigliano con Gandhi, che in gioventù avrebbe detto che gli indiani erano meglio dei sudafricani neri. Vogliamo noi abbattere le statue e cambiare i nomi delle strade a Giulio Cesare, Augusto, Garibaldi, a tutti i papi, i re, i duchi e i signori delle varie città? Non si sono certo comportati meglio di Colombo, almeno dal nostro punto di vista. Ma una volta che facciamo il processo alla storia ed eliminati tutti i vincitori, che cosa ci resta? Siamo sicuri che i Sioux fossero più morali di Colombo, salvo nella favola di Pocahontas? E che Franceschiello era meglio di Vittorio Emanuele? Ma soprattutto ha senso ragionare in questa maniera? Trasformare la storia in una sorta di casa del Grande Fratello in cui si eliminano gli sgraditi? E che gli sgraditi (agli occhi della stampa dei politici dei giornalisti ecc. non certo della maggioranza dei cittadini) siano sempre quelli su cui si fonda la nostra cultura, non suggerirà un carattere suicida di questa ideologia? Altro esempio, gli stupri oggi in Europa. Qualcuno (http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_settembre_01/dossier-viminale-2438-denunciati-stupro-o-abusi-cd55498e-8e88-11e7-ae8d-f3af6c904a41.shtml ) ci annuncia trionfalmente che dei 2438 stupri denunciati l’anno scorso, “solo” 904 siano opera di stranieri e 1534 di italiani. Cioè sono stranieri circa il 40% degli stupri di fronte all’8% della popolazione. “Solo”? Ma i giornali, i politici, i preti cercano in tutti i modi di occultare questo rapporto di causa ed effetto. Non solo non ne traggono la lezione che i clandestini non sono i “buoni selvaggi” di Rousseau, perché preferiscono affidarsi all’ideologia piuttosto che alla realtà, ma cercano di impedire a me e a voi di farlo, nascondendo, mistificando, negando, rinviando la pubblicazione delle notizie (e non solo sugli stupri, anche su tutto il resto, attentati terroristici in testa). Certo, l’utopia verso cui vorrebbero portarci i burocrati europei si presenta un po’ diverso da quello di Hitler e di Stalin, se non altro perché il processo per arrivarci è cosparso di molta vaselina. Ma poi non credo che sarebbe davvero così differente, lager e gulag inclusi al momento buono. Opinioni mie, naturalmente, che non posso dimostrare. E che sarebbero cancellate dal regime della correttezza politica, se potesse. Ma preferirei evitare la prova dei fatti, per questa volta.
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