Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/09/2017, a pag.16, con il titolo " In Nord Corea si rischia un conflitto su larga scala " l'analisi di Francesco Semprini
Chi minaccia ? Chi si difende?
Persino Bernard-Henri Lévy, che è tutt'altro che tenero nei confronti di Trump, non ha potuto fare a meno di criticare la posizione che quasi tutti i media internazionali più importanti stanno tenendo nei confronti della Corea del Nord, visto che addossano la responsabilità di quanto sta accadendo non al dittatore coreano, ma al presidente americano, come se fosse Trump a minacciare la Corea. Ora è la volta di Putin, che accomuna in questa minaccia nucleare Kim Jong-un e Trump, chiedendo "un dialogo che coinvolga tutte le parti senza precondizioni " mentre la Corea del Nord lancia missili sopra il Giappone. Il dittatore-clown va fermato subito, con le buone pare impossibile, si provi con le cattive. Ma di analisi che tengano conto della realtà non troviamo traccia, i nostri 'esperti' tacciono, sono troppo occupati a criticare Trump. La cronaca di Semprini è a 360 gradi, è vero, ed è una cronaca. Aspettiamo però le opinioni degli 'esperti', quelli che ci spiegano sempre "dopo" che il fattaccio è avvenuto, prima che un missile nucleare cada sul Giappone o sugli Usa.
Francesco Semprini
New York- Corea del Nord? Siamo sull’orlo di un conflitto di vasta scala. È lapidario (come sempre) Vladimir Putin nella sua analisi sulla crisi della penisola coreana. Il capo del Cremlino ne parla in un articolo di prossima pubblicazione nei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) in vista del vertice di Xiamen. Per la Russia l’idea che i programmi missilistico-nucleari nordcoreani possano essere bloccati dalla sola pressione su Pyongyang è un errore e non ha futuro: «I problemi della regione devono essere affrontati attraverso un dialogo che coinvolga tutte le parti senza precondizioni». Il presidente russo quindi avverte che la situazione si «è aggravata» ed è sull’orlo di «un conflitto di vasta scala». «Le provocazioni, la pressione e la retorica militarista e insultante sono un vicolo cieco», aggiunge ricordando che «Russia e Cina hanno creato una tabella di marcia per un accordo volto a promuovere una pace e una sicurezza duratura». La posizione del Cremlino è chiara, come del resto era emerso in occasione dell’ultima riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la condanna unanime dei 15, ma moniti precisi di Mosca e Pechino su ogni azione di forza. Di altro parere è Donald Trump, che da una parte non esclude l’opzione militare, dall’altra spinge sull’isolamento di Pyongyang, anche se ad andarci di mezzo è un «presidente-amico» come Al-Sisi. Ci sono - confermano fonti Onu e africane - i legami (e i traffici) tra Egitto e Corea del Nord, dietro il congelamento dei 300 milioni di aiuti militari ed economici deciso da Washington una settimana fa nei confronti del Cairo. La motivazione ufficiale era la «preoccupazione» per i mancati passi in avanti compiuti dal governo egiziano in tema di diritti umani. Una spiegazione che una certa curiosità l’aveva creata visto che l’argomento non è in cima all’agenda di Trump, e soprattutto non è mai stato trattato dal tycoon e Sisi. Men che meno durante il bilaterale di Washington al quale il presidente egiziano fu accolto con tutti gli onori del caso. In cima all’agenda (e alle preoccupazioni) di Trump c’è invece Kim Jong-un, i suoi piani atomici e le sue provocazioni balistiche. I legami tra il Cairo e Pyongyang non sono una novità, ma Sisi nel darne attuazione ha sottovalutato quanto Trump sia sensibile all’argomento, in particolare ora. Così prima è arrivata una telefonata, meno di due mesi fa, in cui The Donald ha ammonito il collega, per passare poi ai fatti. La relazione tra i due Paesi risale alla Guerra Fredda: i nordcoreani hanno addestrato i piloti egiziani nella conflitto dello Yom Kippur del 1973, il Cairo ha contribuito alla creazione dell’arsenale balistico con cui il giovane leader effettua oggi suoi test, e l’ex presidente Hosni Mubarak ha visitato Pyongyang quattro volte. Aziende egiziane, come Orascom del miliardario Naguib Sawiris, hanno inoltre lavorato col regime. È vero che lo scorso anno l’Egitto aveva intercettato un cargo nordcoreano con 30 mila Rpg (lanciarazzi) a bordo, ma allo stesso tempo ha continuato i suoi traffici col Paese asiatico. Aiutandolo a eludere le sanzioni imposte dall’Onu, e a ottenere componenti per dotarsi missili Scud. Un precedente rapporto Onu ha rivelato che «l’Egitto era un sito chiave per società nordcoreane che trafficavano in armamenti». Il Cairo non è il solo a fare affari col regime, ma è senza dubbio l’unico tra i Paesi che ricevono enormi aiuti dagli Usa, per la sua funzione di bastione antiterrorismo tra Africa del Nord e Medio Oriente. Troppo anche per un amico come Al-Sisi, così Trump ha deciso di colpire l’Egitto per inviare un messaggio a chiunque violi le sanzioni sullo «Stato canaglia».
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