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Il Foglio Rassegna Stampa
31.08.2017 Il sogno di distruggere lo Stato degli ebrei
Analisi di Antonio Donno

Testata: Il Foglio
Data: 31 agosto 2017
Pagina: 2
Autore: Antonio Donno
Titolo: «Distruggere Israele: il folle sogno che l’élite palestinese non ha mai abbandonato»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/08/2017, a pag. 2, con il titolo "Distruggere Israele: il folle sogno che l’élite palestinese non ha mai abbandonato", l'analisi di Antonio Donno.

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Antonio Donno

 

Benché il piano di spartizione della Palestina proposto dalla Commissione Peel nel 1937 occupi un posto marginale nella storiografia sulla questione della Palestina e sull’insediamento ebraico in quella regione, tuttavia esso deve essere considerato il punto di riferimento indispensabile nella ricostruzione del conflitto arabo-israelo-palestinese. Mentre il movimento sionista accettò, seppur senza entusiasmo, l’attribuzione di un fazzoletto di terra di 5.000 chilometri quadrati, pur di mettere un piede stabile in Palestina, il mondo arabo-palestinese, cui era stato attribuito la gran parte del territorio, rifiutò la spartizione.

Ma questo rifiuto non è presente nel libro di Arturo Marzano, Storia dei sionismi. Lo stato degli ebrei da Herzl a oggi (Carocci); eppure, esso rappresentò il primo dei successivi rifiuti che gli arabi opposero al radicamento di una piccola comunità ebraica indipendente nella regione. Questo ha un significato di estrema importanza nella storia del conflitto: stava a significare il rifiuto totale da parte araba di una presenza ebraica, che non fosse quella di piccole minoranze disperse e sottomesse, come era accaduto sino agli ultimi decenni dell’Ottocento, quando nacque il movimento del sionismo politico di Theodor Herzl. Tale rifiuto aveva origini antiche, di natura religiosa, poiché gli ebrei erano considerati dagli islamici dei sottouomini, e perciò indegni di occupare il suolo islamico della Palestina. Era questo il messaggio che il Gran Mufti, Haj Amin el Husaini, che ebbe proficui contatti con Hitler (argomento che Marzano tralascia), diffondeva tra i suoi seguaci. Così, Marzano omette di considerare il rifiuto arabo del 1937 come figlio di queste concezioni, che non cesseranno di essere al centro del rifiuto arabo sino ai nostri giorni. Arafat ne era il portavoce più importante, nonostante la sua ambiguità nei rapporti del suo movimento con gli attori internazionali. Il libro di Marzano è molto attento nel ricostruire la storia del sionismo, di cui è un noto studioso, per quanto parlare di sionismi sia una forzatura.

L’unico vero sionismo che pose autorevolmente la questione di uno stato ebraico fu il sionismo politico nazionalista fondato da Theodor Herzl e proseguito con straordinaria capacità diplomatica da Chaim Weizmann; gli altri “sionismi” rappresentarono aspetti secondari e quasi sempre ininfluenti sul raggiungimento dell’obiettivo strategico del sionismo politico. Un’eccezione fu rappresentata dal “sionismo religioso” che precedette il sionismo politico di Herzl. Né, tantomeno, ha senso indugiare ancora sul concetto di sionismo come movimento di tipo colonialista. Il colonialismo è un fenomeno storico ben preciso, che ha una sua caratterizzazione politica legata all’espan - sione imperialistica delle grandi potenze (Francia e Gran Bretagna) e al conseguente affermarsi della politica di potenza sia nell’Ottocento sia nel Novecento, a opera di Stati Uniti e Unione sovietica. E’ vero: il movimento sionista usufruì dell’appoggio determinante di Londra (Dichiarazione Balfour), ma non è anche vero che, dopo la fine della Prima guerra mondiale, i leader arabi si appoggiarono alle grandi potenze europee per averne il sostegno dopo il crollo dell’Impero ottomano, come ha dimostrato molto autorevolmente il grande storico Efraim Karsh? Tutto ciò non compare nel libro di Marzano. Il Gran Mufti, dal canto suo, preferì la Germania nazista, che gli sembrava più promettente per i suoi fini.

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I successivi rifiuti (nel 1947, dopo il 1967, nel 2000) sono tutti figli di una stessa idea, che, nonostante le sconfitte e le frustrazioni, restò immutata in tutto il secondo dopoguerra nella testa dei dirigenti palestinesi, un’idea fanaticamente coltivata che ha portato alle tragiche conseguenze per il popolo palestinese che sono sotto gli occhi di tutti. La distruzione dello stato di Israele era ed è il “sogno” del movimento palestinese e il terrorismo il suo strumento principale. Così, quando Marzano, a proposito del fallimento degli accordi di Oslo, sostiene che Arafat non ebbe “la capacità, la volontà e il coraggio […] nel bloccare il terrorismo palestinese”, è completamente fuori strada. Arafat non volle bloccare il terrorismo, perché egli ne era in fondo il capo politico, oltre che un doppiogiochista sul piano internazionale. Arafat fu sempre dell’idea che il movimento palestinese dovesse mirare alla distruzione dello stato di Israele. Non abbandonò mai questo progetto. Il suo sedersi al tavolo delle trattative era solo una finzione scenica. Il risultato di questo madornale errore, perseguito con fanatica determinazione, ha portato alle conseguenze odierne per il suo popolo.

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