Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/08/2017, a pag.9, con il titolo " Iran, la scelta della vice di Rohani 'Basta hijab, indosso il chador " il commento di Rolla Scolari.
L'Iran prosegue sulla via della più totale islamizzazione del paese. La vice del presidente Rohani - che i nostri media continuano a definire 'moderato'- ha deciso di indossare il chador. Una notizia uscita soltanto sulla Stampa. Non ci risultano proteste ufficiali dalle politiche donne negli stati democratici.
Rolla Scolari
Al giornale riformista Shargh la vicepresidente iraniana Laaya Joneidi ha detto di aver scelto d’indossare il chador, il velo islamico che copre capo e corpo, dopo la richiesta di Hassan Rohani. Il leader iraniano, riconfermato alla presidenza con una massiccia vittoria a maggio, fa parte della cosiddetta ala riformista. La sua affiliazione e le promesse fatte in campagna elettorale avevano fatto sperare nell’avvento di un governo con un minimo di presenza femminile. Non è accaduto. Soltanto in seguito all’insorgere di polemiche, Rohani ha scelto tre vice donna. La recente nomina di Joneidi è stata ufficializzata dalla pubblicazione sul sito del governo della sua fotografia, in chador nero. Una differenza rispetto al passato. L’esperta di legge indossava prima foulard sul capo e un cappotto lungo sopra ai pantaloni. I social media sono stati veloci nel mettere a confronto le sue fotografie, prima e dopo la nomina, accusandola di aver rinunciato alla libertà. La Rivoluzione del 1979 In Iran, indossare il velo è un obbligo per le donne dalla Rivoluzione islamica del 1979, ma a Teheran e nelle aree meno conservatrici crescono da anni gli spazi di manovra. I foulard scendono sempre più dal capo lasciando intravedere ciuffi ribelli, il pastrano nero copre sempre meno gli abiti occidentali, e negli ultimi mesi è scoppiato, perfino sui media legati al regime, il dibattito sull’obbligo di indossarlo in automobile. La vettura è uno spazio pubblico o privato? Sempre più donne in auto lasciano cadere i veli sulle spalle. Per questo, migliaia di macchine sono state sequestrate dalla polizia, che si occupa anche di come le donne vestono in pubblico. Polizia e magistratura sono vicine all’ala più conservatrice della politica. «La polizia non può fare qualcosa e dire di farlo perché Dio lo ha detto. Non è affare della polizia», ha spiegato recentemente Rohani. Pochi i ribelli La dicotomia tra cosiddetti riformisti e conservatori dà forma alla politica iraniana. Lo scontro sul velo è, per gli osservatori occidentali, il contenzioso più visibile di una frattura marcata. Il caso della vice-presidente non è infatti il primo. Già nel 1997, sotto la presidenza di Mohammad Khatami, Masoumeh Ebtekar aveva abbandonato il suo «dress code» per uno più islamicamente corretto, come richiesto dalla sua carica politica. Pochi anni dopo, nel 2000, una consigliera alla presidenza per le questioni femminili, Elaheh Koulaii, aveva rifiutato di farlo. Benché le donne siano in Iran maggioranza nelle aule universitarie, ci siano donne nella polizia, nei tribunali, nelle scuole e negli ospedali, per tutto ciò che riguarda il diritto di famiglia, l’eredità, la patria potestà e la libertà d’indossare ciò che si preferisce, la battaglia è ancora lunga. Il fronte della lotta ha trovato un canale di sfogo sui social media. Sono mesi per esempio che donne, ma anche uomini, postano immagini in abiti bianchi, in quelli che su Twitter e Facebook sono chiamati i «mercoledì bianchi»: una protesta virtuale contro il velo. Una vittoria per le iraniane contro il velo è da poco arrivata inaspettata da un evento triste. Alla morte dell’iraniana Maryam Mirzakhani, prima donna al mondo a vincere la medaglia Fields, una specie di Nobel per la matematica, tutti i giornali nazionali, perfino l’Hamshahri, vicino al regime, hanno pubblicato la sua immagine in prima pagina. Con il capo scoperto.
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