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La Repubblica Rassegna Stampa
25.08.2017 La Repubblica UNO, i fatti mischiati alle opinioni: è giornalismo serio?
La cronaca avvelenata di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 25 agosto 2017
Pagina: 20
Autore: Federico Rampini
Titolo: «La prima missione tra i sospetti il viaggio mediorientale di Kushner»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/08/2017, a pag.20, con il titolo "La prima missione tra i sospetti il viaggio mediorientale di Kushner" il pezzo di Federico Rampini

Il commento di Federico Rampini-  esempio di giornalismo che andrebbe catalogato fra le opinioni , mentre invece Rampini avvelena con le sue valutazioni quella che dovrebbe essere una cronaca-  è putroppo la riconferma del giornalismo ideologico di Rep, un giornale che ha la pretesa essere 'generalista super partes' quando invece è smaccatamente il massimo campione in Italia di un giornalismo malato di ideologia.
Oggi, con gli articoli di Gigi Riva e Alberto Stabile - che riprendiamo in altra pagina - è un giorno di lutto per l'informazione su Israele e il Medio Oriente
 

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Federico Rampini

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK. Il Primo Genero affronta il suo battesimo di fuoco. Jared Kushner, il 36enne marito di Ivanka Trump che l’ha convertita all’ebraismo ortodosso, è stato incaricato dal suocero presidente di fare la pace tra israeliani e palestinesi (nientemeno). Già che c’era il suocero presidente gli ha dato – tra i numerosi incarichi – un ruolo di consigliere speciale su tutto il Medio Oriente, Golfo Persico incluso. Il viaggio di Kushner, per quanto difficile come dimostra un incidente diplomatico con l’Egitto, lo allontana da un’atmosfera pesante in patria. Una vittima collaterale del caso Charlottesville è il rapporto fra The Donald e la comunità degli ebrei americani. Il mondo “jewish”, si sa, è a maggioranza progressista e l’8 novembre ha votato democratico. Però c’è una minoranza di ebrei conservatori, ben rappresentati da alcune nomine alla Casa Bianca. Oltre a Kushner, ci sono il segretario al Tesoro Steve Mnuchin, e il capo dei consiglieri economici Gary Cohn, due ex della banca Goldman Sachs. Tutti e tre investiti da polemiche e appelli alle dimissioni. Perché di certo la comunità ebraica non tollera indulgenze verso i neo-nazisti, come le frasi equivoche con cui Trump commentò gli scontri di Charlottesville. L’ultimo episodio risale a ieri: quattro associazioni di rabbini americani hanno cancellato per protesta il tradizionale appuntamento con il presidente che si svolgeva ogni anno alla vigilia delle festività di Rosh Hashana e Yom Kippur. Perfino l’ambasciatore di Trump in Israele, David Friedman, ha espresso il suo disagio dopo i commenti indulgenti del presidente sull’estrema destra. Altri sono i problemi che Kushner affronta in Medio Oriente. Il suo viaggio è cominciato all’insegna di un incidente diplomatico al Cairo dove Kushner è riuscito a vedere il presidente al-Sisi, ma un suo successivo incontro col ministro degli Esteri è stato cancellato all’ultimo momento. La ragione: l’irritazione dell’Egitto perché il Dipartimento di Stato Usa ha sospeso aiuti bilaterali per 300 milioni di dollari, in segno di protesta contro gli abusi dei diritti umani e anche come sanzione per i legami perduranti fra il Cairo e la Corea del Nord. La dietrologia insinua che il Dipartimento avrebbe deciso la tempistica della sanzione proprio per mettere in imbarazzo Kushner. Tutto è possibile in questa Amministrazione; il Dipartimento di Stato è ancora pieno di “obamiani”; e il presunto capo della diplomazia Rex Tillerson si sta rivelando una figura evanescente. Lo stesso Kushner poi si è fatto del male da solo. In una chiacchierata (che doveva rimanere off-the-record) con alcuni funzionari del Congresso, prima di partire in missione lui ha espresso scetticismo sul compito affidatogli. «Forse non c’è soluzione» al conflitto israelo-palestinese, ha confidato. Ha aggiunto che ci proverà solo perché «è una delle cose che il presidente mi ha chiesto di fare». Non è proprio una dimostrazione di fiducia. Questo accresce i dubbi che già circondano la missione. Kushner oltre alla giovane età è completamente digiuno di politica estera. Nella sua breve esperienza professionale ha lavorato nell’azienda paterna, un altro palazzinaro newyorchese, e in un fondo d’investimento immobiliare in partnership con la Goldman Sachs. Lo accompagnano in Medio Oriente due esponenti del “cerchio magico”, intimi dell’entourage trumpiano e altrettanto inesperti di lui in politica estera: Jason Greenblatt che faceva l’avvocato d’affari per la ditta Trump e Dina Powell, di origine egiziana, che viene anche lei dalla Goldman Sachs ed è stata catapultata dentro il National Security Council da pochi mesi. La missione prevede anche incontri con esponenti dell’Arabia saudita, degli Emirati, del Qatar e della Giordania. Segue quel viaggio di Trump a maggio in cui furono chiare due cose: da una parte la forte intesa con Benjamin Netanyahu, dall’altra un investimento politico sull’Arabia saudita come vero perno della politica mediorientale di questa Amministrazione. Dai palestinesi ieri è arrivato un messaggio di sfiducia: «Incontrare Kushner sarà una perdita di tempo».

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