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Il Foglio Rassegna Stampa
25.08.2017 Siria: preda dell'Iran
Analisi di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 25 agosto 2017
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Nemico troppo vicino»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 25/08/2017, a pag.1 con il titolo "Nemico troppo vicino" l'analisi di Daniele Raineri

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Daniele Raineri

Roma. Un rapporto segreto dell’intelli - gence israeliana dice che per sradicare lo Stato islamico dalla Siria la Russia ha bisogno di ancora più appoggio a terra da parte delle forze iraniane (ci si riferisce qui alla porzione di Siria dove la Russia combatte contro lo Stato islamico, quindi per ora soltanto la parte orientale della regione di Homs). E’ un rapporto che è stato citato mercoledì dal sito Intelligenceonline, specializzato in questi temi. Come si sa, la Russia esercita la sua forza militare in Siria soprattutto grazie a una campagna aerea e lascia che a combattere a terra siano soprattutto le milizie messe assieme dall’Iran. In questo modo, grazie a un impegno minimale sul terreno, per di più spesso affidato a contractor, il governo russo può tenere basso il numero delle perdite – che non guasta anche perché il 2018 è anno di elezioni a Mosca. Tuttavia, questa strategia ha un punto debole: le guerre non si vincono soltanto dall’alto e la Russia dipende dall’appoggio di altri. E’ per questo che per pattugliare zone già messe in sicurezza sta usando battaglioni ceceni messi a disposizione dall’alleato Ramzan Kadyrov, ed è per questo che il grosso dei combattimenti di prima linea cade sulle spalle di Hezbollah e delle altre milizie filoiraniane – che sono ferocemente anti Israele. Dopo avere messo in sicurezza il governo del presidente siriano Bashar el Assad, scampato a sei anni di guerra civile, i gruppi filoiraniani potrebbero cominciare a minacciare le città israeliane da vicino, soprattutto sulle alture del Golan, da cui passa una precaria linea di confine e da cui si domina il paese vicino. Israele vede materializzarsi questo scenario minaccioso che dieci giorni fa il primo ministro Benjamin Netanyahu ha riassunto con la formula “Isis out, Iran in” e continua a lanciare segnali d’allarme – ma è una campagna diplomatica e di opinione che è ancora molto trascurata, forse perché l’attenzio - ne è ancora assorbita dalla lotta allo Stato islamico in altre parti della Siria. La settimana scorsa una delegazione di alto livello formata dal direttore del Mossad, Yossi Cohen, e da Hertzi Halevi, il capo dell’intel - ligence militare israeliana, era a Washington per parlare con gli omologhi americani. Ma i due non hanno ricevuto alcuna rassicurazione, la priorità americana per ora è finire lo Stato islamico e non c’è un piano per occuparsi della presenza iraniana (a dispetto del fatto che questa sulla carta sia una delle Amministrazioni americane più dure contro il governo di Teheran). Due giorni fa Cohen e Netanyahu hanno fatto lo stesso pellegrinaggio a Sochi, residenza estiva del presidente russo Vladimir Putin, ma non hanno ricevuto alcuna rassicurazione, almeno pubblica, come previsto dal rapporto segreto che parla della dipendenza russa dall’Iran. Alla fine dell’incontro, il primo ministro israeliano ha detto ai giornalisti che potrebbe decidere di agire unilateralmente per limitare la presenza dell’Iran in Siria, se fossero violate “le sue linee rosse”. Israele ha sempre mantenuto una postura di neutralità a proposito della guerra civile che si combatte al di là del confine in Siria. Ma questa maschera di neutralità sta scivolando. Il capo dell’aviazione dieci giorni fa ha detto che i raid israeliani “non ufficiali” in Siria per bloccare i trasferimenti di armi tra iraniani, siriani e Hezbollah sono stati un centinaio, che è una cifra doppia rispetto a quella creduta finora. Il mese scorso un pezzo del New York Times ha rivelato che anche Netanyahu aveva chiesto a Obama di aiutare i ribelli siriani nel 2012, quando ancora i gruppi armati anti Assad non erano dominati dagli islamisti e dai terroristi. America e Russia, i destinatari delle richieste di Israele, per ora sono indifferenti e impegnati a non incrociarsi. Ieri un pezzo di Reuters scritto dalla base di al Udaid, in Qatar, da dove partono i voli americani che vanno a bombardare in Siria, descriveva la linea telefonica tra russi e americani per evitare che i rispettivi piloti colpiscano le forze degli altri. Circa dieci-dodici telefonate al giorno, fatte da due specialisti americani madrelingua russi, che a volte sono molto tese. Per esempio a giugno, quando gli americani hanno abbattuto un jet Su-22 dell’aviazione siriana che stava per bombardare forze alleate degli americani. In quel frangente, due caccia russi stavano volando sopra la scena dell’abbattimento in corso e sopra di loro ancora più alto volava un F-22 americano invisibile ai radar.

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