Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/08/2017, a pag.9, due servizi utili per capire come l'Occidente continua a non capire la minaccia del terrorismo islamico. Nel primo, uno dei terroristi dichiara di essere pentito e viene creduto, di quattro due solo due restano in carcere.
Nel secondo, Channel4, la tv privata più importante in GB, ha trasmesso un serial sui 'foreign fighters' per far capire anche loro 'hanno un'anima'. Capire le ragioni dell'altro è una pratica civile, ma quando l'altro è un terrorista assassino il cui mestiere è uccidere, il problema della sua anima passa all'utimo posto.
Carlo Bonini: " Il pentito di Ripoll davanti al giudice"
Carlo Bonini
Barcellona- Il sipario dell'inchiesta sulla strage della Rambla si chiude con le paroledello stesso uomoche lo aveva alzato. Il ragazzo ventuenne originario di Melilla che, come ave raccontato Repubblica lunedì scorso, aveva consegnato ai Mossos d’Esquadra le chiavi necessarie ad aprire in una manciata di ore il segreto della cellula, illuminare il nome del suo ignoto ring-leader (l’Imam Abdel Baki Essati), svelarne i piani. Alle 9 del mattino, Mohamed Houli Chemlal, l’unico sopravvissuto all’esplosione del laboratorio- santa Barbara di Alcanar, vestito del pigiama che indossa nel reparto di detenzione dell’ospedale in cui è ricoverato dalla notte di mercoledì della scorsa settimana, varca la soglia dell’Audiencia Nacional di Madrid per formalizzare il suo racconto nell’interrogatorio di convalida dell’arresto di fronte al giudice istruttore Fernando Andreu. Con lui, sono gli altri tre detenuti – Driss Oukabir, Salh El Karib, Mohammed Aallaa – ma sono le sue le parole che contano in una deposizione che durerà un’ora e venti minuti. L’IMAM DOVEVA IMMOLARSI
Chemlal ricostruisce l’abborracciata preparazione della strage nel laboratorio di Alcanar. Le 120 bombole di gas butano acquistate con il denaro frutto della vendita di gioielli e la preparazione del TATP, il perossido di acetone, la “Madre di Satana”, utilizzando federe di cuscino. L’Imam – dice ancora e per quanto riferiscono fonti giudiziarie – “intendeva immolarsi”. In un piano che non prevedeva alternative a quello originario. Almeno fino alla notte di mercoledì 16 agosto quando l’ennesima imperizia nel tentativo di confezionare l’esplosivo non manda per aria tutto. «Al momento dell’esplosione – aggiunge il ragazzo – nella casa eravamo in sei». Due moriranno (uno è l’Imam), lui resterà ferito, altri tre usciranno illesi.
“COLPIRE DI NOTTE I MONUMENTI”
Il piano A della cellula – ma meglio sarebbe dire l’unico piano esistente - «prevedeva di colpire simultaneamente diversi monumenti e chiese simbolo di Barcellona ». Anche e non solo la Sagrada Familia, prosegue Chemlal. E l’azione «doveva essere condotta di notte per ridurre il numero delle vittime». Utilizzando i tre furgoni affittati. Ovvero penetrando direttamente nei luoghi con esplosivo a mano. Poi, però, tutto cambia. L’esplosione di Alcanar priva la cellula di 3 dei suoi 12 elementi. E la scelta “disperata”, nel campionario dell’orrore proposto dai manuali della propaganda del Califfato, cade appunto sulla strage con furgoni e armi bianche. Perché i cinturoni esplosivi che la cellula ha costruito non si sa di che esplosivo riempirli, visto che tutto è saltato in aria. “PENSAVO A UN TRASLOCO”
Va diversamente con le deposizioni di Driss Oukabir, Salh El Karib, Mohammed Aallaa. Il primo ha affittato uno dei furgoni della cellula e decide di cambiare versione rispetto a quella fornita giovedì scorso, quando viene arrestato. Aveva raccontato che il fratello, Moussa, gli aveva rubato i documenti e li aveva utilizzati per il noleggio. Ora, al contrario, ammette: «È vero. Ho affittato io uno dei furgoni. Ma pensavo servisse per un trasloco» in un appartamento dove, a suo dire, si sarebbero dovuti trasferire tre dei membri della cellula. Salh El Karib, proprietario del call center di Ripoll da cui vennero acquistati i biglietti aerei con cui Driss viaggiò in Marocco, ha invece una spiegazione convincente. Ammette di aver acquistato quei biglietti con la sua carta di credito. Ma per lucrarne una commissione. Anche Aallaa si dice estraneo. L’Audi A3 di cui era proprietario è quella che trasportava i cinque della cellula uccisi a Cambrils (tra cui suo fratello) e che aveva viaggiato in Francia due volte prima della strage (a Parigi e verso Perpignan). Dice: «La macchina era mia, ma non ero io che la usavo».
UNO SCARCERATO E UN FERMO PROLUNGATO
A sera, dei quattro detenuti, il giudice istruttore decreta che entrino solo in due nel carcere di Soto del Real, a Madrid: Driss Oukabir e Mohamed Chemlal. Dispone la libertà condizionale “per carenza di indizi” per Aallaa. Prolunga di 72 ore il fermo di Salh El Karib perché resti a disposizione di chiarimenti al giudice istruttore. In Marocco viene arrestato il cugino dei fratelli Oukabir per “incitamento al terrorismo”. La storia della cellula “di Ripoll”, ora, è forse davvero finita.
Giampaolo Cadalanu: " Polemiva per la fiction dove l'Isis ha un'anima"
Giampaolo Cadalanu
DAL NOSTRO INVIATO LONDRA. Sotto la kefiah, dietro il niqab, al di là del kalashnikov, c’è una parvenza di umanità? O i miliziani dell’Isis sono solo belve travestite? La risposta di Peter Kosmisky, regista della fiction “The State” su Channel4, è che sì, anche i fondamentalisti islamici hanno un’anima, e possono persino conquistare la simpatia dei telespettatori. Quattro puntate trasmesse di seguito con i disagi inconfessati, le delusioni tenute dentro a forza, i momenti di esaltazione: è la storia di quattro britannici che abbandonano la patria per raggiungere Raqqa, in Siria, e mettere la propria esistenza al servizio di un sogno, lo Stato islamico dove regni la giustizia di Allah, costruita proprio con l’intento di capire che cosa spinge giovani europei verso decisioni così radicali. La memoria spazzata via sull’hard disc del computer, la sim card del telefonino buttata da un ponte, la partenza nascosta nella notte, persino la rassegnazione a dare il passaporto alle fiamme e a cancellare dal telefonino persino le ultime foto della madre, perché non è velata: i passaggi dell’educazione alla jihad sono faticosi e disagevoli, le illusioni durano poco. I quattro scoprono in fretta che il dogma è più forte persino delle esigenze di sopravvivenza, perché tanto la vita terrena conta poco, rispetto alla promessa del Paradiso. Il regista e il suo staff hanno lavorato per un anno e mezzo per documentarsi, e il risultato è convincente, tanto da guadagnarsi il sostegno di esperti del King’s College come Charlie Winter, studioso dei processi di radicalizzazione. Le esigenze drammaturgiche e il talento di Kosminsky hanno avuto il risultato inevitabile di sviluppare empatia con i protagonisti. Difficile per gli spettatori non restare coinvolti in una scena come quella del bombardamento dell’ospedale pediatrico, o in quelle dei dubbi, risolti con una logica di gruppo, a esaltazione dello spirito di comunità che il regista suggerisce molto raro in patria. Ma proprio questo approccio “comprensivo” è piaciuto poco alla stampa popolare del Regno Unito. La figlia di una vittima dell’Isis ha scritto al Daily Mail per chiedere che la trasmissione fosse rinviata, e un tabloid ha paragonato la serie a «un film di reclutamento nazista degli anni ‘30». Ma anche allora, forse, comprendere i motivi degli esseri umani più deboli e influenzabili non sarebbe stato inutile.
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