Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/08/2017, a pag.35, con il titolo "Tutto su mio padre bugiardo e dongiovanni" la recensione di Susanna Nirenstein al libro "Lui era mio padre" (Edizioni Clichy) di Joann Sfar
Susanna Nirenstein
Joann Sfar
Joann Sfar è un noto disegnatore francese di gatti filosofi e parlanti che si fanno ebrei per compiacere il padrone rabbino, un rebbe algerino di inizio Novecento a sua volta molto sui generis, dubbioso, quasi miscredente, come minimo, poetico senz'altro mentre è immerso nelle sue avventure teologiche. Nato nel 1971 a Nizza, i suoi fumetti (non solo la serie Il gatto del rabbino, appunto, da cui è stato tratto un film d'animazione, ma quella de Il piccolo vampiro e Troll, più decine e decine d'altri titoli ) hanno vinto innumerevoli premi — il film sul cantautore Serge Gainsbourg anche il celebre César — e comunque il nostro prolifico artista ha fatto lo sceneggiatore, il documentarista, il regista, e ha anche scritto dei romanzi. Come questo, Lui era mio padre (Edizioni Clichy), toccante, dissacratorio, triste e comico al tempo stesso. D'altra parte aveva a che fare con un papà che ora gli muore di malattia tra le braccia, ma era nato nel 1933, l'anno in cui zio Adolf è diventato cancelliere, in cui è stato scoperto il mostro di Loch Ness ed è uscito al cinema King Kong, insomma, non un uomo "da niente". Il babbo di Joann, André Sfar, era veramente un tipo speciale, solare, travolgente, imprevedibile, con «un fascino da bastardo, una roba alla Alain Delon», un ebreo sefardita immigrato a Nizza, avvocato rinomato ( prima di puttane e malfattori vari, poi per fortuna di banche — ma anche grande accusatore nei processi contro negazionisti e neonazisti). Sua moglie, una cantante di 20 anni più giovane, morì improvvisamente durante la notte quando Joann aveva 3 anni e mezzo: finché, due anni dopo, il nonno materno ( un combattente per la libertà e un Don Giovanni seriale ) non gli disse la verità il bambino credeva ancora fosse partita in viaggio. Suo padre, mai perdonato per tanti anni, non aveva avuto il coraggio di parlare: ma ora che se n'è andato Joann capisce quanto fosse lui, rimasto solo a tirar su il piccolo figlio, ad aver bisogno di rassicurazione. È un bel momento. Una morte strana e subitanea, ed una normale, banale, in ospedale, da vecchio. Eppure così più difficile, più sofferta, un pozzo di segreti, tensioni, confessioni. Joann diventa quasi cieco nei mesi successivi, piange troppe lacrime corrosive: è per questo che scrive il romanzo, a caratteri cubitali, disegnare non gli riesce. Anche il suo matrimonio felice è andato a monte: per una fidanzata che invece non dura e non viene nemmeno al funerale. Sfar rinvanga, mescola, guarda i ricordi zampillare come in una pentola in ebollizione. Prega per il piacere di pregare, per la calma che gli dà, ma niente sinagoga (e Dio ) come invece gli aveva chiesto il padre, diventato, con la vedovanza, osservante e contemporaneamente seduttore compulsivo e maniacale, con tanto di Alfa Romeo decappottabile finché a 70 anni non scoprì l'esistenza dell'Aids (!). Nonostante tutto l'amore per lui e pezzi di memorie assurde e godutissime sulle prime riviste pornografiche a 8 anni nascoste dentro Asterix e sulla babysitter che si faceva toccare la schiena e il sedere da lui microscopico, «l'unica che mi ha dato quello che volevo» (non era Henry Moore a carezzare la schiena di sua madre? ricorda), Joann non riesce a giustificare il genitore che gli ha fatto vivere un lutto infinito per la madre, che non ha mai voluto accettare la nuora shishka (non ebrea) e la non circoncisione del figlio (ma c'è anche una figlia che adora i gatti e a cui dedica il suo fumetto ), e anche per avergli scritto il discorso da tenere al tempio a 13 anni, per il bar-mitzvah, la maggiore età, che non avrebbe voluto mai leggere ad alta voce. Joann Sfar non è mai banale, come nei suoi comics del resto. Anche quando tocca temi arati e riarati come il conflitto palestinese/israeliano: vorrebbe la pace, è chiaro, ma vede come gli ebrei non possano che ostinarsi a non volersi più lasciare sterminare. Schegge di ebraismo si spandono ogni dove. Certo, perché questo non è che un grande kadish recitato per la morte di un padre ingombrante. Un kadish sincero, palpitante, buffo e doloroso.
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