Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/08/2017, a pag.I, con il titolo "L'idea di Rivelazione, tre monoteismi e il retto uso che ne va fatto" il commento di Rav Giuseppe Laras.
Estremamente istruttivo e coraggioso il commento di Rav Giuseppe Laras sul significato dell'espressione "tre religioni monoteiste", recitato ovunque come come fosse l'iscrizione su una lapide, da imparare e ripetere a memoria, con la proibizionedi indagarne il significato.
A Rav Laras, un grazie sentito.
Recentemente leggevo che le difficoltà in matematica sembrerebbero correlate a disturbi dell’apprendimento, problemi cognitivi e blocchi psicologici. Credo sia lecito chiedersi se la Rivelazione, che non è irrazionale, non svolga tuttavia un effetto analogo sull’intelletto umano, creandogli una serie di blocchi, per cui la ragione tende a diventare dialettica e la mente a produrre ragnatele che l’avviluppano. Quand’anche questo fosse vero, tuttavia non dimostrerebbe la falsità della Rivelazione, ma piuttosto dovrebbe obbligare i religiosi a essere dichiaratamente avvertiti di blocchi e viscosità costitutivi del pensiero credente. Quest’ultimo fatto, che dovrebbe essere confessato, è purtroppo per lo più bellamente taciuto e sottostimato. Una comprensione romantica e ingenua delle religioni è pericolosa e la presentazione delle stesse come latrici di pacificazione politica è una farsa. L’idea di Rivelazione è l’idea ebraica che ha rivoluzionato le sorti del mondo, ben al di là dell’ebraismo e degli ebrei: monoteismo; Dio Creatore dell’universo, eterno, buono, giusto e onnipotente; Rivelazione e, quindi, elezione e Alleanza; Provvidenza individuale; immortalità dell’anima, giudizio e retribuzione. Qualsiasi credente ragionevole dovrebbe tremare nell’affermare tutto ciò, dato che si tratta di un’enormità, che presuppone coraggio e assai sorvegliata ricerca interiore. Eppure l’idea ebraica di Rivelazione è risultata irresistibile per miliardi di essere umani. Personalmente ritengo che, per moltissimi, la coscienza della Provvidenza individuale, che veglia e accompagna ciascuno, molto più dell’immortalità dell’anima o della retribuzione, svolga un ruolo consolatorio, latore di senso. Sul piano etico e politico, l’idea ebraica di Rivelazione ha affermato per la prima volta non solo l’eguale dignità e sacralità di tutti gli uomini, ma anche la loro fratellanza. Tutto ciò è stato recepito e rilanciato da cristianesimo e islam. Questo probabilmente spiega perché, per l’ebraismo, né il cristianesimo né l’islam costituiscano una proposta allettante di conversione. Unicamente agnosticismo e ateismo possono costituire una reale, lucida e fatale, “tentazione” per gli ebrei: ossia la negazione dell’idea di Rivelazione, con tutto quello che ne consegue. Questa idea, tuttavia, passando dall’ebraismo al cristianesimo e, successivamente, dai due predecessori, all’islam, ha subito una mutazione radicale, che l’ha molto alterata. Da Rivelazione universale per afflato ma particolaristica per senso, pratica, strategia e missione, con cristianesimo e islam essa è divenuta universale e universalistica. Da culto intenzionalmente minoritario si è trasformato in religioni universali e maggioritarie, come tali “irresistibili”. Basti osservare i due moti opposti e fortissimi che da secoli animano ebraismo e islam: quello ebraico è un “ri - torno”, una concentrazione e una contrazione; quello islamico è un moto espansivo, come tale eccentrico e pervasivo, oggi in nutrito risveglio. Per capire i non detti delle attitudini intime dei tre monoteismi occorre considerare come una generazione affidi all’al - tra il deposito della fede. Per il cristianesimo è la coppia genitoriale educante che inserisce il bambino, tramite il battesimo, nella chiesa, facendone un cristiano. Per l’ebraismo è la madre a trasmettere l’ebraicità ai figli; per l’islam, il padre. La strategia cristiana è quindi anzitutto culturale, coerente con la cultura occidentale e i suoi sviluppi. Una profonda crisi culturale del cristianesimo è quindi sempre da intendersi come un potenziale colpo ferale, che può minarne la trasmissione in poche generazioni. L’ebraismo e l’islam, realtà non occidentali nel loro Dna e nella loro ossatura fondamentale, si affidano direttamente alla procreazione, possedendo un forte carattere “sessuato”. L’islam, che è una maggioranza assoluta, si affida a un criterio coerente con il principio di maggioranza: il padre, ossia il seme maschile, sempre disponibile. L’ebraismo, che è minoranza assoluta, si affida a un criterio coerente con il suo essere minoranza: la madre, che non è sempre fertile, la cui fertilità sfiorisce prima. Considerando che l’ebraismo è una minoranza, messa crudelmente in discussione dalla storia e dai due monoteismi che ha contribuito a originare, questa strategia appare contraria a ogni criterio di sopravvivenza. Ciò attesta una scelta minoritaria – e non elitaria – precisa. Questo fatto è illuminante sulla psicologia e sulla sociologia profonda dei tre monoteismi e sulla loro diversità, specie quando dissimulata. L’antichità, ossia il Dna dei tre monoteismi, attesta in nuce alcune diversità economiche e sociali. Il calendario religioso ebraico (lunisolare) è tuttora, con ogni evidenza, un calendario agricolo, basato su campi, primizie, raccolti e decime. I primi arabi musulmani erano invece una popolazione nomadica, fondata su un’economia mercantile. Come alcuni suggeriscono, queste implicazioni economiche e sociali, più che argomenti teologici, hanno tenuto il cristianesimo più vicino all’ebraismo dell’islam. Non solo: l’unità sociale delle popolazioni nomadiche è la tribù e il clan, per cui un gruppo esteso e con vincoli d’onore è funzionale alla difesa organizzata. Per una società contadina, l’unità sociale allargata “don - na-uomo-figli e dipendenti” è la cellula base e più stabile della società. Ed ecco che noi, non stranamente, troviamo ripetuta in tutta la Bibbia l’espressione “la Casa” di Israele. E non è per nulla un caso che una delle passioni del sionismo sia stata proprio l’agricoltura e il sogno non tramontato di “far fiorire il deserto”. Queste antitesi economiche e sociali rendono conto dell’inevitabile, costitutiva differenza profonda tra gli antichi ebrei e gli antichi arabi. L’idea di famiglia, oggi totalmente debilitata (anche quando estesa, per analogia, al fine di normare vincoli affettivi omosessuali), della cultura occidentale deriva esattamente da qui. Essa, cioè, non si impone per evidenza razionale, ma “solo” per cultura e tradizione. Non è un caso che la crisi economica che attraversa l’oc - cidente sia correlata a una crisi decennale della famiglia – ivi intesa come prima realtà, costitutiva delle nostre società, di mutua assistenza e umana promozione – e della procreazione. E non è un caso che l’attuale aggressività economica, opprimente ed erodente la forza della politica e ogni sovranità, insista, specie in occidente, proprio sulla famiglia. L’economia internazionale e tecnologizzata, ormai entrata così potentemente nella fruizione – e persino, talvolta, nella definizione stessa – di intimi ambiti dell’umano, è universale, e trova una resistenza sgradita nel territoriale e nel particolare, sia esso locale, culturale o familiare. Come tale, è quantomeno neutra rispetto a molti valori. Questa forma economica può essere molto allettante, e non idiosincratica, per l’islam politico. L’illusione di economisti e di certi ingegneri sociali di poter comunque “gestire” l’islam consiste puntualmente nel non averne compreso la forza e l’intelligenza, convinti di mantenere un carattere “lai - co” nei processi e nella guida dell’econo - mia. Personalmente credo che il presente dimostri che l’islam politico, al riguardo, sia estremamente moderno. Questi problemi si acuiranno a breve, ossia con l’ul - teriore crescita incontrollata (e insostenibile?) di esseri umani nel pianeta. La laicità – estensione preziosissima, culturale e politica, della sfera dell’altro da sé e della sua intangibilità – ha avuto ed ha percorsi dolorosi (ed è un eufemismo!) in seno alla cultura occidentale. E’ però vero che la Bibbia la presuppone: l’umanità non è stata creata “ebrea”; Eva e Adamo, per restare nel racconto biblico, non erano ebrei, e nemmeno Noè. L’ebraismo, che non riguarda tutti, compare dopo, solo con Abramo. Tradotto: esiste un’ampia sfera intersoggettiva pregressa, come pure co-esistente, con dignità fondamentale e primaria, da apprezzarsi in sé e per sé, che non è ebraica (né cristiana). Per il Corano e la tradizione islamica, Adamo, ossia il primo uomo, l’archetipo e il fondamento della generazione umana, era musulmano. Credo che le conseguenze politiche e culturali siano evidenti: “Chiunque sia nato, nasce nello stato naturale della religione, ossia l’islam. Sono solo i suoi genitori che ne hanno fatto un ebreo o un cristiano”. La logica conseguenza di questo assunto storicamente, nei paesi islamici, è stata che, in assenza di genitori o per sopravvenuta morte di questi in tenera età (in particolare del padre), i bambini cristiani o ebrei venivano convertiti obbligatoriamente all’islam. Chiunque voglia, come è auspicabile, promuovere un dialogo tra la cultura laica occidentale, basata su diritti individuali e libertà personali (conquiste per la cui tutela dobbiamo essere disposti a batterci strenuamente e a morire!), e le culture religiose, totalmente eterogenee tra loro – e, nel caso dei tre monoteismi, tanto simili quanto dissimili –, deve ormai tener conto del peso demografico delle stesse, dato che le nostre democrazie, fragilissime ed esposte come non mai alla demagogia più ottundente, si basano per ora sulla demografia e sul principio “una testa un voto”. Inoltre, se i religiosi non hanno l’onestà, la moralità e la fede per farlo e meditarvici, specie nei riguardi delle persone che a loro si affidano e a fronte di masse umane in movimento, devono essere pungolati sulle loro cupe zone d’ombra senza possibilità di infingimenti e dissimulazione, sulla loro storia non entusiasmante e più tetra, sulle loro insidie, perché, lo abbiamo imparato, non c’è nulla di più pericoloso di una religione, specie se universale, data
l’ecci tazione da assoluto e il fascino irresistibile che esercita sui suoi aderenti.
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