Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/08/2017, a pag.4, con il titolo " I giovani jihadisti si radicalizzano in Europa. Gli imam dei Paesi d'origine sono impotenti", l'intervista di Karima Moual a Abdellah Tourabi.
Abdellah Tourabi
Abdellah Tourabi è un giornalista marocchino coraggioso, ha diretto il quindicinale TEL QUEL (in francese) affrontando temi sensibili da una prospettiva laica, almeno per quanto è possibile in paese musulmano. Il suo giornale ha subito anche diversi sequestri e censure, ma Tourabi continua ad essere una voce onesta e coraggiosa. Consigliamo agli "esperti del giorno dopo" di casa nostra di imparare a memoria le sue dichiarazioni, l'islam vero è quello che racconta lui, non le versioni ignoranti e ottuse di chi non lo conosce e non si rende conto della realtà.
Ecco l'intervista:
Abdellah Tourabi, giornalista, politologo, ex direttore del settimanale "TELQUEL" è le voci intellettuali più influenti in Marocco.
Come mai una presenza così imponente di giovani di origine marocchina negli attacchi in Europa?
«In Spagna rappresentano la seconda comunità di stranieri e la prima dove l’Islam è la religione e cultura di riferimento. Questa forte presenza riguarda anche Francia, Belgio, Paesi Bassi e Italia. Mantenere in queste comunità forti legami di parentela, vicinanza e appartenenza alle città del Marocco promuove affinità personali ma anche reclutamento tra le generazioni più giovani. Ecco perché osserviamo in vari attacchi commessi in Europa l’esistenza di legami familiari, di quartiere o “tribali” tra i jihadisti».
Tra gli attentatori di Barcellona c’è anche un imam. Esiste un problema all’interno dell’Islam?
«Ogni volta che si commette un attentato o che il mondo scopre un’atrocità commessa dall’Isis, si ascoltano affermazioni come “non ha nulla a che fare con l’Islam” o “quelle persone non hanno mai letto il Corano”. Questi argomenti sono spesso sinceri. Ma, ahimè, sono falsi e intellettualmente disonesti. I seguaci dell’Isis applicano il Corano alla lettera, e vogliono riprodurre integralmente la prima forma politica conosciuta dell’Islam, il califfato. Il loro universo è anacronistico, corrisponde a una realtà che è esistita 14 secoli fa. Negare o rifiutare di riconoscerlo è miope. Il Corano, come tutti gli altri libri religiosi, contiene passaggi violenti e bellicosi. Sono l’espressione del loro tempo e il contesto della loro rivelazione. Lo stesso Califfo Ali, cugino e genero del profeta, riassumeva il caso in una formula limpida e lungimirante: “Il Corano sono due righe scritte in un libro. Sono gli uomini che lo interpretano”, diceva. È stato assassinato nei primi anni dell’Islam da un fanatico che prefigurava i settari di Isis».
Cosa sta facendo il Marocco nell’ambito della deriva radicale?
«Dagli attentati a Casablanca del 16 maggio 2003 il Marocco ha adottato una serie di misure e politiche pubbliche nei settori del terrorismo e della lotta contro i movimenti radicali. Innanzitutto c’è la “politica religiosa” che è stata condotta dal 2004 e ha enormi risorse finanziarie e umane per promuovere un “modello religioso marocchino” basato su moderazione e tolleranza. Nel campo del terrorismo in Marocco, i servizi d’intelligence hanno imparato molto dopo gli attacchi del 2003. Il loro lavoro è diventato strutturato, come si è visto recentemente con la creazione del Bcij, l’Fbi marocchino, la cui missione è lo smantellamento delle cellule terroristiche».
Anche se il Marocco è il Paese più riformista dell’Islam nella regione, tuttavia i suoi figli all’estero sono radicalizzati. Perché?
«Nella maggioranza dei casi gli autori degli attacchi in Europa sono giovani cresciuti in Occidente in contesti politici e sociali diversi da quelli del Marocco. La loro radicalizzazione è marcata e condizionata dalla specificità dei Paesi europei di nascita o ricezione. Il Marocco in questo potrebbe fornire o formare ulemi e religiosi, ma non può risolvere la questione del radicalismo tra i giovani, perché è legata ad altri parametri peculiari alle società europee».
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