Strage a Barcellona: il terrorismo islamico arriva dal Sahel, ma il modello è palestinese Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa Data: 18 agosto 2017 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «La Jihad che arriva dal Sahel»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/08/2017, a pag. 1/25 l'editoriale di Maurizio Molinari dal titolo "La Jihad che arriva dal Sahel".
Maurizio Molinari
La strage di Barcellona apre il fronte iberico dell’assalto jihadista all’Europa: tipologia dell’obiettivo, metodo adoperato, identità dei killer e scelta dei tempi descrivono i contorni di un’operazione terroristica che si nutre dell’ideologia del Califfato e si genera dal teatro di guerra del Sahel, roccaforte di più cellule islamiche in competizione fra loro. L’obiettivo delle Ramblas, l’area pedonale culla dei turisti della più popolare città spagnola, evoca il London Bridge colpito il 3 giugno, i Campi Elisi di Parigi bersagliati in 20 aprile, Westminster insanguinata il 22 marzo, i coltelli del Louvre il 3 febbraio e la mattanza sul lungomare di Nizza il 14 luglio dello scorso anno: si tratta di luoghi che sommano obiettivi facili - civili in vacanza, famiglie a passeggio - e hanno al contempo una forte valenza simbolica perché rappresentano per i terroristi l’identità stessa dell’Europa. I jihadisti combattono nel nostro Continente ma con la mentalità delle faide del deserto: non basta uccidere, bisogna umiliare l’avversario e per riuscirvi il metodo è offendere ciò che ha di più caro, i suoi simboli. Anche perché ciò contribuisce a reclutare nuovi adepti.
La rivendicazione della strage sulle Ramblas da parte dello Stato Islamico accende i fari sulla cooperazione anti-terrorista fra Madrid e Rabat che, a inizio maggio, ha portato a smantellare una cellula proprio di Isis fra Tangeri e la Catalogna, composta di foreign fighters marocchini fra i 21 e i 32 anni reduci da Siria e Iraq. Dall’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001 contro New York e Washington, il Marocco ha smantellato almeno 168 cellule jihadiste e nell’ultimo anno ha accresciuto la cooperazione con Ue e americani, concentrandosi sull’enclave di Ceuta, adoperata dai jihadisti come testa di ponte per infiltrarsi sulle coste settentrionali del Mediterraneo, ovvero l’«Andalusia» considerata parte integrante del Califfato pan-islamico essendo appartenuta ai successori del Profeta prima della riconquista cristiana. Si tratta della stessa matrice che nel marzo 2004 generò gli attacchi alla metropolitana di Madrid in cui perirono 192 persone con l’unica differenza che allora fu Al Qaeda a firmare l’attacco e ora a realizzarlo sono state le sue sanguinarie emanazioni. La matrice è quella dei Gruppi salafiti per la predicazione e il combattimento, formatisi in Marocco dopo la dissoluzione del Gia algerino, da cui prima è nata Al Qaeda in Maghreb, poi le cellule confluite in Isis e quindi una miriade di gruppi in competizione per imporsi nella guida della Jihad. È proprio tale gara efferata che partorisce il terrore di Barcellona in quanto ogni cellula, o anche singolo, punta a emergere realizzando la strage più orrenda, con il numero di vittime più alto. Se in giugno l’antiterrorismo Usa aveva avvertito Madrid sul rischio di attacchi «con auto sulla folla» - il metodo della «Car Intifada» inventato dai jihadisti contro Israele - «nell’area mediterranea» è perché il ritorno dei veterani di Isis da Iraq e Siria ha trasformato il Sahel nella nuova roccaforte jihadista.
Lo spazio desertico fra il Maghreb e l’Africa Occidentale, a cavallo di confini desertici inesistenti fra Mali, Niger, Mauritania, Algeria, Libia e Ciad, è una piattaforma ideale dove riorganizzare le cellule dopo le sconfitte subite in Medio Oriente, facendo leva sulle entrate frutto dei traffici di sigarette, esseri umani e stupefacenti garantiti dalla corruzione delle tribù locali. Per la tattica jihadista dunque l’attacco di tre giorni fa a un ristorante per turisti in Burkina Faso - con 18 morti - appartiene allo stesso teatro di operazioni di Barcellona: sono, a Sud e Nord, gli estremi opposti del Sahel dove gli integralisti vogliono insediarsi, per realizzare la versione maghrebina del Califfato. Per questo considerano come primo nemico la Francia, che nel 2013 li cacciò dal Nord del Mali, vogliono rovesciare il re marocchino Mohammed VI considerandolo un «apostata» e puntano a insediarsi nel Sud della Tunisia e nel Fezzan libico per ricongiungersi alle cellule scampate alla sconfitta di Sirte.
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