Morto (o deposto) un Abbas, se ne fa un altro
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Abu Mazen
Cari amici,
molti osservatori della politica israeliana hanno dato Benjamin Netanyahu per spacciato per via dei suoi problemi giudiziari e si sono occupati della successione. A me pare un orientamento analitico piuttosto influenzato dai desideri di chi a destra come a sinistra vorrebbe molto che sparisse l'uomo che ha retto con molta lucidità e mano forte il timone della navicella israeliana negli ultimi dieci anni di tempesta e continua a farlo. C'è noia per un capo che continua a essere se stesso, ma anche molta ideologia, molta personalizzazione. Se Israele non ha purtroppo la possibilità di cambiare contesto geografico e di prendersi come vicini la Svizzera e il Canada e se non è capace di cambiare la cultura dei suoi vicini arabi, e dunque non può fare la pace e deve accettare dei compromessi dovuti a numeri e rapporti di forza, senza dubbio la colpa è di Bibi; se Moshè Dayan e Levi Eshkol hanno lasciato il Monte del Tempio in mano ai musulmani, la colpa è ancora di Bibi; se Trump non mantiene la promessa di trasferire l'ambasciata a Gerusalemme e il re di Giordania fa la voce grossa, pressato com'è dagli islamisti, perché Bibi non ci ha messo una pezza?
Il fastidio si capisce, perché il "pensiero desiderante" è una molla potente nella nostra percezione della realtà. Ma come scrisse Mark Twain nel 1897, tredici anni prima di scomparire, "le notizie sulla mia morte sono un tantino esagerate" e così forse quelle sulla caduta di Netanyahu. Chi invece è decisamente sulla strada del tramonto è il dittatore dell'autorità palestinese, Muhammed Abbas: 82 anni, una salute malferma che lo obbliga a frequenti controlli medici, gran fumatore, pochissimo popolare fra la sua gente, continuamente insidiato da oppositori interni (Mohammad Dahlen, per fare un solo nome) ed esterni (innanzitutto Hamas), circondato da una famiglia il cui arricchimento ha fatto largamente adottare per l'Autorità Palestinese il termine cleptocrazia, cioè governo dei ladri. Soprattutto, come scrive pudicamente Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Mahm%C5%ABd_Abb%C4%81s). "Il 15 gennaio 2005 è stato eletto alla presidenza dell'Autorità Nazionale Palestinese... Pur essendo il suo mandato scaduto il 15 gennaio 2009, egli è ancora in carica, poiché ha prorogato unilateralmente la durata del suo mandato al 15 gennaio 2010, in base ad una clausola costituzionale, e poi è rimasto al suo posto alla scadenza di tale proroga." Insomma, ci sono moltissime ragioni, biologiche e politiche, legali ed economiche per pensare che il suo mandato finirà presto, con le buone o con le cattive.
Jibril Rajoub
Ma dopo, che accadrà? Molti si sono messi a elencare le possibilità: (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Five-post-Abbas-possibilities-501168). Senza dubbio Hamas cercherebbe di prendere il potere, ma potrebbe farsi avanti qualche esponente della vecchia guardia come Abel Rabbo (Erekat è fuori gioco per la sua malattia), o qualche “giovane leone” come Marwan Barghouti che però è in un carcere israeliano a scontare cinque ergastoli per altrettanti omicidi o una figura ancora peggiore come Jibril Rajoub. Potrebbe avere qualche chance Dahlan, che sta manovrando per avere l’appoggio degli egiziani e di Hamas, o addirittura la leadership araba israeliana. Altri fanno il nome del capo dei servizi segreti Faraj (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=19583).
La soluzione più probabile è però il caos, l’impossibilità del sistema politico dell’AP di mantenersi in piedi, con la prevalenza di una logica di tribù, quella che ha sempre retto la popolazione araba in Israele, Giudea e Samaria, prima che Rabin commettesse il tragico errore di “riconoscere” l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina presieduta da Arafat come “solo rappresentante del popolo palestinese”, permettendole poi di imporsi con la forza su tutta la popolazione araba. Il ritorno all’organizzazione tribale, per cui ogni comunità si reggerebbe coi propri mezzi e tratterebbe con Israele sui problemi che la riguardano è vista con favore da diversi analisti come Caroline Glick (http://www.jewishworldreview.com/0817/glick080917.php3). Ma è chiaro che essa costringerebbe Israele ad aumentare il proprio coinvolgimento in Giudea e Samaria, pagandone i prezzi economici, amministrativi e soprattutto rispetto all'opinione pubblica internazionale.
Questo problema spiega perché Israele, pur essendo ben consapevole della complicità fra Autorità Palestinese e le diverse forme di terrorismo, fra cui quello recente portato avanti con coltelli, investimenti in automobile, sassi, bombe molotov e altri mezzi “artigianali” non ha mai cercato di eliminare l’amministrazione di Abbas, per illegale, corrotta e apertamente ostile che sia (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=44507). In realtà se Abbas, azzoppato com’è continua a esercitare il suo malinconico regno sulla popolazione araba di Giudea e Samaria, questo è dovuto in buona parte alla riluttanza israeliana di farsi carico dei problemi che sarebbero provocati dalla sua uscita di scena. E questo atteggiamento continua ancora oggi e probabilmente continuerà anche quando sarà rovesciato da una congiura di palazzo, da manifestazioni di piazza o semplicemente dalla biologia (non le elezioni che non sono più previste dal sistema politico palestinista e in generale arabo).
L’unica soluzione veramente inaccettabile per Israele è la presa del potere di Hamas, che moltiplicherebbe la minaccia terrorista, per il resto qualunque nuovo “rais” prendesse il potere in tutta l’Autorità Palestinese (o se ce ne fossero diversi che si dividessero il territorio), molto probabilmente per Israele le cose cambierebbero poco. Tutti dovrebbero essere per forza anti-israeliani, per andare a mendicare in giro i soldi da distribuire alla popolazione (ma prima di tutto a se stessi e ai loro amici) e per tener buona la “piazza”, educata all’odio da decenni di incitamento. Ma dovrebbero riuscire a mettersi d’accordo con Israele su tutti i problemi reali (sicurezza, economia, ecologia) per riuscire a gestirli. E questo è il punto finale dell’ipotesi di Oslo e di tutte le chiacchiere sullo “stato palestinese”. I palestinisti, sia nella versione corrotta, fanatica e molto islamista di Hamas che in quella corrotta, fanatica e un po’ meno islamista di Abbas, si sono resi del tutto irrilevanti rispetto non solo al grande quadro del Medio Oriente, ma anche a quello locale di Israele. I veri problemi di sicurezza per Israele vengono dalla minaccia dell’Iran e dei suoi satelliti, non dal velleitario terrorismo fai da te dei palestinisti. Chiunque li comandi riuscirà a essere più un fastidio che un pericolo, e lo sarà soprattutto per l’appoggio della sinistra occidentale. Insomma, morto (o deposto) un Abbas, se ne fa un altro.
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