Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/08/2017. a pag.2. con il titolo "Putin entra nella partita libica con i vecchi contratti di Gheddafi", l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
C’era la famosa autostrada dalla Tunisia all’Egitto, un contratto miliardario nelle mani dell’italiana Impregilo. Ma c’era anche la ferrovia Sirte-Bengasi, 550 km di nuovi binari, una prima assoluta per la Libia e un boccone da 2,2 miliardi di dollari che stavano per entrare nelle tasche della Russian Railways. Erano gli affari della Libia di Muammar Gheddafi, il raiss seduto su un tesoro di 40 miliardi di barili di petrolio, che gli fruttavano una rendita fra i 50 e 100 miliardi all’anno, a seconda del prezzo del greggio. Ora, accanto all’Italia che mastica amaro per commesse finite in fumo con la Primavera araba, la guerra civile e la fine tragica del dittatore libico, c’è anche la Russia di Vladimir Putin che soffre. Oltre all’accordo per la ferrovia, Mosca aveva concluso affari miliardari nel settore militare, con la vendita di elicotteri d’assalto, cacciabombardieri Sukhoi, l’ammodernamento dei vecchi Mig-23. E nel settore energetico, con l’ampliamento della rete elettrica, e petrolifero, che Gheddafi cercava di diversificare fra diverse potenze - europee con l’Italia in testa, ma anche Russia e Cina - per essere meno dipendente dalla tecnologia occidentale. Mosca però ha deciso di recuperare il recuperabile. Alla strategia aggressiva sul piano militare, con le armi che arrivano di soppiatto al suo alleato Khalifa Haftar da Egitto ed Emirati arabi uniti, nonostante l’embargo decretato dall’Onu, Putin ha affiancato una politica altrettanto decisa sul piano commerciale e ha inviato un suo uomo di fiducia, Lev Dengov, in Cirenaica, a capo di un contact team con il compito di «riattivare i contratti». Con quale governo non si sa, visto che in Libia ce ne sono tre, ma di certo sotto la protezione delle forze armate che obbediscono all’uomo forte della Cirenaica. Il piano del Cremlino, ha spiegato Dengov in una intervista alla Kommersant, è quello di «tornare allo status quo di prima della rivoluzione del 2011» e rendere di nuovo validi tutti gli accordi firmati nel campo «dei trasporti, del settore energetico e numerosi altri», cioè militari. Oltre al contratto per la costruzione della prima ferrovia libica ce n’era anche uno, quasi pronto, per la realizzazione di una centrale nucleare, soltanto a uso pacifico, sul modello di quella costruita in Iran. In questo momento però la Russia si deve accontentare di ben più magre commesse. Gli scambi commerciali, inesistenti per anni, sono ricominciati l’anno scorso, a quota 74 milioni, briciole. Ma a febbraio la compagnia di Stato petrolifera Rosneft ha firmato un contratto per l’acquisto di greggio dalla National oil corporation (Noc) libica. La Noc produce petrolio «leggero» di primissima qualità e anche grandi produttori di greggio come la Russia sono interessati. Per quanto riguarda la riattivazione dei contratti, secondo Dengov sarà sempre il petrolio «a garantire i pagamenti». Nell’intervista però l’inviato di Putin ha affrontato anche i temi politici. Con un’apertura di credito al governo di Fayez al-Sarraj che «ha coordinato la lotta contro l’Isis» a Sirte. E un’osservazione rivelatrice sul ruolo delle tribù, specialmente nel Sud: «Hanno un ruolo molto importante e sono pronte a collaborare con la Russia», segno che sono stati già avviati i primi contatti. Il Sud, oramai diviso fra tribù Tuareg, Tebu e arabo beduine, è il punto debole di Haftar, che non è riuscito a «sfondare» con le sue truppe, ha mancato la conquista del capoluogo del Fezzan, Sebha, e ha subìto un massacro in una base aerea appena occupata a una sessantina di chilometri a Nord della città, a opera delle milizie islamiche di Misurata e alleati locali. Haftar resta l’alleato principale di Mosca, ma non l’unico. Parla russo, come i suoi principali collaboratori, e ha, nelle parole di Dengov, «una certa nostalgia della Russia». Ma ora i russi guardano al possibile accordo con Al-Sarraj, patrocinato dal presidente francese Emmanuel Macron: «Se ci saranno elezioni e un governo condiviso - conclude Dengov - sarà possibile revocare l’embargo alla vendita di armi». E per Mosca si riaprirebbe l’Eldorado libico.
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