Riprendiamo dal SOLE24ORE-DOMENICA di oggi, 06/08/2017, a pag.17, con il titolo "Il Bel Paese dell'ebraismo" il commento di Giulio Busi
Giulio Busi
Maimonide
Nei miei ricordi giovanili c'è una stanza segreta. In penombra, con il fruscio dell'aria condizionata, sulla collina di Givat Ram. Ci sono entrato perla prima nel 1982. Israele era in stato di mobilitazione per la guerra del Libano. I miei familiari in Italia pensavano fossi in un'area pericolosa, ed erano in pensiero. Secondo i miei amici israeliani, che mi chiedevano delle Brigate rosse e delle stragi terroristiche, era l'Italia a essere poco sicura. Varcata la porta di quella sala protetta, la realtà attorno svaniva. Lì si leggeva solo del passato. Ci si nuotava dentro, al passato, si rischiava di affondarci. Arrivavo presto la mattina, uscivo la sera, con l'ultimo bibliotecario. Decine di migliaia di manoscritti, raccolti da ogni parte del pianeta. Un numero abissale di pagine, frasi, lettere, disegni, miniature. L'Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts della Biblioteca Nazionale Ebraica era l'unico luogo in cui fosse possibile consultare tutti assieme quei codici, gettati ai quattro angoli del mondo da espulsioni e persecuzioni, o portati lontano dalla vita di diaspora, del destino, dalla Storia. La rivoluzione digitale ha mutato il volto della Distanza, la dea pallida che ci attrae senza mai soddisfarci. Lontano e vicino sono unclick sulla barra delle applicazioni, l'immagine che si chiude e la prossima che sboccia, umile fiore di cristalli liquidi. Allora, e sono trascorsi "solo" trentacinque anni, per studiare qualsiasi comunità ebraica d'Italia, bisognava andare a Gerusalemme, prendere l'autobus numero per il campus universitario, sedersi davanti a un lettore di microfilm, e far muovere il rullino avanti e indietro, fino al fotogramma giusto. Dei circa 35 mila manoscritti ebraici del Medioevo e Rinascimento, fotografati in quella straordinaria collezione, quasi la metà provengono dall'Italia: qui sono stati copiati, o comunque conservati per molti secoli, prima di esser venduti, soprattutto a partire dall'Ottocento, e finire nelle grandi biblioteche del Vecchio continente, d'America, d'Israele. È vero che, nell'età di mezzo e fino al XVI secolo, circa un quinto della popolazione ebraica d'Europa era concentrata nella nostra Penisola, ma resta il divario tra dati demografici da una parte e capacità di durata dall'altra. Perché? Per capirlo, dalla stanza di Gerusalemme è necessario percorrere l'itinerario inverso. Tornare sui luoghi che hanno alimentato una così sorprendente creatività. La risposta è custodita nelle vicende di una miriade di insediamenti ebraici, sparsi per la pianura padana, nell'Italia centrale, nel Mezzogiorno, come semi gettati da un misterioso seminatore. Nessun'altra terra di diaspora può offrire altrettanta continuità. Almeno ventuno secoli di presenza ininterrotta degli ebrei a Roma non sono una nota a piè di pagina della storia dell'Urbe. Architettura, urbanistica, letteratura, archivi. Provate a toglierli, quei fili, dalla più ampia vicenda maggioritaria, e tutta la stoffa si strapperà. Andate a Mantova, a Venezia, a Livorno. O in luoghi assai più piccoli, quasi sconosciuti. Cercate le sinagoghe, o le vestigia che ne rimangono. Entrate in biblioteca, sfogliate i volumi di cronaca locale. Non c'è memoria italiana senza ebraismo. E non c'è ebraismo senza memoria italiana. In queste settimane si è parlato molto di un manoscritto copiato nel Medioevo, e conservato da cinque secoli da una stessa, antica famiglia ebraica italiana. Trattenerlo nel nostro Paese, lasciarlo emigrare, senza ritorno, o quasi? Proviamo innanzitutto ad ascoltare le sue pagine antiche. Ne hanno viste tante, che qualcosa da dirci l'hanno di sicuro. È un racconto che comincia col buio. "L'anno in cui la luce si è trasformata in tenebre". Lo scrive il copista, Jacob ben Samuel, nel poema che contiene il suo nome e la data di copia. L'anno è il 5109 dalla Creazione, secondo il computo ebraico. Il 1349 del calendario cristiano. La tenebra,è quella portata dalla peste nera, con il suo corteo di morte e di persecuzione. Accusati di aver diffuso intenzionalmente il contagio, gli ebrei vengono massacrati in molti luoghi d'Europa. I primi stermini divampano nel 1348, per estendersi l'anno seguente, in specie in area tedesca. Dalla luce all'oscurità e di nuovo alla speranza. Il manoscritto, bellissimo nella grafia e nelle miniature, contiene la "Guida dei Perplessi", grande e difficile opera filosofica di Mosè Maimonide (m. 1204). Bibbia e pensiero greco, teologia d'ascendenza musulmana, aristotelismo, retaggio rabbinico: le fonti di Maimonide hanno molti colori, proprio come il fato ebraico dell'età di mezzo. Capitolo dopo capitolo, il pensatore d'origine iberica, letto e apprezzato anche da Tommaso d'Aquino, costruisce la sua ardita armonia tra fede e ragione. Qualcuno, forse già nel tardo Trecento, porta il libro in Italia. È una minuscola goccia nel ruscello dell'immigrazione che scorre da nord verso sud. Gli ebrei ashkenaziti, perseguitati a settentrione delle Alpi, si rifugiano nelle terre della Penisola, più ospitali e in piena espansione economica. Nel giudaismo, forse più che in qualsiasi altra tradizione, i libri concentrano speranze, afflizioni, attese. fl "nostro" manoscritto è un bene prezioso, per la cura con cui è stato eseguito, ed è importante e ricercato per il suo contenuto. Passa di mano in mano, e giunge a un membro della famiglia Norsa, dinastia di banchieri in stretto contatto con i Gonzagae gli Este. È il 10 gennaio 1516, e a comprarlo è Mosè ben Netanel. Per Mosè Norsa i testi scritti sono molto importanti. Raccoglie una biblioteca scelta di manoscritti, e di quella collezione ci rimangono oggi almeno altri otto codici, oltre a questo di cui oggi si discute. Sono sparsi tra la Palatina di Parma, Parigi ed Oxford. Il codice di Maimonide mostra segni del tempo. I primi dieci fogli sono danneggiati. La legatura originale, d'area tedesca, è stata sostituita con una realizzata in Italia settentrionale, anch'essa rovinata, forse nel sacco di Mantova del 1630. Nonostante le traversie, perso anni, quella Guida dei perplessi venuta dalla tenebra, s'è tramandata di generazione, tra Mantova e Milano. Di sicuro è una testimonianza fondamentale di storia dell'ebraismo in Italia. È anche storia italiana? Provate a strappare i fili, fra trama e ordito. Guardate cosa resta. L'emorragia del patrimonio librario ebraico italiano verso l'estero è stata impressionante, e si può dire che sia continuata, con esportazioni più o meno illegali, fino a ieri. A questo punto, conservare e valorizzare ogni volume è importante, ed è fondamentale che non vada persa la continuità di questi beni con il loro contesto storico. Una memoria solo virtuale sancisce in realtà l'oblio e la desertificazione del paesaggio, interiore ed esteriore. In attesa di conoscerne la collocazione futura, se nel frattempo volete leggere il manoscritto copiato da Jacob ben Samuel, o solo scorrerne le immagini, scrivetevi questo numero: E 4285. È la segnatura del microfilm a Gerusalemme. L'autobus è il numero 9, ma va bene anche il 7
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