Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2017. a pag.15, con il titolo " Una rete di porti e basi, così Erdogan punta a espandersi in Medio Oriente " l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Una rete di basi militari che vanno dal Mediterraneo orientale al Golfo persico e all’Oceano indiano, una portaerei in arrivo, in grado di far decollare i caccia «invisibili» F-35, e una politica di intervento militare diretto, in Siria e Iraq, che dà sostanza alle ambizioni «ottomane» del presidente Recep Tayyip Erdogan. La Turchia, dopo il dispiegamento del soft power attraverso scuole islamiche e relazioni commerciali, sembra essere passata alla «fase due» della sua politica di influenza in quell’area che ha dominato per quattro secoli, dall’inizio del Cinquecento al primo Novecento. Ankara dispone del secondo esercito della Nato, dopo quello statunitense, con 315 mila soldati, e sta ammodernando la marina e l’aviazione. I punti forti sono l’acquisto di 114 caccia «stealth» F-35, del sistema missilistico anti-aereo russo S-400, in fase di finalizzazione, di nuove corvette e fregate e soprattutto di una portaerei della classe spagnola Juan Carlos. Erdogan ha stimolato anche la produzione militare nazionale e inaugurato di recente uno stabilimento che produce droni armati. Questa modernizzazione metterà presto le forze armate turche in condizione di proiettare la loro forza all’esterno. Da bastione Sud della Nato, in funzione solo difensiva anti-Urss, la Turchia diventa protagonista attiva e le basi all’estero sono i punti d’appoggio principali. Dove sono La principale forza al di fuori dai confini resta quella a Cipro. Ankara ha occupato la metà settentrionale del Paese nel 1974. Ha numerose basi militari e dispiega un corpo d’armata, circa 40 mila uomini. I colloqui per la riunificazione con la parte greca dell’isola sono in questo momento arenati. Cipro Nord resta quindi una «portaerei» formidabile per il controllo del Mediterraneo orientale, non per niente se la sono contesa per secoli bizantini, arabi, crociati, veneziani e infine gli ottomani. Ma la prima vera base all’estero dell’era Erdogan è quella in Qatar. Il leader turco e l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani si sono accordati nel 2015 sulla sua realizzazione e quest’anno ha rivelato la sua importanza strategica. All’apice della crisi fra gli Stati sunniti del Golfo Erdogan si è schierato con l’emiro e ha inviato nuovi soldati, come monito contro un possibile blitz egiziano-saudita. E di fatto reso intoccabile, dal punto di vista militare, il Qatar. La base di Al-Rayyan, vicino a Doha, ha un comando a livello di brigata, ospita tra gli 800 e i 1500 soldati, che durante la crisi nel Golfo sono stati rafforzati da decine di veicoli blindati. Se in Qatar la Turchia ha saldato l’asse con il mondo arabo vicino ai Fratelli musulmani, una delle fonti ideologiche del partito di Erdogan, l’Akp, è in Somalia che il leader turco ha puntato la carta più ambiziosa. Il Corno d’Africa, all’imbocco del Mar Rosso e sulle rotte commerciali e petrolifere più trafficate al mondo, si sta affollando di avamposti di tutte le potenze: a Gibuti ci sono americani, francesi, cinesi, sauditi, in Somalia sono presenti gli Emirati arabi uniti e ora, vicino all’aeroporto di Mogadiscio, è stata appena terminata la base turca. Si estende su 400 ettari, sarà operativa da settembre e può ospitare fino a 1500 soldati e forze corazzate. In Somalia l’azione civile e militare è andata di pari passo: la Turchia ha aperto una imponente ambasciata, ha ricostruito l’aeroporto internazionale, la Turkish collega la capitale a Istanbul con voli quotidiani, le sue imprese edili stanno ricostruendo la città. Ora Ankara si trova al centro di un’area turbolenta, con due guerre in corso, nella stessa Somalia e nel dirimpettaio Yemen, e con Al-Qaeda e l’Isis in espansione. La presenza turca segna la volontà di influenzare direttamente il corso del conflitto mediorientale. E la necessità di contenere i gruppi islamisti è spesso un paravento. L’abbiamo visto in Siria e Iraq. La frammentazione dei due Stati mesopotamici ha consentito il risorgere del califfato, che proprio il nazionalista turco Ataturk aveva abolito nel 1924. Ma ha anche consentito l’ingresso delle truppe turche nelle province che il fondatore della Turchia moderna voleva includere nei suoi confini nel Trattato di Losanna del 1923, soprattutto Aleppo e Mosul. Ad Ankara circola la voce, poco fondata dal punto vista del diritto internazionale, che quel trattato sarà di fatto decaduto dopo un secolo, nel 2023. Di vero c’è che i confini sono sempre più labili. La Turchia è presente nel Nord dell’Iraq, nella base di Bashiqa, a circa 60 chilometri da Mosul, con un battaglione e armamenti pesanti: obici da 155 millimetri e tank, in tutto un migliaio di soldati. Ha seguito da lontano la battaglia nella capitale irachena dello Stato islamico e molto da vicino gli spostamenti delle truppe curde, i Peshmerga, ma anche dei guerriglieri del Pkk presenti nella regione. Per lo stesso motivo Erdogan ha deciso, dopo un accordo sofferto con gli americani, l’intervento contro l’Isis nel Nord della Siria, ad Al-Bab, dove oggi c’è la sua base principale in Siria. L’Isis è stato sloggiato dopo una dura battaglia ma i soldati turchi, da 2 a 4 mila, sorvegliano soprattutto i guerriglieri curdi dello Ypg, che vorrebbero unificare tutta la Siria settentrionale nel Kurdistan siriano, il Rojava. La portaerei La proiezione esterna ha però bisogno anche di una marina adeguata. Due mesi fa Erdogan ha tenuto a battesimo la nuova corvetta Kinaliada, progettata e costruita in patria, e ha annunciato il lancio della portaerei Anadolu. Sarà basata sull’ammiraglia spagnola Juan Carlos, con un dislocamento di 27 mila tonnellate e un trampolino di lancio adatto agli F-35, cacciabombardieri invisibili statunitensi, acquistati anche dall’Italia per la sua portaerei Cavour. L’Anadalu dovrebbe essere varata all’inizio degli anni Venti e si preannuncia come un formidabile concorrente nel Mediterraneo. Con un occhio anche alla competizione fra potenze che si è scatenata in Libia.
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