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Ugo Volli
Cartoline
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Ancora su Netanyahu e sulle sue ragioni 30/07/2017

Ancora su Netanyahu e sulle sue ragioni
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

per la mia ultima cartolina (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=67103 ), in cui difendevo la scelta del governo israeliano di ritirare i dispositivi di sicurezza piazzati negli ingressi al Monte del Tempio di Gerusalemme da dove passano i musulmani (perché all’ingresso da dove passano ebrei, turisti e cristiani ve ne sono già) ho avuto molti più commenti del solito, pubblici e privati. Per lo più, devo ammetterlo, critici.
Poiché fra coloro che hanno espresso dissenso nei miei confronti vi sono molte persone che stimo, penso che sia il caso di spiegare meglio come vedo la questione. Spero che questi amici abbiano la pazienza di seguire il mio argomento.

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1. Per Israele questo è un momento di grandi opportunità strategiche e di altrettanto grandi pericoli. Sia le opportunità che i pericoli hanno un nome: Iran. Il pericolo deriva dal fatto che l’imperialismo iraniano, con l’aiuto decisivo di Obama, è all’offensiva in tutto il Medio Oriente e ha Israele come nemico dichiarato da distruggere: sia perché è il suo contraltare strategico, per cui l’Iran non potrà essere padrone della regione senza abbattere l’altra potenza regionale capace di resistergli, cioè Israele; sia perché la nascita di uno stato ebraico su un territorio che era stato conquistato e tenuto dall’Islam per molti secoli è stato accolto con rabbia e odio da tutte le diversi correnti del mondo musulmano, e distruggere Israele è dunque sia un dovere religioso per i buoni musulmani, sia un modo per conquistare enorme popolarità. Aggiungete che l’Iran controlla i movimenti terroristici più pericolosi per Israele (Hamas e Hezbollah) è decisivo nella politica irachena e siriana, ha l’appoggio della Russia che ha ormai militari al confine con Israele. L’Iran continua a essere al limite dell’armamento atomico, che forse ha sperimentato in Corea del Nord, e di recente ha mostrato di essere capace di lanciare missili intercontinentali con notevole possibilità di armamento anche nucleare (https://beholdisraelnews.wordpress.com/2017/07/28/iran-confirms-it-successfully-launched-rocket-carrying-satellite-into-space/ )
L’imperialismo iraniano è però anche una grande opportunità strategica perché esso è temuto anche dai governi sunniti non rivoluzionari, come Egitto, Giordania, Arabia e la presenza di un comune nemico pericoloso e deciso a espandersi ha messo in secondo piano l’odio tradizionale di questi stati per Israele, facendo nascere un’alleanza di fatto, che ha messo in secondo piano la questione dello stato ebraico su territorio rivendicato dall’Islam, che spesso viene presentata in maniera propagandistica come questione palestinese. Il cambio di amministrazione americana, con l’uscita di scena di un nemico pericoloso (per Israele e per l’Occidente) come Obama e le conseguenze pericolose per l’Europa dell’invasione islamica, sempre più chiare all’elettorato, combinano questa opportunità strategica. Israele non è mai stato in posizione diplomatica e militare migliore.

2. La “questione palestinese” in questo momento non è una minaccia all’esistenza di Israele. Lo stato ebraico è perfettamente in grado di controllare il microterrorismo dei palestinisti, che pure infligge colpi dolorosissimi e vigliacchi, come la strage della famiglia Solomon seduta a casa sua per la cena di Shabbat, la settimana scorsa. Anche eventuali rivolte di massa sono facilmente controllabili, benché al costo di molto sangue degli eventuali insorti. La strategia palestinista sul terreno, a questo punto, consiste nel fare danni per cercare di provocare reazioni israeliane e atteggiarsi a vittime. Lo fa Hamas a Gaza coi razzi, lo fanno i ragazzini con pietre e bombe molotov, lo fanno gli accoltellatori e gli attentatori con automezzi. Israele deve reagire per mantenere l’ordine e conservare la deterrenza, stando attenta però a non pagare danni troppo alti di immagine per questa reazione, sia rispetto al pubblico europeo e americano, sia per quanto riguarda la piazza araba. Qui ha peso il paradosso per cui Israele ha sì rapporti di alleanza e perfino trattati di pace con alcuni governi arabi, ma l’opinione pubblica, le moschee e le piazza non hanno cessato di odiare gli ebrei, anche perché l’incitamento incessante dell’ultimo secolo non è affatto cessato. Naturalmente questa è una posizione molto instabile, perché una pressione massiccia della popolazione, mobilitata per ragioni religiose, potrebbe costringere i governi a chiudere la collaborazione con Israele, danneggiando così molto fortemente la sua sicurezza ma soprattutto spalancando la strada all’imperialismo iraniano.

3. E in questo quadro che va letta la doppia o tripla provocazione che ha provocato la crisi dei metal detector. La “spianata delle moschee” sul Monte del Tempio è stata teatro di un attentato terroristico che non si era mai visto prima, in cui, con la complicità diretta del Wafq, giordano di nome ma controllato dal movimento islamico del nord Israele molto vicino a Hamas, sono stati uccisi due poliziotti. Ripeto, il monte del Tempio non è un luogo normale del terrorismo, come la Porta di Damasco o la strada 60 a sud di Gerusalemme, anche perché è interesse degli islamici qualificarla come “santa” e limitare la presenza della sicurezza israeliana. Come si sa Israele ha reagito in maniera moderata, con una perquisizione e l’istallazione di metal detector che dovevano costituire soprattutto un freno simbolico; non certo una questione di sicurezza militare per un sito così complesso in cui non è difficile far entrare armi di contrabbando. Ma gli islamisti hanno rilanciato la partita esigendo la rimozione degli apparati di sicurezza con manifestazioni fatte per provocare morti, che regolarmente ci sono stati e che poteva provocare un’escalation capace di contagiare le piazze arabe. Ed è questa escalation che Netanyahu ha rifiutato, valutando non solo le pressioni che riceveva da Usa, governi arabi e altrove, ma molto semplicemente che facesse il gioco di chi voleva tirar fuori i palestinisti dal loro angolo e isolare Israele.

4. Ha fatto bene, ha fatto male? Io penso che abbia fatto bene, che abbia sventato un piano molto probabilmente architettato dagli iraniani (e non sono il solo a pensarlo: http://www.tabletmag.com/jewish-news-and-politics/241879/iran-behind-violence-temple-mount? ). I delusi parlano di dignità nazionale, invocano la forza passata o la passata decisione di Israele. Si può discutere, naturalmente, ma non bisogna mitizzare. Per forte che sia Israele è un paese di 8 milioni di abitanti (6,5 ebrei) circondato da 300 milioni di arabi e da un miliardo e mezzo di musulmani, che sa benissimo per esperienza di non poter contare su nessuno nel momento decisivo. Israele ha sempre cercato di evitare in tutti i modi le guerre e i confronti. Ha sempre accettato tutte le spartizioni (sia quello della commissione Peel del ‘37, sia il “libro bianco” del ‘39, sia il piano dell’assemblea dell’Onu del ‘47, sia i tentativi di accordo nei decenni seguenti), che furono sempre respinti dagli arabi. Israele non ha mai scelto le guerre che ha combattuto nel ‘47-49, nel ‘54, nel ‘67, nel ‘73. Ha sempre risposto ad attacchi, anche nel ‘67 quando prese l’iniziativa di bombardare gli aerei egiziani anticipando di poche ore l’attacco arabo già evidente sul terreno. Per quanto riguarda il Monte del Tempio, Ben Gurion ministro della difesa e Levi Eshkol, poi Golda Meir primi ministri, decisero di non farne un luogo di preghiera multiconfessionale per evitare di provocare il mondo musulmano. La ragione di questo atteggiamento non è remissività, buonismo o pacifismo, ma stretto realismo, analisi dei rapporti di forza, che non possono mai essere favorevoli a Israele nella situazione geopolitica in cui si trova, in caso di scontro generale col mondo arabo o musulmano. Israele non ha nessuna voglia di suicidarsi, la cultura ebraica privilegia la vita e non il “martirio”, tutti i dirigenti israeliani e Netanyahu più di altri, sanno di avere la responsabilità della sopravvivenza dell’intero popolo ebraico, più che dimezzato dal genocidio. Israele è quindi di solito cautissimo, agisce solo se davvero costretto da pericoli chiari e imminenti, non si muove per prestigio, non si illude mai di poter imporre la propria volontà al mondo, sa di poter contare solo su se stesso e sui suoi amici sinceri, che sono individui e non stati. Sa anche che il pericolo oggi viene dal Nord, dall’Iran e sa di dover spendere il suo prestigio e le sue forze non in un confronto sterile con i palestinisti, che sono oggi politicamente insignificanti proprio grazie alla lucidità delle mosse israeliane, ma con il vero pericolo militare, l’Iran e i suoi satelliti. Per questo ho definito e definisco ancora ottima politica quella di Netanyahu che ha smontato il trabocchetto dell’attentato al Monte del Tempio, ha mostrato che chi manovra le folle (non così oceaniche) che hanno protestato è un protettore di terroristi e non un fedele sdegnato, ha mostrato realismo ai suoi interlocutori in Usa, Russia e paesi arabi. Insomma ha fatto una mossa da statista e non ha affatto “calato le braghe”, come pensano i soliti sciocchi palestinisti, con l’incongruo accordo di qualche sostenitore troppo accalorato.

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