Riprendiamo dal SOLE24ORE-DOMENICA di oggi, 30/07/2017, a pag. 23 e 26 due recensioni di Giulio Busi. La prima, "I viaggi di Daniel Ascher" di Déborah Lévy-Bertherat, Einaudi editore. La seconda "Il Golem" a cura di Laura Quercioli Mincer, Marsilio editore.
Giulio Busi
Cartoline dal passato
Come ogni Iinea sotterranea che si rispetti, la Grande Metropolitana del Tempo ha i suoi tornelli d'acciaio lucente. È consentito attraversarli solo in un senso. Altrimenti, come ci si potrebbe difendere dai viaggiatori abusivi? Quando si esce, i bracci girano docili, senza un cigolio. Ma se si vuol rientrare, ci si trova subito bloccati. Per chi cerca di farle ruotare all'indietro, le sbarre divengono ostinate, inflessibili, incorruttibili. Dai treni della Grande Metropolitana si scende frettolosi, senza voltarsi. Guai a cercare di risalire. E anche si decidesse di comprare un nuovo biglietto, dove trovarlo? Per chi proprio non si rassegna, ed è risoluto a ripercorrerei propri passi, per rivedere ciò che ha già visto e tornare dove è già stato, ci sono sempre i libri, certi libri. Provare per credere. Basta stringere sotto il braccio il volume, dopo averlo preso dallo scaffale speciale, farsi un po' di coraggio, e passare. Nessuno vi fermerà. Potete persino riprendere il viaggio, se è questo che volete. Peccato che gli scaffali con i libri lasciapassare, distribuiti nelle stazioni più importanti, siano quasi sempre vuoti. Gli appassionati del ritorno se li contendono avidamente. E quando ne hanno trovato uno, finalmente abbandonato da un esausto viaggiatore contro tempo, non vorrebbero più rimetterlo al suo posto. Non so se i viaggi di Daniel Ascher siano sulla lista dello scaffale speciale. Ce li vedrei bene, tra le altre rilegature ingiallite di quel catalogo misterioso. È vero che i Viaggi in questione se ne stanno racchiusi in un volume nuovo nuovo, con la copertina di un bell'azzurro allegro. Dentro all'azzurro, una signora siede nella vasca da bagno e legge -certo un altro libro lasciapassare, ecco dove vanno a finire - mentre di fronte a lei si leva un'onda alta come se venisse dall'oceano (Ellen Weinstein, dice il risvolto; l'illustratrice, non la signora). Preparatevi, perché, tra pagina e pagina, ne troverete molti altri, di cavalloni. Sono quelli che riempiono il mare quando si è bimbi, così terribili da affrontare, e invincibili, se non ci fosse il papà accanto. Il protagonista del racconto, Daniel,è uno scrittore di libri per ragazzi, volete che non sappia com'è fatta un'onda avventurosa? Cosa distingue un libro apri-tornelli dagli altri, quelli ottimi per distrarsi, istruttivi, divertenti, ma solo nel senso della vita, non in quello dei ricordi? Bisogna innanzitutto che ci siano un po' troppe porte, così che ci si possa subito perdere. Chi è Daniel, veramente? Già se dovete usare un corsivo, per chiedervi chi sia qualcuno, siete sulla strada (all'indietro) giusta. Lo zio Daniel chiacchiera molto, è troppo simpatico. Ha viaggiato mezzo mondo, ed è uno scrittore. Questo lo sapete già, ma è utile ripeterlo, perché qui sono ammessi solo scrittori. Non importa che abbiate scritto mille volumi o solo qualche cartolina. Dovete saper bighellonare tra le righe, deve piacervi il vecchio odore d'inchiostro, e magari dovete concedervi qualche macchia, qua e là, sul foglio e sulle dita. Altrimenti, come fareste a smarrirvi per bene? «Ha riconosciuto la calligrafia del prozio, quella delle dediche sui romanzi del Marchio nero, lettere inclinate che si aggrappavano le une alle altre con minuscoli uncini come se avessero paura di perdersi. Cara Hélène, spero che tu ti sia sistemata bene in rue Vavin. Qui è magnifico. Ti racconterò, ma solo se insisti...». Vi avevamo avvisati, ci sono molti usci, sgabuzzini, scale senza ascensore da salire, non stancatevi subito. Hélène è la nipotina, ospite di Daniel. È venutadalla provincia a Parigi per studiare archeologia. Un tipo preciso, Hélène. Un tipo impreciso, Daniel. Impreciso quanta? «Prima si chiamava Daniel Ascher ed era ebreo, parola che lui pronunciava arrotando la r». Vuol dire che a un certo punto, credo nel 1942, aveva cambiato il proprio nome in Roche. Un orfano, insomma, venuto da lontano. Quando è successo che Ascher, diventato Roche, è tornato Ascher? La passione di Hélène, l'archeologia, ci potrebbe essere utile per scoprirlo. D'accordo che non stiamo parlando dell'antichità, dev'essere successo tutto non più di qualche decennio fa. Ma cosa è successo? Non sapete che basta uno sguardo, un dolore, una percossa, una solitudine, e indietro non si torna più? In psicologia si chiama trauma. E in storia? Massacro? Hélène, frugando alla ricerca di indizi, ha trovato un biglietto, dietro un quadro. Poiché non lo sa leggere, lo porta aun amico di Daniel per decifrarlo. L'amico in questione è un antiquario, qualcuno lo chiamerebbe un robivecchi, al mercato delle pulci di rue des Rosiers. Penso che lo conosciate, il Marché Vernaison, sennò segnatevelo. Dovete andarci assolutamente, se volete finire il libro. Quando ha visto il foglietto, l'antiquario «si è messo a ridere, non è ebraico, è yiddish, Di gantse velt iz eyn shtot, il mondo intero è una città, è un proverbio, il mondo è un villaggio, il mondo è piccolo, da dove viene questo filatterio? Daniel dev'esserselo impresso bene, quel proverbio, poiché non smette di viaggiare. Da ogni tappa manda una cartolina a Hélène. E ogni volta che ne riceve una, Hélène è sempre più perplessa. Comincia a esaminare i francobolli, a decifrare i timbri postali. È possibile spedire una lettera dal passato? Non dico ricordarlo, il passato, ma scriverci da dentro, e poi portare il messaggio in posta e infilarlo nella buchetta. Ci sono uffici postali, là nel secolo scorso, che garantiscono la consegna il giorno dopo? A Parigi, a Hélène, oggi, mentre voi leggete.A un certo punto, Daniel è un bambino.Sta attraversando un fiume smisurato. II barcaiolo rema silenzioso. Anche Daniel è silenzioso, come solo un bimbo può esserlo. I suoi genitori non ci sono, né in acqua né in cielo. Né nella notte né in nessun giorno, mai più. La riva è lontana, Daniel è solo. Sapete bene che non possiamo dirvi come va afinire. E non soltanto per rispetto dell'editore e dei librai.Nessuno dei volumi sullo scaffale speciale contiene una conclusione. 0 forse c'è, ma è invisibile. Le ultime pagine non si possono sfogliare in stazione. Bisogna salire di nuovo sul treno, e rimettersi in viaggio. I passeggeri della Grande Metropolitana del Tempo non conoscono la fine. Mai. E l'ultima fermata è ancora lontana.
Simpatico Golem letterario
Quella del cartone è la tecnica principe dell'affresco rinascimentale. ll disegno, eseguito a bottega, viene trasferito sull'arriccio. Così si lavora con una traccia sicura, preparata nel dettaglio. E come si trasferisce un racconto dal mondo religioso a quello laico della letteratura? Cosa va perso, nel trapasso, e cosa resta? Tra Otto e Novecento, una parte del patrimonio della devozione e della mistica ebraica lascia le sinagoghe per travasarsi sulle riviste, nei saggi storici, nelle librerie delle case borghesi, e persino sulle scene dei teatri. II golem di H. Leivick (pseudonimo di Leivick Halpern), curato da Laura Quercioli Mincer per Marsilio, è uno di questi viaggiatori dal sacro al profano. Nato dai rituali e dai sogni dei mistici ebrei del medioevo, l'uomo di terra si sposta, goffo e minaccioso com'è, nell'officina del narratore. È un esempio interessante di longevità simbolica e di adattamento. Una procedura teurgica pensata per pochi diviene segno d'inquietudine moderna, esibito ai molti. Come ci si trasforma da mistero esoterico a personaggio da palcoscenico? Con molta fatica e altrettanti stenti. Almeno a giudicare dalla vita di Leivick, nato in un villaggio sperduto della Bielorussia. Maggiore di nove fratelli, alle prese con povertà e un padre tiranno, aderisce appena può al partito socialista ebraico. Nel 1906 viene arrestato dalla polizia zarista e condannato ai lavori forzati e poi all'esilio in Siberia. Fugge, approda nel 1913 negli Stati Uniti. Nuovi stenti, ma anche la vocazione di poetae di scrittore. IlGolem, composto in yiddish tra il 1917e il 1920, è la storia di un'attesae di una nostalgia. C'è qualcosa di eccessivo nell'idea del golem cabbalistico, in bilico com'è tra pietà e superbia. Il mistico che dà vita a un grumo di terra sa di spingersi ai limiti della trasgressione. Vuol imitare il gesto del Creatore, ma rischia di perdere il controllo delle forze che lui stesso ha evocato. il modello religioso è quello della prova, della rivendicazione di un'autonomia umana destinata a rasentare il demoniaco, o a caderci con conseguenze fatali. In un testo in ebraico del Duecento, gli allievi pasticcioni di un grande maestro rischiano la vita per animare il golem: «commisero un errore nei movimenti e camminarono all'indietro, cosicché sprofondarono nella terra sino all'ombelico». Sotto la penna di Leivick, il golem attira le simpatie del lettore, quasi più del suo creatore, il sapiente Maharal di Praga. È un gigante informe che lotta per capire, che cerca di liberarsi: «Ho orrore del mio corpo, dei miei occhi vitrei, del mio linguaggio oscuro e muto. Giorno e notte mi trascino. Ora io mi estirperò, andrò via, lontano». Bisogna essere d'argilla per scegliere l'esilio dall'esilio. «Vado in tutti gli angoli del mondo - continua l'omone - perché tutti mi chiamano allo stesso tempo, e tutti rincorrono i passi dei mendicanti in fuga». Com'è difficile la vita di un simbolo religioso, nell'epoca dell'alienazione sociale.
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