Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/07/2017, a pag.42, con il titolo "Il bestseller negazionista che divide la Germania" la cronaca di Giampaolo Visetti.
Non abbiamo letto il libro oggetto del pezzo di Giampaolo Visetti, ma qualcosa non ci è chiaro; fino a che punto le due accuse, negazionismo della Shoah e islamofobia, vanno di pari passo ? Essere contro l' invasione musulmana dell'Europa è una posizione più che lecita, diremmo doverosa. Fino a che punto si intreccia con il negazionismo? L'autore, Rolf Peter Sieferle, si è suicidato un anno fa, il libro è uscito nel febbraio di quest'anno, ci saranno pur state polemiche in Germania, ma Visetti non ne cita, poche parole su di lui, prima socialista, poi avvicinatosi alla destra - diremmo non estrema, visto che pubblicava presso gli editori più importanti. Di estrema destra è invece il piccolo editore che ha pubblicato a febbraio il suo libro postumo.
Dubbi ne ha anche il filosofo tedesco Rudiger Safranski, il quale afferma "«non chiudere gli occhi davanti a una verità che aspetta di essere chiarita»", un invito che condividiamo.
Giampaolo Visetti
Lo spettro di un resistente antisemitismo collettivo nascosto, o quantomeno di un percepito "senso nazionale di ingiustizia" per l'unanime condanna storica di chi è stato responsabile dell'Oloausto, torna a dividere e a scuotere la Germania. A colpire l'imbarazzante nervo scoperto che ancora spacca intellettuali e gente comune, è il caso di un breve saggio sull'emergenza migranti che investe l'Europa, schizzato in testa alle classifiche dei libri tedeschi più venduti. "Finis Germania", "La fine della Germania", sostiene per l'ennesima volta la tesi della «costruzione interessata» del «mito» dello sterminio degli ebrei attuato dal nazismo di Adolf Hitler e afferma che tale «mito» ha costruito e continua ad alimentare una «taciuta ostilità globale» verso il popolo tedesco. La conseguenza di un «irrisolto senso di colpa» sarebbe una «perdurante auto-demonizzazione collettiva» germanica, a sua volta causa «dell'incapacità della nazione di reagire difronte alle contemporanee migrazioni di massa». La tesi, in sostanza, è che Berlino sarebbe politicamente obbligata a scegliere «una insostenibile accoglienza» dei migranti, per paura di venire accusata di un «razzismo figlio dell'antisemitismo». Il caso, da archiviare nell'oblio delle decine di sinistri e mesti tentativi di revisionismo storico, esplode invece a poche settimane dalle elezioni per due fatti sorprendenti e paradossali: Finis Germania, nonostante le critiche, domina da settimane le vendite e il settimanale Der Spiegel ha deciso di cancellare l'opera dalla sua classifica dei bestseller, guadagnandosi un'accusa internazionale di censura. Ora la discussione, dal rischio di un risorgente antisemitismo tedesco, si è spostata sulla legittimità del suo deciso contrasto, da parte di media e intellettuali: come se l'odio verso gli ebrei e la volontà di chiarirne la tragica assurdità, per scongiurare il pericolo di una sua ri-diffusione, possano essere posti sullo stesso piano. Il caso nasce lo scorso 17 febbraio. Il piccolo editoreAntois, vicino all'estrema destra, pubblica il saggio Finis Germania. L'autore è Rolf Peter Sieferle, storico controverso, un passato socialista e già consulente del governo di Angela Merkel sui temi ambientali. Sieferle, che nel 2014 non ha nascosto la sua «conversione intellettuale» alla destra e che ha pubblicato saggi con i maggiori editori tedeschi, si è suicidato il 17 settembre di un anno fa. Il suo libro esce postumo, inizialmente senza clamori. Bastano però poche settimane e diventa un caso editoriale sul web, al punto da conquistare la vetta delle vendite online sul sito germanico di Amazon, calcolate in 250 copie all'ora grazie alle cinque stelle assegnate nel giudizio-qualità dei lettori. A giugno la doppia svolta. Finis Germania passa in testa anche nella prestigiosa classifica (stilata da una giuria di qualità ) che dal 1990 il quotidiano bavarese Suddeutsche Zeitung stila assieme alla radio nazionaleNdr. Al centro dello scandalo finisce la stessa redazione dello Spiegel. È infatti il suo critico letterario, Johannes Saltzwedel, che rende possibile l'exploit assegnando al saggio di Sieferle tutti i venti punti personali che solitamente ogni membro della giuria della classifica Suddeutsche-Ndr distribuisce su varie opere. La motivazione: «Il libro è molto provocatorio e merita di essere letto». La conseguenza immediata è che ai primi di luglio Saltzwedel viene fatto dimettere dal settimanale. La seconda è che ieri Der Spiegel ha deciso di rimuovere Finis Germania dalla propria classifica dei libri più venduti nel Paese ( era al sesto posto ), attirandosi l'accusa di censura. La vicedirettrice Susanne Beyer, giustifica la scelta con i «contenuti di estrema destra, antisemiti e revisionisti» del saggio. «Non vogliamo contribuire a far vendere un libro simile - dice - abbiamo commesso un errore ma dovevamo rimediare». Ancora più netto il direttore, Klaus Brinkbäumer. «Capisco critiche e perplessità - dice - una classifica di vendite è un fatto, non una scelta. Ma in un caso tanto raro, e alla luce della storia, il giornale vuole considerare prima di tutto quanto è accaduto in passato. Il libro è antisemita e abbiamo il dovere di essere responsabili. La maggioranza dei lettori ha compreso e apprezzato: le critiche arrivano da pochi, oltre che da media concorrenti». Però si moltiplicano, in Germania e all'estero, le accuse di voler bandire «un saggio scomodo», di «proibizionismo» e di «censura», di «rogo dei libri» al contrario, di aver «messo all'indice» un intellettuale già isolato e suicida. Divisi anche storici e politologi. Da una parte chi, come Herfried Muenkler, condivide il rifiuto di valutare e implicitamente di promuovere «un testo impregnato di idee profondamente antisemite». Dall'altra chi, come il filosofo Rudiger Safranski, paragona Sieferle a Young e Heine, invitando a «non chiudere gli occhi davanti a una verità che aspetta di essere chiarita». La Germania, terrorizzata da un populismo di destra che in piena campagna elettorale lancia l'allarme invasione dei migranti, paragonandoli ai «nuovi ebrei da respingere» è costretta così a prendere atto davvero di non aver ancora moralmente e culturalmente risolto l'orrore dei campi di sterminio, contro cui sotto Hitler non si è ribellata. Negare l'Olocausto, nel Paese resta un reato. Ma un libro che condanna la sua «mitizzazione», invitando i tedeschi a liberarsi dalle influenze straniere, può ancora diventare il più venduto nella nazione. E a processo finisce chi si rifiuta di legittimarlo e di promuoverlo, per riconsegnarlo all'indifferenza verso un rigurgito di banalità neo-nazista.
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