sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Messaggero Rassegna Stampa
24.07.2017 Gli arabi palestinesi, i metal detector e le due facce di Abu Mazen
Commento di Fabio Nicolucci

Testata: Il Messaggero
Data: 24 luglio 2017
Pagina: 18
Autore: Fabio Nicolucci
Titolo: «Palestinesi deboli: boomerang per Israele»

Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 24/07/2017, a pag. 18, con il titolo 'Palestinesi deboli: boomerang per Israele', il commento di Fabio Nicolucci.

Fabio Nicolucci si chiede se sia interesse di Israele avere una Autorità Palestinese debole come controparte. La domanda sarebbe legittima se Abu Mazen collaborasse nella lotta al terrorismo, ma non è così: Abu Mazen non perde occasione per mandare le condoglianze alle famiglie dei terroristi uccisi, e non esita a incitare all'odio. Questa posizione spiega la frase di Golda Meir: "I palestinesi non perdono occasione per perdere un'occasione". Perché  Abu Mazen non spiega perchè le armi che hanno ucciso i due soldati israeliani erano disponibili sulla Spianata delle Moschee ?

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Fabio Nicolucci

Risultati immagini per spianata moschee metal detector
L'installazione di metal detector per l'accesso ala Spianata delle moschee sul Monte del Tempio

Se tra due parti in conflitto vi è troppa sproporzione, questo non è necessariamente un vantaggio né per la sua soluzione né per chi detiene il monopolio della forza. Come infatti insegna la Guerra Fredda, è la deterrenza—che origina da una credibile minaccia—a obbligare a comportamenti razionali. Ciò spiega perché l'attuale estrema debolezza politica palestinese, rispetto alla controparte israeliana, si sta rivelando un boomerang per Israele nell'ultima crisi di questo pluridecennale conflitto, corn inciata con l'attacco terroristico di venerdì 14 luglio scorso sulla Spianata del Tempio a Gerusalemme.

La polverizzazione del movimento nazionale palestinese, e la divisione tra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania, ha infatti spostato tutto il baricentro di un conflitto tra due popoli dentro il campo politico di uno solo. Quello israeliano. In assenza di credibili negoziati e di manifeste volontà in tal senso, l'urgenza della pace e della nascita di uno Stato palestinese sono oggi rappresentate innaturalmente solo dalla sola e confusa sinistra israeliana all'opposizione, oltre che dalla ostinata spinta in questo senso da parte di tutto l'apparato della sicurezza. La destra israeliana, soprattutto quella estrema che egemonizza l'attuale quarto governo di Netanyahu, lavora invece solo per lo status quo dei rapporti bilaterali, che ritiene assai vantaggioso — al contrario dei più lungimiranti apparati di sicurezza—per Israele.

Ma come è avvenuto che, pur essendo limpide all'inizio le ragioni di Israele e su chi fosse la vittima e chi il terrorista, non si parla più dell'attacco del commando terrorista arabo-israeliano e dei due poliziotti drusi israeliani uccisi ma di varchi elettronici? Come è potuto avvenire che quei metal detector, installati per prevenire altri atti terroristici nella Spianata del Tempio ne causino invece altri? Ciò è successo perché la mancanza di forza politica della parte palestinese ha di riflesso prodotto nel governo israeliano una sottovalutazione della portata della crisi. E quella che sarebbe dovuta essere una decisione tutta politica, data la enorme rilevanza simbolica del terzo luogo dell'Islam —ma anche luogo del Sancta Sanctorum del Tempio maggiore ebraico distrutto dai romani, di cui rimane solo il Muro Occidentale— è stata trattata come una mera misura amministrativa. Una decisione infatti caldeggiata dalla polizia israeliana, che però vedeva contrari l'esercito e lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno esperto dei rapporti con i palestinesi.

Eppure la propria esperienza personale del 1996, con una crisi scoppiata per l'apertura di un tunnel sotto il Muro Occidentale, e poi quella del 2000 di Ariel Sharon, la cui entrata nella Spianata con scorta armata fece scoppiare la seconda Intifada, avrebbero potuto suggerire a Netanyahu maggiore consapevolezza sulla enorme ricaduta politica di tutto ciò che ha che fare con la Spianata del Tempio. Come suggerivano i servizi israeliani. Soprattutto quando si tratta di toccare lo status quo nei rapporti tra i poteri che insistono su quei luoghi conquistati da Israele nel 1967 e prima sotto la sovranità giordana. Luoghi peraltro oggetto di una recente "rilettura" forzata in chiave solo islamica da parte dell'Unesco di cui si intravede adesso tutto il potenziale criminogeno. A torto o a ragione, lo status quo nella loro gestione— il luogo è amministrato da una istituzione religiosa giordana, e la polizia e l'esercito israeliano stazionano fuori - è visto, soprattutto dai palestinesi di Gerusalemme est iniziatori del boicottaggio ai metal detector e delle prime manifestazioni di protesta, come ultimo brandello della perduta identità non israeliana. E dalle opinioni arabe e mussulmane come l'ultimo simbolo universale e unificante in una contrapposizione ad Israele sempre più antistorica.

La decisione di installare i varchi, presa da Netanyahu di fretta la sera di sabato scorso prima di imbarcarsi per l'Europa, smentiva la saggezza con cui il Capo del Governo aveva invece trattato la crisi nelle sue prima 24 ore. Quando aveva subito telefonato ad Abu Mazen per evitare l'escalation e la trappola terroristica di accendere un conflitto tra israeliani e palestinesi su base religiosa. Ma la fretta del viaggio in Europa, la necessità di non lasciare alla destra estrema della propria coalizione tutta la scena, e la sottovalutazione dei rischi sistemici, sono stati dei pessimi consiglieri. Ed hanno ora trasformato i varchi elettronici, che in altri contesti sono del tutto normali, in un test per la sovranità sopra la Spianata del tempio. Cosa che si sarebbe per esempio evitata concordandoli anche politicamente con il Waqf, l'istituzione giordana che gestisce il sito. Così è cominciato il boicottaggio dei varchi, con le preghiere fuori della Porta delle Tribù e nelle vie circostanti di Gerusalemme est, poi degenerate in scontri.

Sono poi spuntati di nuovo i lupi solitari. Hamas ha quindi rivendicato la giustezza dell'attentato, meritandosi così l'arresto di 29 suoi esponenti ieri. Due giorni fa un terrorista palestinese ha poi trucidato una famiglia israeliana della colonia di Halamish. E quella che sembrava una mera misura tecnica, per un processo decisionale che ha sottovalutato il contesto più largo perché preso da dinamiche solo interne, rischia di deflagrare in una terza "Intifada al-bauabàt al-electroniya" (intifada dei varchi elettronici in arabo, ndr.). A questo punto non resta che aspettare il prossimo venerdì per vedere se la crisi riesce ad essere sminata, oppure no. E' ancora possibile. Sempre se cambia l'approccio attuale. Disastroso non solo per i palestinesi. Anche perché ogni volta che Israele ha cercato di imporre unilateralmente la sua sovranità sulla Spianata, è sempre finita con ottenerne meno di prima.

Per inviare la propria opinione al Messaggero, telefonare 06/4721, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


redazioneweb@ilmessaggero.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT