Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 19/07/2017, a pag. 2, con il titolo 'La nazionalità non è un automatismo gli immigrati se la devono meritare', l'intervista di Marina Valensise a Pascal Bruckner.
Pascal Bruckner
Il salvataggio di alcuni profughi nel Mediterraneo
Anche in Francia si discute di ius soli, ma senza l'urgenza tattico-politica che si avverte in Italia. E nel paese che annovera sei milioni di cittadini di origine musulmana, c'è poco spazio per l'improvvisazione. Scrittore e polemista, Pascal Bruckner da anni punta il dito contro l'ideologia del pentitismo e la debolezza di un discorso pubblico che non sa fare i conti col pragmatismo, per continuare a rincorrere le chimere. Nel suo ultimo libro (Un racisme imaginaire, Ed. Grasset) critica l'idea di islamofobia, il tabù politicamente corretto che non consente di affrontare con realismo le questioni legate all'immigrazione. Ma quando uno gli domanda se l'automatismo nell'acquisizione della cittadinanza sia un principio difendibile, Bruckner risponde senza giri di parole. «Il principio dell'automatismo è controverso nell'acquisizione della cittadinanza. La cittadinanza deve meritarsi. Non basta nascere in Francia o in Italia per diventare francesi. Bisogna aver voglia di esserlo, manifestare il desiderio di far parte della nazione. In Francia, persino la sinistra moderata è d'accordo su questo».
Cavalcare il radicalismo per evitare il nemico a sinistra, dunque, è fallimentare? «La nazionalità, insisto, non è solo un'eredità. E' un merito. Il semplice fatto di essere nato in un dato paese non basta: ci vuole l'educazione, la lingua, l'adesione alle leggi del paese, l'approvazione del progetto europeo. L'automatismo rischia di diventare un'esca per le decine di migliaia di migranti economici che sognano di sbarcare in Europa per sfuggire all'insoddisfazione e alla miseria. Ma il fatto è che non possiamo accogliere cento milioni di africani. E per fortuna adesso lo dice anche Bill Gates».
Bill Gates avrà letto Bruckner: ci invita infatti a non essere troppo generosi, perché aprendo indiscriminatamente le porte all'emigrazione, rischiamo di depauperare l'Africa del suo capitale umano, delle sue risorse prime. «In effetti, non possiamo accogliere 100 milioni di africani. Adesso, anche il nostro presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, sembra voler tenere separata la logica della compassione e quella della responsabilità, quando dice che bisogna salvare i rifugiati politici dalla guerra, dal terrore, dalla fame, senza però accogliere tutti i migranti economici. Voi italiani da tempo lo state facendo con grande nobiltà, salvando le persone, attivando le procedure per il riconoscimento dei disperati che sbarcano ogni giorno sbarcano sulle vostre coste. L'unica alternativa è rafforzare le procedure legali attraverso i visti da richiedere ai consolati, che però sono contingentati. Venire per mare è un modo di forzare la mano».
Intanto l'Austria ha deciso di chiudere le frontiere del Brennero, e l'Unione europea stenta a riconoscere che la sua frontiera sul Mediterraneo siano le coste italiane. «L'Italia ha ragione a rivoltarsi contro Bruxelles: è l'unico paese a sopportare tutto il fardello dell'emergenza migranti».
Ma concedere la cittadinanza al figlio di stranieri che nasca sul territorio nazionale, secondo lei, permette o no una migliore integrazione? «Lo ius soli permette l'inclusione, ma andrebbe arricchito con l'educazione, andrebbe completato con la formazione, la scuola, e persino con un rituale repubblicano».
Alcuni figli di immigrati pretendono di ottenere la nazionalità per principio, senza chiederla, senza sottoporsi a testi e procedure? Che ne pensa? «Sono i perfetti rappresentanti degli individualisti della società moderna, per i quali i diritti precedono i doveri, mentre oggi urge riequilibrare i diritti con un certo numero di doveri da assolvere per la società. Del resto, negli Stati Uniti d'America, paese di immigrazione per antonomasia, dove lo ius soli è automatico, chi voglia diventare americano, prima di ottenere non dico la cittadinanza ma un semplice visto d'ingresso, un permesso di soggiorno e la carta verde, deve affrontare una serie di ostacoli pressoché infinita. Lì esiste persino una categoria, "aliens of high value" riservata ai ricercatori e agli scienziati. Anche se l'automatismo dello ius soli fa parte del progetto costituzionale americano, diventare cittadino perché sei nato in terra americana, o in terra francese, non può prescindere dall'adesione ai valori, dall'educazione, dalla cultura».
In questo senso lo ius soli potrebbe essere un deterrente al radicalismo islamico, e favorire la sradicalizzazione, la normalizzazione dei musulmani vittime dell'atavismo, tentati dal fanatismo? «Un islamico che si ritrova a essere cittadino italiano, francese o tedesco, certo, ha maggiori possibilità di sfuggire alla morsa della religione d'origine. Entrare a far parte di un paese democratico significa poter abbandonare il crimine di apostasia, poter abbracciare l'ateismo, l'agnosticismo, persino la conversione senza passare più per un infedele. Ma è anche vero che per i figli di immigrati di seconda e terza generazione, nati in Francia e di cultura musulmana, non basta la cittadinanza per vincere l'utopia Jihadista. Serve l'educazione, l'adesione ai valori, un insieme di diritti e doveri, e un contratto tra lo stato e la comunità musulmana. Altrimenti, il rischio di una deriva identitaria resterà sempre forte».
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