Come reagire al terrorismo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
E’ sempre difficile analizzare il senso di un atto terroristico, almeno di una stretta razionalità strumentale. Mentre in linea di principio ogni mossa di una guerra regolare può essere giudicato rispetto al suo contributo a una strategia precisa, e dunque serve ad accumulare forze superiori o a logorare quelle dell’avversario in maniera chiara e in parte perfino oggettiva, il terrorismo è diverso perché in esso i fattori soggettivi sono molto più importanti. In genere nessuna azione terroristica ha in sé la forza di modificare i rapporti di forza fra le parti, ma serve soprattutto a incidere sull’atteggiamento del nemico, “terrorizzarlo” al di là del rischio razionale che corre e ancor di più a radunare il fronte dei possibili sostenitori, che spesso non sono affatto preparati né desiderosi di un conflitto armato. Il terrorista, in particolare il terrorista suicida di matrice arabo-islamica è ben disposto a perdere più di quel che ottiene, per esempio a compiere un’azione per cui quasi certamente morirà, senza la probabilità di ottenere un danno materiale analogo sui nemici. E’ vero che in certi casi, come nel terrorismo palestinista, il calcolo individuale può essere modificato in conseguenza a premi, salari, esaltazioni sociali, ed effettivamente questo avviene fra i sudditi dell’Autorità Palestinese (http://www.thetower.org/5202-palestinian-terrorist-admits-pa-payments-encouraged-him-to-kill-israelis/), ma in questo caso vi sono dei mandanti e il discorso vale per loro.
Questi effetti si svolgono sul piano dell’immaginario collettivo, dunque del simbolico. Il terrorista vuole apparire più pericoloso di quel che è effettivamente sia ai propri nemici che ai propri effettivi sostenitori. Spesso conta su effetti indiretti e apparentemente contro i suoi interessi. Un caso tipico, già sperimentato a suo tempo dalla Brigate Rosse e oggi praticato anche dai terroristi islamici, consiste nell’indurre il nemico democratico a rinunciare al suo sistema di garanzie universali, a trasformarsi in oppressore ingiusto come i suoi nemici (o, dicono i terroristi, a smascherare la sua pretesa illegalità). Per far questo il terrorista punta a ottenere reazioni repressive che colpiranno lui e i suoi compagni, ma si estenderanno ai loro possibili sostenitori inducendoli a schierarsi. Nei confronti dei nemici, invece, i terroristi cercano non solo di spargere la paura nel loro campo, ma di mostrare che non hanno il controllo del territorio, sottraendo loro risorse politiche, ma anche fonti economiche come il turismo.
Bisogna tener presente questa cornice per valutare gli attacchi terroristi dei giorni scorsi: quello che ha ucciso due turiste tedesche e ferito altri bagnanti su una spiaggia del Mar Rosso e quello che ha assassinato due poliziotti sul Monte del Tempio a Gerusalemme. Di entrambi avete avuto notizie sui giornali e in particolare qui su Informazione Corretta. L’altro giorno correva anche l’anniversario della strage di Nizza, ma in quest’anno trascorso sono avvenuti tanti attacchi che sembra passato molto più tempo. Per capire quel che è accaduto bisogna evitare la trappola sentimentale del lutto, degli hashtag di Twitter, dei lumini e di tutto il dispositivo che normalmente serve a sostituire la reazione politica, non a sostenerla. Non che la solidarietà non conti, anzi è preoccupante che nei confronti delle vittime israeliane ed ebree non ci sia quasi mai, e che in particolare in questa occasione non vi sia stata. Ma si tratta di atti politici violenti che vanno capiti e affrontati in quanto tali.
Il caso egiziano è il più semplice. I terroristi vogliono indebolire economicamente l’Egitto, terrorizzando i turisti e insieme stabilire, con un certo appoggio da parte di Hamas, una base terrorista nel Sinai, capace di attaccare Israele e l’Egitto. La colpa dell’Egitto è di essersi liberato dalla dittatura della Fratellanza Musulmana (di cui Hamas è un ramo, e che è appoggiata da Turchia e Qatar, a suo tempo da Obama). Certo, l’ha fatto con un colpo di stato dell’esercito sostenuto poi da elezioni taroccate come lo erano state del resto quelle in cui aveva vinto per un pelo la Fratellanza. Ma chi non vuole il dominio dell’islamismo deve essere grato ad Al Sissi per la sua mossa che ha veramente evitato una catastrofe in Medio Oriente. Non sarà certo l’oscura e pompatissima vicenda di Regeni a farmi cambiare idea su questo punto. Dunque la guerra fra Egitto e terrorismo nel Sinai è la guerra di tutti. Che i terroristi abbiano attaccato esplicitamente solo gli occidentali non è una novità: ai loro occhi si tratta di una guerra di religione che giustifica ogni efferatezza.
A Gerusalemme, in un giorno in cui il Monte del Tempio era chiuso ai non musulmani, i terroristi hanno ucciso a tradimento due poliziotti drusi (dunque arabi anche loro). L’hanno fatto evidentemente per cercare di provocare un’ondata di violenza che coinvolgesse la popolazione musulmana e in particolare gli arabi dell’autorità palestinese, che almeno ai sondaggi risultano, ma solo in parte, favorevoli alla ripresa massicchia del terrorismo (http://www.pcpsr.org/en/node/692). Non ci sono riusciti, anche perché la reazione israeliana (la chiusura per due giorni dell’area) è stata energica ma lucida e moderata. Le organizzazioni internazionali islamiche hanno polemizzato con Israele, ma in maniera piuttosto formale (http://www.timesofisrael.com/arab-league-scolds-israel-for-temple-mt-closure-failing-to-mention-attack/).
Come far sì che il terrorismo non prevalga e che le sue azioni siano sconfitte? Bisogna aumentare il costo simbolico di queste azioni, non farsene terrorizzare ma neppure procedere, come suggerirebbe l’emozione, a una repressione generale, che spesso fa parte dei calcoli dei terroristi. Israele è molto esperta in questa politica attentamente misurata: colpisce per esempio le famiglie e il clan dei terroristi (da cui spesso essi hanno avuto incoraggiamento, aiuto e complicità, e dal cui benessere economico e sociale sono spesso motivati); ma cerca di evitare le repressioni generalizzate, per non dare nuove reclute all’esercito dei tagliagole.
L’Occidente e in particolare l’Europa dovrebbe agire sul piano simbolico, facendo capire ai terroristi che la loro azione va nel senso opposto a ciò che si desidera. Dovrebbe prima di tutto esprimere solidarietà vera ai popoli colpiti, sentire chiara la verità per cui la strage di Nizza e quella del Monte del Tempio, gli accoltellamenti e gli investimenti automobilistici a Londra e nel Gush Etzion sono episodi perfettamente analoghi. Dovrebbe denunciare con più forza l’azione delle organizzazioni internazionali contro Israele su Gerusalemme e Hebron, perché l’obiettivo dell’Unesco e quello dei terroristi in questo momento convergono. Dovrebbe capire per davvero chi sono i nemici e chi gli alleati. Insomma, dovrebbe mostrare la stessa sagacia politica di Trump, stupidamente diffamato dai nostalgici del filoislamista Obama.
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