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Il Foglio Rassegna Stampa
12.07.2017 Bernard Berenson, da Boston a Firenze
Recensione di Alessandro Litta Modignani

Testata: Il Foglio
Data: 12 luglio 2017
Pagina: 2
Autore: Alessandro Litta Modignani
Titolo: «Bernard Berenson, da Boston a Firenze»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/07/2017, a pag. II, la recensione a "Bernard Berenson, da Boston a Firenze", di Alessandro Litta Modignani.

Alessandro Litta Modignani
Alessandro Litta Modignani

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La copertina (Adelphi ed.)

Per conoscenza dell’arte intendo quella sensazione, che deriva da una lunga intimità, di trovarsi di fronte a una data personalità artistica”. Dotato di un’eccezionale memoria visiva, vastissima conoscenza storica, perseveranza e capacità di concentrazione, unite a una fortissima personalità, Bernard Berenson è considerato forse il più grande critico d’arte del mondo moderno, sicuramente colui che più di ogni altro ha contribuito alla conoscenza e alla valorizzazione del Rinascimento italiano. Nato nel 1865 in una famiglia povera di ebrei lituani, emigrato a Boston da bambino, per tutta la vita Berenson soffrirà la mortificazione derivante dalle sue umili origini e cercherà di annullare l’appartenenza ebraica, convertendosi dapprima al protestantesimo negli Stati Uniti e poi al cattolicesimo in Italia.

 

Il giovane Berenson eccelle negli studi e si laurea in Storia dell’arte ad Harvard; nella battaglia generazionale si considera alleato con gli edoardiani, i nuovi sostenitori dell’arte per l’arte, contro i vittoriani; assapora il “delizioso tocco della bohème”, ma l’ambiente universitario, fortemente permeato di pregiudizi antisemiti, lo induce nel 1888 a emigrare a Firenze. Da qui, attraverso innumerevoli viaggi, dedicherà la sua lunghissima vita alla scrittura di fondamentali manuali divulgativi, alla composizione di grandi cataloghi enciclopedici, e soprattutto all’attribuzione dei più preziosi dipinti rinascimentali, cercando di conciliare – per quanto gli riuscirà possibile – la sua superiore sensibilità artistica e l’indiscussa autorevolezza, con le prorompenti esigenze del mercato internazionale. Berenson vive immerso in un ambiente colto, raffinato, elitario, e finisce con il rappresentare lo strumento mediante il quale i nuovi miliardari americani si impossessano avidamente dei grandi capolavori classici dell’arte italiana.

Nel contempo vive una vita sessuale “non convenzionale”, che Rachel Cohen descrive in tono malizioso e divertito. “Visse nell’adul - terio per molti anni prima di sposarsi, ebbe svariate relazioni, anche con più donne allo stesso tempo, e alla fine trovò la sua stabilità abitando insieme alla moglie e all’amante. Se riuscì a far sembrare tutto questo decoroso, aristocratico e da Vecchio Mondo, anziché rivoluzionario e bohémien, il merito è in larga parte del contesto di ricchezza e di erudizione nel quale si muoveva”. Proprio il controverso rapporto fra arte e denaro costituirà il cruccio maggiore nella vita del grande critico, per la consapevolezza di avere messo il suo prestigio al servizio dei grandi mercanti. “Svoltai nella direzione sbagliata – scriverà poco prima di morire, nel 1959 – quando mi allontanai dalle occupazioni più puramente intellettuali. La mia unica scusa è che anch’io avevo bisogno di guadagnare. (…) Il mio mestiere s’è preso il talento creativo che c’era dentro di me, con il risultato che questo mestiere ha costituito la mia reputazione, e il resto di me contava poco. La perdita spirituale è stata grande e di conseguenza mi sono considerato sempre e solo un fallito”.

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