Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/07/2017, a pag. 1-11, con il titolo "Sulla tregua di Trump e Putin la minaccia di Hezbollah e Iran", l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
La zona di confine tra Siria e Israele
Verso il basso si vede la cittadina di Joub Jannine, e la valle della Bekaa che scende, verso Nord, «un forno arroventato» d’estate, almeno dieci gradi in più rispetto a Beirut. Dall’altra parte sono le pendici del Jabal Haramun, la vetta più famosa della catena dell’Antilibano. D’inverno, tutto bianco di neve, è certo un’altra cosa. Ma il monte Haramun, o Hermon, mantiene la sua aria di inaccessibilità, invalicabile, all’incrocio fra Libano, Siria e Israele.
Oltre la vetta, si scende giù verso il Golan, Quneitra, Daraa e poi l’altipiano dei Drusi, la Suria Janubiya. Una terra di battaglie, soprattutto negli ultimi sei anni. Un pezzo del destino della guerra civile siriana si gioca lì, e non per niente è stata al centro dei colloqui fra Donald Trump e Vladimir Putin.
«Forse un giorno andare di là sarà solo una passeggiata in montagna». Andare in Siria, intende il comandante Abu Hassan. Hezbollah ha perso tanti uomini sulle cime e nelle valli dell’Antilibano. Probabilmente la maggior parte dei 1500 caduti nel conflitto siriano. La vera «passeggiata» che sognano, lui e gli altri ufficiali delle forze sciite che hanno partecipato alla difesa del regime di Bashar al-Assad, è quella da Beirut a Baghdad. Una partita complessa, che si gioca in Libano, Siria, Iraq e che forse avrà la sua svolta qui, da un lato e dall’altro delle montagne. Di là, ieri mattina, è scattata la tregua concordata da Trump e Putin. Il primo pezzetto che deve portare ai futuri assetti della Siria del dopo-Isis. I portavoce dei gruppi ribelli hanno fatto sapere che il cessate il fuoco regge: niente scontri né raid aerei.
Quneitra, Siria
«Ci fermano sempre quando stiamo per vincere». Hezbollah non è molto convinto delle mosse dei russi. «Con loro non parliamo direttamente, media il governo siriano». Il pressing dei russi è stato però fortissimo. Gli americani volevano come garanzia che l’esercito siriano, e soprattutto le milizie sciite alleate, non prendessero Quneitra, la porta del Golan, e tutta l’area di Daraa, al confine con la Giordania e vicinissima allo Stato ebraico. Le operazioni militari non si sono però fermate del tutto, ci tiene a sottolineare il comandante Abu Hassan. Al-Nusra, o come si chiama ora, e l’Isis, sono esclusi dalla tregua e conservano piccole sacche in zona. Ieri mattina l’esercito «ha ripreso Mukhtar Villa, alla periferia di Samadaniyah al-Sharqiyah». Un altro passettino verso Quneitra.
Se i russi proprio lo vogliono, Hezbollah se ne starà fuori da Quneitra, ma ha posto le sue condizioni, comunicate attraverso Damasco: «Che gli israeliani ci ridiano le Fattorie di Shebaa», l’ultimo pezzetto di Libano dal quale Israele non si è ritirato, grande come un paio di campi da calcio. Una richiesta irricevibile, si sa, ma fa parte dei giochi. I militanti del Partito di Dio si sono spinti dall’altra parte del confine «non per salvare Assad ma il Libano». Ora che le montagne sono state ripulite dai gruppi ribelli sunniti, a parte l’entroterra di Arsal, molto più a Nord, Hezbollah vuole sfruttare le posizioni in Siria per «mettere pressione su Israele senza coinvolgere il Libano».
Questa è la tattica, la strategia è molto più ampia. Il «corridoio sciita» può anche fare a meno dell’estremo Sud della Siria, di Quneitra e Daraa, ma non può rinunciare all’Est, il Badiya, il Deserto, come viene chiamato qui. «Gli americani ci hanno provato, dal posto di frontiera di Al-Tanf, a prendersi tutta la provincia di Deir ez-Zour e il confine con l’Iraq, ma sono stati fermati dall’Iran». Come? «Semplice. Il comandante Qassem Suleimani ha chiamato il premier iracheno Al-Abadi. Sei in buoni rapporti con gli americani, gli ha detto, allora avvertili, che se provano a fermarci al confine fra Siria e Iraq, l’Iraq diventerà peggio del Vietnam».
Qassem Suleimani è il comandante della Brigata Al-Quds dei Pasdaran iraniani. Ma è soprattutto l’uomo che ha creato e addestrato le milizie sciite decisive nelle guerre siriana e irachena. Decine di migliaia di uomini, centinaia di migliaia a sentir loro, che possono davvero trasformare Baghdad in un inferno. «L’aviazione americana avrebbe potuto incenerire le nostre colonne che avanzavano allo scoperto nel deserto, ma non l’ha fatto, e noi abbiamo raggiunto comunque il confine». La minaccia di Suleimani ha funzionato, il «corridoio sciita» ha fatto solo una piccola deviazione, ma resta aperto, anche se molto precario.
Ora la partita si sposta nella provincia di Deir ez-Zour. Gli americani hanno tracciato un’altra linea nella sabbia, come un secolo fa Mark Sykes e François Georges-Picot. Una linea obliqua che parte dal confine con la Turchia, include Raqqa, Deir ez-Zour e gran parte della provincia. Washington vuole che il controllo dei territori del Califfato morente a Est di quella linea passi agli alleati curdi. Per tenere fuori Assad e gli sciiti. Prima che la linea diventi d’inchiostro, tracciata sulla carta, Washington però «dovrà fare i conti con l’Iran, e il comandante Suleimani».
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