Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/07/2017, a pag. 27, con il titolo "Spianata delle Moschee: riaprirla è segno di distensione", la lettera di Angela Lanzo e la risposta di Aldo Cazzullo.
Il WAQF è l'ente islamico che gestisce l'area del Monte del Tempio/Spianata delle Moschee, e che pone difficoltà di accesso per i non musulmani, spesso escludendoli del tutto. Come sottolinea Aldo Cazzullo, è un grave errore e una evidente ingiustizia non solo nei confronti degli ebrei, per i quali quel luogo ha un valore unico e indubitabile (nonostante questo venga messo in dubbio dalle deliberazioni politiche unidirezionali dell'Unesco), ma anche per tutti coloro che, semplicemente, sono interessati a visitare l'area.
Ecco lettera e risposta:

Aldo Cazzullo

Musulmani davanti alla Moschea della Roccia
Caro Aldo,
Sono stata a Gerusalemme. La cosa che mi ha colpito è il fatto che andando alla Spianata delle Moschee non ci è stato consentito di entrare, in quanto appartenenti ad altra religione. Nelle nostre chiese nessuno si sognerebbe di non fare entrare persone di altre religioni.
Angela Lanzo
Martirano Lombardo
Cara Angela,
Non è stato sempre così. Ci fu un tempo in cui alla Spianata delle Moschee i i si poteva accedere liberamente. Poi fu proibita ai non musulmani, il che rappresenta un grave errore, perché non fa che rinfocolare le tensioni religiose che pervadono quella città e quella terra. Purtroppo, l'impressione è che alla pace non creda ormai più nessuno. Ci siamo illusi che sarebbe giunta con un trattato, poi per sfinimento. Ma non è arrivata in nessuno dei due modi. La prima volta che entrai nella Gerusalemme vecchia era il 1993. Era notte, ero con un gruppo di pellegrini, la porta di Damasco sembrava il cancello del paradiso. Era l'anno di Oslo, grazie a Rabin la pace pareva davvero a portata di mano. Una pattuglia di soldati israeliani sorvegliava la casa di Sharon che aveva issato la bandiera con la stella di David in mezzo agli arabi: i soldati stessi ne parlavano come di un estremista che rappresentava una sensibilità esistente ma minoritaria. Due anni dopo Rabin venne assassinato. Tornai nel 1999, al governo c'era Barak, un soldato che alla pace credeva. Nel zoo3 il lavoro mi riportò a Gerusalemme: premier era Sharon, che però non era più considerato un estremista, anzi il ritiro da Gaza da lui voluto accese grandi speranze, oltre all'opposizione dei coloni. Tornai l'ultima volta nel zoo5, per raccontare l'elezione del presidente palestinese Abu Mazen, considerato l'uomo del dialogo. Si pensò che, tolto di mezzo Arafat, l'accordo sarebbe stato possibile. Non è andata così Ricordo di quei giorni la visita al campo profughi dove le ruspe israeliane stavano abbattendo la casa di un kamikaze, un'intervista con il grande storico Benny Morris, preveggentemente pessimista, e rincontro con il cardinal Martini. Entrai nella sua stanza, fuori le mura della città vecchia, mentre uscivano i padri e le madri del «Parents Circle», un'associazione sostenuta da Martini che faceva incontrare i genitori delle vittime dello scontro, israeliani e palestinesi insieme. Un segno di pace prezioso, una delle tante speranze che non hanno ancora dato frutto. Riaprire la Spianata delle Moschee sarebbe un segno di distensione importante.
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