Riprendiamo da SHALOM di giugno 2017, a pag. 11, con il titolo "C'è ancora chi vuole cancellare lo Stato ebraico dalla carta geografica", l'analisi di Angelo Pezzana.
Angelo Pezzana
Una manifestazione per la distruzione di Israele in Iran
Abbiamo appena celebrato il 50° anniversario della Guerra dei Sei Giorni e credo di non essere il solo a chiedermi come dobbiamo ricordare quei giorni. La domanda mi sembra opportuna. Quella vittoria significò la riunificazione di Gerusalemme, da allora e a pieno titolo capitale indivisibile di Israele. La sconfitta subita dagli stati arabi, il cui obiettivo era la cancellazione dello Stato ebraico e la cacciata in mare degli ebrei, non insegnò nulla,né agli arabi né all’Occidente, come era già successo nella Guerra di Indipendenza del 1948 e nella successiva del Kippur del 1973. Infatti la volontà di eliminare Israele dalle carte geografiche è tuttora viva in alcuni stati – primo fra tutti l’Iran- e i movimenti terroristi quali Hezbollah, Hamas, Stato islamico.
Israele ha sempre e soltanto dovuto difendersi; dal voto dell’Onu che divideva la Palestina mandataria in due stati, uno ebraico e uno arabo, Israele non ha mai cercato di conquistare territori altrui, Striscia di Gaza,il Sinai,il Golan, la Cisgiordania hanno coinvolto Israele come conseguenza delle vittorie contro gli stati che le avevano dichiarato guerra. Se gli stati arabi avessero voluto la pace, l’avrebbero ottenuta, come è avvenuto con Egitto, che riebbe Sinai e Gaza, e con la Giordania, a dimostrazione che Israele non aveva mire di conquista. Ma quei due trattati di pace non hanno spinto gli altri stati della regione a riconoscere e accettare l’esistenza di Israele.
Iran: "Israele deve essere spazzata via dalla mappa"
Dal ’67 in poi, grazie alla propaganda targata OLP, l’Occidente ha dimenticato chi erano gli aggressori e chi l’aggredito, i territori sono diventati “occupati” senza che ne venissero più raccontate le motivazioni. Israele, da nazione vittima di un possibile sterminio, da allora è diventata il paese occupante per eccellenza. Ricordare come i confini del ’48 e del ’67 fossero indifendibili – Abba Eban, all’Onu, li aveva chiamati i “confini di Auschwitz”- e che quindi una loro ridefinizione dovesse far parte delle trattative di pace del conflitto, scomparve dalle analisi e dai commenti di storici e cronisti.
Le enormi responsabilità dei regimi arabi vengono regolarmente ignorate, arrivando a descrivere con l’espressione ‘aprire il fuoco’ l’uccisione di circa 20.000 palestinesi da parte del defunto re Hussein di Giordania nella strage passata alla Storia con il nome di “Settembre Nero”. Si ricordano con precisione i numeri delle vittime a Gaza nella guerra del 2014, ignorando come l’alto numero fosse dovuto alla scelta premeditata di Hamas di sistemare le strutture militari per il lancio dei missili contro Israele all’interno di ospedali, scuole, abitazioni civili, paragonandoli alle perdite israeliane, ovviamente molto inferiori. Tutto ciò serve a distogliere il pensiero da quel che avviene negli stati nemici di Israele, sembra quasi rispondere a un ordine preciso, anche se non escludo una buona dose auto-censura. Israele l’ha capito e risponde a tono. Chi conosce la Storia ha il dovere di non tacere.
Per inviare a Shalom la propria opinione, telefonare: 06/87450205, oppure cliccare sulla e-mail sottostante