Moschea femminista a Berlino: ma una rondine non fa primavera Commento di Tonia Mastrobuoni
Testata: La Repubblica Data: 05 luglio 2017 Pagina: 16 Autore: Tonia Mastrobuoni Titolo: «La Libera Moschea dell'imam femminista: 'Mi vogliono morta'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/07/2017, a pag. 16, con il titolo "La Libera Moschea dell'imam femminista: 'Mi vogliono morta'", il commento di Tonia Mastrobuoni.
Ben vengano le iniziative come la fondazione di una moschea a Berlino, ospitata in una chiesa e dunque non indipendente, con una donna imam e aperta a tutti. Si tratta, però, di una rondine che non fa primavera: l'islam europeo, e non solo, vive ancora immerso in un lungo e freddo inverno. Non stupisce che diversi Paesi musulmani abbiano chiesto alla Germania di chiudere la moschea e che la fondatrice del luogo di culto Seyran Ates abbia ricevuto minacce di ogni genere.
Ecco l'articolo:
Tonia Mastrobuoni
Seyran Ates nella moschea che ha fondato a Berlino
Seyran Ates non molla mai. Le agenzie hanno fatto appena in tempo a battere la notizia che l’attivista turca vive di nuovo sotto scorta per le minacce di morte collezionate nelle ultime, movimentatissime settimane, che lei ha già lanciato il prossimo progetto. «Puntiamo al milione di firme in sette Paesi europei, dobbiamo farcela», racconta con voce squillante al telefono, poco dopo la presentazione a Berlino di “Stop extremism”, l’iniziativa che vorrebbe ottenere sostegno sufficiente per promuovere una direttiva europea che lotti contro l’estremismo di destra.
«Battersi contro le destre è una priorità », aggiunge. Ates ne sa qualcosa: quando era giovanissima e si manteneva gli studi in legge alla Freie Universität lavorando per un’associazione che proteggeva le donne dalle violenze domestiche, un uomo sparò a una sua cliente e ferì gravemente lei. Si scoprì poi che l’attentatore era un militante ultranazionalista, un sicario dei Lupi grigi, un fascista che continua a vivere tranquillamente a Kreuzberg dopo l’assoluzione. Ma il fatto di aver sfiorato quasi la morte da studentessa non ha fatto che rafforzare l’impegno di Ates, che oggi, alla luce delle rinnovate minacce delle ultime due settimane, con tono calmissimo ci dice che «se mi vogliono morta, vuol dire che sto facendo la cosa giusta». Intanto, l’iniziativa lanciata lunedì intende costringere i Paesi europei a impegnarsi di più contro le destre. «Dobbiamo investire molto di più nell’educazione e favorire iniziative per il lavoro; la mancanza di istruzione e la sensazione di venire respinti dalla società alimentano spesso la frustrazione che spinge a preferire i modelli autoritari », spiega.
«Battersi contro le destre è una priorità », aggiunge. Ates ne sa qualcosa: quando era giovanissima e si manteneva gli studi in legge alla Freie Universität lavorando per un’associazione che proteggeva le donne dalle violenze domestiche, un uomo sparò a una sua cliente e ferì gravemente lei. Si scoprì poi che l’attentatore era un militante ultranazionalista, un sicario dei Lupi grigi, un fascista che continua a vivere tranquillamente a Kreuzberg dopo l’assoluzione. Ma il fatto di aver sfiorato quasi la morte da studentessa non ha fatto che rafforzare l’impegno di Ates, che oggi, alla luce delle rinnovate minacce delle ultime due settimane, con tono calmissimo ci dice che «se mi vogliono morta, vuol dire che sto facendo la cosa giusta». Intanto, l’iniziativa lanciata lunedì intende costringere i Paesi europei a impegnarsi di più contro le destre. «Dobbiamo investire molto di più nell’educazione e favorire iniziative per il lavoro; la mancanza di istruzione e la sensazione di venire respinti dalla società alimentano spesso la frustrazione che spinge a preferire i modelli autoritari », spiega.
Di recente, la pietra dello scandalo che le ha attirato un centinaio di minacce di morte grazie alle calunnie dei fondamentalisti e di qualche sostenitore di Erdogan, è diventata la sua moschea Ibn-Rushd-Goethe, contro la quale pare si sia mobilitato persino il presidente turco. Nella capitale non si parla d’altro, e le foto delle preghiere hanno fatto il giro del mondo. Inimmaginabile quasi ovunque quello che accade qui da metà giugno. Donne e uomini, sunniti, sciiti e aleviti inginocchiati uno accanto all’altro nella moschea del quartiere Moabit inaugurata il 16 giugno mormorano sure del Corano, senza muri divisori, stanze a parte o discriminazioni di sorta. «Anche gli omosessuali sono i benvenuti», tiene a puntualizzare la femminista. Lei ci ha lavorato «per otto anni», e l’altra rivoluzione è che quel tempo le è servito a studiare: l’imam è lei, l’avvocato che ha dedicato la sua intera vita alle cause degli ultimi. Nelle foto dell’inaugurazione si vede il suo fisico minuto avvolto nella galabya, mentre predica con aria timida e gli occhiali enormi inforcati sulla punta del naso. Il ministro della Giustizia, Heiko Maas (Spd) ha salutato l’iniziativa «che ha uno scopo giusto: battersi contro il terrorismo e per la tolleranza».
Non tutti la pensano così. A parte Erdogan stesso che avrebbe chiesto al governo Merkel di chiudere d’imperio la moschea più liberale d’occidente, si stanno muovendo anche i suoi maggiordomi. Il presidente turco avrebbe dato ordine a Ditib, la più importante comunità turca in Germania, ma anche a Diyanet, l’istituzione religiosa di Ankara che manda qui moltissimi imam, di avviare una campagna di calunnie contro la femminista nata a Istanbul. La strategia per screditarla? Mettere in giro la voce che agisca per conto di Fethullah Gulen, il nemico giurato del Sultano, accusato pubblicamente del putsch del 2016. Ates respinge con forza le accuse di essere vicina all’imam che vive da anni in esilio negli Stati Uniti. E la sua iniziativa straordinaria rappresenta una risposta importante anche rispetto alle enormi polemiche suscitate dalla decisione di Ditib e di altre associazioni religiose di disertare la recente manifestazione indetta a Colonia da alcune associazioni musulmane per protestare contro il fondamentalismo islamico. Peraltro Ates è contenta dell’enorme eco suscitata dalla sua moschea: «Mi dicono che ne vogliono aprire anche in Svizzera, a Colonia e a Friburgo. Siamo un’onda e siamo solo all’inizio. Non ci fermeranno».
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