Paolo Mastrolilli
Donald Trump
La festa del 4 luglio si è trasformata in un incubo per Donald Trump, costretto a convocare un vertice di emergenza alla Casa Bianca, per valutare le risposte al lancio del primo missile intercontinentale della Corea del Nord. Sul tavolo della «Situation room» c’erano i nuovi piani presentati dal Pentagono per colpire Pyongyang, che potrebbero diventare l’unica strada percorribile, se durante il G20 di Amburgo in programma venerdì e sabato il presidente non riuscirà a convincere Cina e Russia che è venuto il momento di fermare Kim.
Il missile Hwasong 14 lanciato ieri dalla Corea del Nord ha volato per 931 chilometri, ma prima di cadere nel mare davanti al Giappone ha raggiunto la quota di 2800 chilometri. Questo, secondo i calcoli dell’intelligence americana, consente a Pyongyang di definirlo un Icbm, perché se fosse andato in linea retta avrebbe superato il raggio di 5500 chilometri che qualifica i vettori intercontinentali. Così Kim Jong-un ha cambiato completamente la situazione, perché ha dimostrato di poter colpire l’Alaska. Forse non è in grado di montare le venti testate nucleari che possiede sopra i Hwasong 14, e magari la loro gittata non garantisce ancora di raggiungere il territorio americano, ma di questo passo è solo una questione di tempo prima che ci riesca. Trump quindi deve reagire, ma le sue opzioni sono molto limitate. Ieri ha risposto via Twitter: «La Corea del Nord ha appena lanciato un altro missile. Ma questo tipo, Kim, non ha niente di meglio da fare nella vita? Difficile credere che la Corea del Sud e il Giappone accetteranno questa roba ancora a lungo. Forse la Cina userà la mano pesante con Pyongyang e metterà fine a tanta follia una volta per tutte!».
Il primo problema è che Kim, in effetti, non ha molto di meglio da fare. Ha visto la morte di Gheddafi, dopo la sua rinuncia alle armi di distruzione di massa, e considera il programma nucleare come la sua assicurazione per la sopravvivenza. Perciò ha già condotto 83 test missilistici, 11 durante l’amministrazione Trump, contro i 16 di suo padre e i 15 del nonno. Se avesse voluto negoziare la fine della corsa atomica, Pyongyang avrebbe potuto farlo già con Clinton e Bush, ma quegli accordi sono falliti perché secondo il regime non garantivano il suo futuro. Quanto alla Cina, dopo il vertice di Mar a Lago il capo della Casa Bianca si era convinto di aver trovato l’intesa con Xi, che potrebbe mettere in ginocchio Kim chiudendo i rubinetti delle forniture petrolifere. Pechino però non ha dato seguito alle sue promesse, perché in fondo la Corea del Nord le fa comodo così: non abbastanza forte da attaccare per prima, ma abbastanza minacciosa da compromettere i piani di Washington per la sicurezza regionale. Nei giorni scorsi Trump ha aumentato la pressione su Xi, inviando navi da guerra nel Mar cinese meridionale, fornendo armi per 1,4 miliardi di dollari a Taiwan, imponendo sanzioni alle banche della Repubblica popolare che aiutano ancora Pyongyang, e minacciando una guerra commerciale sull’acciaio. Ad Amburgo il capo della Casa Bianca farà ancora un tentativo di convincere il collega di Pechino ad agire, aggiungendo un avvertimento. Dopo il test di un missile capace di raggiungere l’Alaska, gli Usa non possono restare fermi: o ci aiutate a fermare Kim, oppure agiremo da soli.
La proposta circolata da cinesi e russi prevede la fine delle esercitazioni Usa con la Corea del Sud e il blocco del sistema di difesa missilistica Thaad, in cambio del congelamento del programma nucleare di Pyongyang, ma Washington non è disposta a fare questa concessione e non è neppure sicura che basti. Anche le opzioni militari, però, sono limitate. Il riarmo nordcoreano ormai è troppo avanzato, per pensare di fermarlo con un’operazione chirurgica come in Siria, e Kim potrebbe reagire bombardando Seul o marciando verso Sud. Sarebbe la seconda guerra totale nella penisola, con conseguenze imprevedibili.
Al momento la Casa Bianca sta considerando una «risposta misurata», che potrebbe comprendere l’invio di altre truppe, aerei, e navi nella regione. Il Pentagono poi ha attivato tutte le sue difese missilistiche, anche per dare garanzie agli alleati, a cui ha offerto di installare il sistema Thaad. Sul piano diplomatico, poi, gli Usa sono pronti a nuove sanzioni, bilaterali e in sede Onu. Tutto ora dipenderà dalla risposta di Xi a Trump.
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