Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/06/2017, a pag.1, con il titolo "Lo ius soli rafforzerà l'Italia" l'editoriale di Gianni Riotta.
Riotta confonde l'America con l'Europa, cosa molto grave se si vuole essere considerato uno storico. In più parte dalla storia personale, trasferendola su altri che nulla hanno da spartire. Tra un giovane meridionale che lascia il sud per entrare nel mondo del giornalismo - dal Manifesto fino alla direzione del Sole24Ore- la storia personale di Riotta nulla ha a che vedere con lo ius soli. Se venisse approvata succederà ciò che Ugo Volli ha spiegato chiaramente:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=66687
Gianni Riotta
Se l’Italia del premier Gentiloni approvasse davvero lo ius soli, diritto di cittadinanza per chi nasce in un Paese, entrerebbe a far parte di un club ristretto. Solo in una trentina di nazioni, infatti, si diventa cittadini nascendo entro i confini, tra i maggiori Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Pakistan, mentre in Europa nessuno gode di «ius soli» assoluto, la Francia concede il passaporto ai neonati stranieri, ma con il filtro di varie regole. Anche negli Usa il XIV emendamento alla Costituzione «Tutte le persone nate negli Stati Uniti sono cittadini degli Stati Uniti», fu approvato nel 1868, dopo guerra civile e schiavitù, e con gli stati ex sudisti ad opporsi strenuamente. Le loro argomentazioni, «lo ius soli distruggerà l’anima dell’identità americana», rimandano in modo impressionante l’eco di chi, nel dibattito di oggi, teme che la cittadinanza ai nuovi nati disperda spirito e cultura italiani, da Dante, alla civiltà cattolica, al Rinascimento in un suq orientale. Lo storico Eric Foner riassume bene la questione «Molte cose che crediamo tipiche dell’America - l’amore per la libertà individuale, le opportunità sociali - esistono in altri Paesi. Ma la cittadinanza per diritto di nascita è, con il Canada, pressoché unica nel mondo sviluppato… espressione dell’impegno all’uguaglianza e all’espansione della coscienza nazionale… eredità della lotta titanica… per creare una vera democrazia fondata su principi egualitari…”.
Sono emigrato per due volte nella vita, dapprima in Italia poi in America, e so per esperienza che immigrazione, integrazione fra culture, razze e religioni, scontro e incontro di identità e civiltà, sono esperienze ardue, campo quotidiano di tragedie e speranze, che nessun dibattito di talk show coglie.
Ho due figli americani per «ius soli» e vederli, a casa, a scuola, al lavoro, bilanciare le loro due culture mi ha insegnato, con umiltà, a temere slogan e facili soluzioni.
Mio figlio, nel tema di ammissione al college, si definì «Figlio di due immigranti dall’Italia meridionale…che passa la vita a difendere gli Stati Uniti in Europa e l’Europa negli Stati Uniti». Quando era all’asilo il suo panierino con il pranzo «italiano», panino con la frittata o la cotoletta, pasta, insalata, la mela, tornava sempre intatto, e alle nostre rimostranze rispose «I compagni mi prendono in giro, sono l’unico a non avere sandwich con il burro di arachidi o baloney», l’immangiabile mortadella made in Usa.
Anni dopo il grande scrittore italo-americano Gay Talese mi raccontò «Capii di essere italiano, diverso dagli altri, a scuola, al primo pranzo al sacco insieme, mia madre mi dava piatti che nessun altro aveva». Tra Gay e mio figlio era passato mezzo secolo, ma la cultura strideva ancora e, credetemi in futuro striderà, perché nessun genitore italiano darà mai «baloney» alle sue creature. Ma la forza dello ius soli - nel quale ho imparato a credere e che, a mio avviso, anche in Italia avrebbe alla lunga benefici effetti - è nell’insegnamento di Foner, la speranza che «essere italiani» non sia marchio di fabbrica esclusivo, ma condivisibile esperienza vitale.
Il vignettista Stefano Disegni ha pubblicato una gustosa striscia con la «prova culturale per essere italiani», vale a dire sorpassare male, parcheggiare peggio, suonare il clacson al semaforo, e coglie nel segno, i nuovi cittadini avranno l’intera identità italiana, da parlare la lingua del Petrarca a essere incapaci di fare la fila.
La sfida è a noi stessi. Se proviamo a preservare la tradizione che ci lega in una cassaforte legale, la perderemo isterilita, se la scommettiamo nel mondo futuro la integreremo e rafforzeremo. Agli amici cattolici, infine, che temono per i valori cristiani in una Italia con ius soli, va ricordato, con rispetto, che «cattolico» vuol dire, appunto, universale, e dall’universalità da sempre trae radice e vita.
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