Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/06/2017, a pag.12, con il titolo "L’Egitto cede ai sauditi le due isole strategiche e rinsalda l’asse anti Iran", la cronaca di Davide Frattini; da AVVENIRE, a pag. 4, con il titolo "Siria, asse Trump-Macron: Assad pagherà se usa i gas", la cronaca di Luca Geronico.
Ecco gli articoli:
Corriere della Sera - Davide Frattini: "L’Egitto cede ai sauditi le due isole strategiche e rinsalda l’asse anti Iran"
Davide Frattini
Le due isole all'imbocco del Golfo di Aqaba
Giura di aver obbedito agli insegnamenti della madre, gli ripeteva di restituire quel che non era suo. Eppure per cedere ai sauditi le rocce rosse di Tiran e Sanafir il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha ottenuto in cambio aiuti economici per 25 miliardi di dollari. Non bastano ai parlamentari che hanno protestato per giorni contro l’accordo, non bastano ai manifestanti scesi per strada a urlare slogan contro quella che considerano una svendita, almeno del senso della patria. Perché le due piccole isole stanno all’ingresso del Golfo di Aqaba, chi controlla le acque che le bagnano domina l’accesso al Mar Rosso, un punto di transito strategico. Per tutto il Medio Oriente e per gli israeliani: da lì passa il traffico navale verso il porto di Eilat, per proteggere la libertà di movimento dei mercantili sono andati in guerra almeno un paio di volte, a partire dal 1956 e dalla crisi di Suez quando il leader egiziano Gamal Adbel Nasser ordinò la chiusura dello stretto. Eilat ha anche un valore simbolico: era stato il presidente americano Harry Truman a riconoscere la sovranità dello Stato ebraico su quel tratto di costa che si incunea tra i Paesi arabi. Adesso il governo di Benjamin Netanyahu sembra aver dato il benestare silenzioso all’operazione con l’Arabia Saudita.
La gestione delle isole è dettagliata dagli accordi di Camp David, è dalla stretta di mano del 1979 che gli egiziani garantiscono il passaggio attraverso lo stretto di Tiran. La responsabilità viene affidata ai sauditi che non hanno relazioni diplomatiche con Israele e in modo ufficioso diventano parte dell’intesa di pace firmata trentotto anni fa. Il passaggio di proprietà dei due isolotti indica un passaggio di alleanze: i Paesi sunniti del Golfo si avvicinano all’altra forza nella regione impegnata quanto loro a contrastare l’offensiva degli ayatollah sciiti. È l’asse anti Iran che Donald Trump, il presidente americano, ha cominciato a costruire nel suo viaggio tra Riad e Gerusalemme. Pur di garantire l’accordo con i sauditi, Al Sisi ha ignorato le decisioni dei giudici che avevano stabilito l’appartenenza all’Egitto dei territori e ha scelto di portare la questione davanti al Parlamento dove ha ottenuto il voto favorevole dei deputati a lui fedeli. L’annuncio della cessione è stato dato alla vigilia di Id al Fitr, quando i musulmani sono impegnati a preparare i festeggiamenti che concludono il mese sacro di Ramadan. «Gli egiziani sentono il pericolo, la vergogna e la sconfitta generati dall’aver dato via le isole — commenta la scrittrice Ahdaf Soueif sul quotidiano americano New York Times –. La vita per noi è sempre stata dura ma la pietra fondante della nostra identità è che l’Egitto ha vissuto in forma riconoscibile per migliaia d’anni. Questa pietra si sta erodendo perché le caratteristiche più importanti della nazione vengono corrotte».
Avvenire - Luca Geronico: "Siria, asse Trump-Macron: Assad pagherà se usa i gas"
Raqqa: il Califfato è sotto assedio, Assad uscerà di nuovo i gas?
Bashar Al Assad
Con l'assedio stretto su Raqqa, la "capitale" siriana del Daesh, e mentre potrebbe essere questione di pochi giorni per la liberazione definitiva di Mosul in Iraq, inizia l'inevitabile quanto intricatissima resa dei conti in Siria: nodo inestricabile, come per tutti i sei anni di guerra civile, resta il futuro di Bashar el-Assad. Per il presidente siriano, riapparso in pubblico domenica scorsa ad Hama per Eid al-Fitr, questa fine di Ramadan è carica di messaggi incrociati fra le superpotenze che ambiscono a fare da arbitro nel dopo-Califfato. Così la telefonata dell'altra notte fra il segretario di Stato Usa Rex Tillerson e il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov in vista dei prossimi colloqui di Astana in programma il 4 e 5 luglio, ha subito riacceso tensioni mai sopite e fatto sfiorare l'incidente diplomatico. Lavrov, spiega una nota del ministero degli Esteri russo, ha chiesto a Washington di «adottare le misure necessarie per evitare provocazioni contro le truppe del governo siriano che combattono contro i terroristi».
Immediata, quanto dura, la replica della Casa Bianca: se Assad compierà nuovi attacchi chimici, il dittatore e il suo esercito «pagheranno un prezzo pesante». Gli Stati Uniti «hanno identificato i possibili preparativi per un altro attacco con armi chimiche da parte del regime di Assad che probabilmente causerebbe una strage di civili, compresi bambini», si legge in un comunicato della Casa Bianca. Le attività, precisa Washington, «sono simili ai preparativi fatti dal regime prima del suo attacco del 4 aprile». Il 7 aprile gli Usa colpirono la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero decollati i velivoli responsabili dell'attacco chimico contro Khan Sheikhoun. La base venne colpita da 59 missili lanciati dai cacciatorpediniere Uss Porter e Uss Ross nel Mediterraneo orientale. La Casa Bianca, prosegue il comunicato, ricorda di essere in Siria «per eliminare l'Isis dall'Iraq e dalla Siria», ma di non poter permettere un nuovo attacco con armi chimiche. E poco dopo, segno di una precisa strategia pianificata a Washington, un tweet dell'ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Nikki Haley: «La responsabilità di nuovi attacchi contro la popolazione siriana verrà addossata ad Assad, ma anche alla Russia e l'Iran, che appo r ano l'uccisione da parte del presidente della sua stessa gente».
Una posizione sulle armi chimiche che sembra avvicinare la Casa Bianca all'Eliseo ora guidato da Emmanuel Macron: la scorsa settimana il neo-presidente francese aveva affermato in una intervista che la destituzione di Assad in Siria non è una priorità, mentre lo è la stabilità del Paese anche se «armi chimiche e corridoi umanitari» rappresentano una linea rossa e che, nel caso ne venisse accertata l'esistenza, Parigi è pronta a intervenire per bombardare i depositi di armi chimiche. E in una telefonata fra Trump e Macron invitato a Parigi dal collega per la parata del 14 luglio), i due presidenti ieri si sono presi l'impegno di una risposta comune in caso di un nuovo attacco chimico da parte di Assad. Altrettanto dura la replica del Cremlino che ha condannato le «inaccettabili minacce» degli Stati Uniti contro il regime siriano. «Non abbiamo nessuna informazione in tal senso», ha precisato il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov a riguardo di possibili raid chimici in preparazione. «Consideriamo inaccettabili minacce di questo genere alle autorità legittime della Repubblica araba siriana», ha aggiunto Peskov. Per questo a Mosca si parla di un pretesto, cercato a Washington, per scatenare un nuovo attacco contro l'esercito siriano. Poco dopo Assad ha visitato la base aerea russa di Hmeymim nella Siria orientale mentre un comunicato del Pentagono confermava la presenza di attività con armi chimiche nella stessa base di Shayrat già bombardata in aprile.
Una schermaglia preliminare in vista di una "liberazione" siriana dal Daesh che inevitabilmente scatenerà una serie di interessi internazionali contrapposti. Il segretario alla Difesa Usa, Jim Mattis, ha infatti precisato che resta aperta la possibilità che gli Stati Uniti forniscano, nel medio termine, armi ed equipa amenti alle milizia curde del Ypg in Siria che la Turchia considera una formazione terrorista alleata del Pkk turco. Ma la guerra al Califfato in Siria non è ancora finita e presenta il suo «prezzo pesante» in vite umane. Almeno 57 detenuti, denuncia l'Osservatorio siriano per i diritti umani, sono morti in un raid aereo che sarebbe stato realizzato all'alba di lunedì dalla coalizione a guida Usa su un carcere del Daesh ad al-Mayadeen, nell'Est della Siria.
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