Riprendiamo dalla STAMPA - TORINO di oggi, 27/06/2017, a pag. 57, con il titolo "Il partigiano che ci insegnò cosa significa avere 20 anni", la cronaca di Paolo Coccorese.
Emanuele Artom
La sfida al presente è nascosta nell’anagramma di quella strada che gli fu intitolata nel Dopoguerra quando nacque Mirafiori Sud. Quartiere operaio, casermoni-fotocopia, famiglie arrivate dal Sud e i loro ragazzi che non vedevano avvenire, l’emarginazione, le porte in faccia, l’arrivo dell’eroina, i giovani perduti. Dai suoi stessi figli, via Artom fu ribattezza «via Morta»: la strada di chi non ha speranza nel futuro. Un paradosso se ripercorre la vita del partigiano, intellettuale ebreo e antifascista ucciso nel 1944 che le ha dato il nome. «Per chi è nato negli anni Ottanta, Emanuele Artom è poco più che una strada difficile. Mentre era un giovane che scriveva che il taedium vitae può essere vinto in un’unica maniera: partecipando alle cose umane, vivendo delle soddisfazioni spirituali, fisiche e morali distraendoci da quello che chiama “il vuoto dell’Abisso”», dice Gigi Giancursi, direttore artistico di «Avevamo 20 anni», la tre giorni che da domani proporrà a Mirafiori incontri, letture, musica e sport per riscoprire la sua figura.
Sono ancora attuali le questioni che il giovane Artom si poneva nelle pagine del suo diario scritto 70 anni fa e pubblicato postumo. Come quando l’intellettuale che scelse la via della montagna si interrogava sui manifesti che inneggiavano alla messa in fuorilegge della razza ebraica riflettendo che non dovevano essere gli ebrei a strapparli dai muri: ma «l’umanità intera», che da quelle scritte veniva offesa. «Erano un marchio infamante come quello che ancora oggi colpisce i migranti. Oggi come allora, sembra non essere cambiato nulla», dice Giancursi.
Bollati Boringhieri ed.
La «scelta» è una delle parole chiave che «Avevamo venti anni» - organizzata dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte e dal Laboratorio Ctm - pone per rileggere un personaggio che rifiuta le categorizzazioni. Se è vero che Artom era ebreo, torinese, partigiano, dalle pagine che scrisse emerge prima di tutto il ritratto di una forte umanità. La stessa di chi, nel suo terribile battesimo del fuoco, confida di aver rinunciato a mitragliare alle spalle i nemici in fuga evitando loro l’ingiustizia di una morte così terribile. Sorte che la storia non gli risparmierà con quel suo corpo che non venne mai ritrovato. «Riscoprire la vita di Artom vuol dire esplorare la sua coscienza critica. Alla quale si sposa il coraggio di mostrare la propria debolezza - aggiunge il direttore - Artom è lontano dall’iconografia del partigiano bello e invincibile».
Il programma prevede giovedì un percorso alla riscoperta dalla memoria del quartiere in compagnia del Comitato Borgata Mirafiori e alle 21, al Mausoleo della Bela Rosin la presentazione del libro «Per il verso giusto. Piccola anatomia della canzone», con l’autore Simone Lenzi dei Virginiana Miller, band che parteciperà al concerto di chiusura di venerdì alla Casa nel Parco di via Panetti 1.
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante