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La Stampa Rassegna Stampa
24.06.2017 Al Jazeera, megafono del terrorismo, la libertà di stampa non c'entra nulla
Commento di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 24 giugno 2017
Pagina: 17
Autore: Francesca Paci
Titolo: «La 'Cnn araba' in bilico tra libertà di stampa e propaganda politica»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/06/2017, a pag.17, con il titolo " La 'Cnn araba' in bilico tra libertà di stampa e propaganda politica" il commento di Francesca Paci su Al Jazeera.

Al Jazeera non è in bilico tra libertà di stampa e propaganda politica, Al Jazeera è propaganda politica. Finanziata dal Qatar, è stata il megafono - e lo è tuttora- del terrorismo anti-occidentale e anti regimi arabi cosiddetti 'moderati', quelli che l'Iran vorrebbe eliminare invadendoli.
Gli Emirati, dopo la visita di Trump, hanno preso coraggio e si relazionano oggi con il Qatar in modo corretto. Una politica che viene indirizzata anche a Iran e, in parte, anche alla Turchia. Sta cambiando la geopolitica del Medio Oriente, chi critica ostinatamente Trump rifletta sui risultati che l'incontro di Riad sta ottenendo.

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Francesca Paci

Per capire l'ascesa e il declino della Cnn mediorientale, passata in vent'anni dal ruolo di paladina della libertà d'espressione a quello di presunta portavoce dell'islam politico sobillato dai Fratelli Musulmani, bisogna guardare ai suoi spettatori, il corrispettivo dell'opinione pubblica di Lippmann in un mondo che fino al debutto di al Jazeera aveva conosciuto solo le famigerate piazze arabe. Si, perché i regimi regionali l'hanno avversata sin dall'inizio, da quando nel lontano novembre 1996 un manipolo di giornalisti professionisti in buona parte ex Bbc iniziò a trasmettere sei ore al giorno nella lingua parlata da circa 300 milioni di persone dagli studi finanziati dall'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, il padre dell'attuale. Ma la gente no. Per almeno un decennio dalla Tunisia alla Giordania il famoso logo dorato ha rappresentato la fiammella dell'informazione indipendente in Paesi dominati da media governativi.
In Algeria durante le sue trasmissioni più popolari si verificavano dei black out così frequenti da far sospettare un intervento sabotatore dall'alto. Poi, a partire dal 2011, a torto o a ragione, l'umore popolare, in questo ambito assai più importante degli attestati di stima occidentali, è cambiato.
Cos'ha fatto perdere a al Jazeera la battaglia per il cuore e la mente della società araba che l'emiro aveva ingaggiato per acquisire soft power? Una buona risposta è in Egitto, caso esemplare dell'inversione di marcia regionale dove all'indomani della caduta di Mubarak, glorificata da al Jazeera, i caffè, fino a pochi mesi prima sintonizzati coralmente sulla tv del Qatar, hanno cominciato a cambiare canale. In quelle settimane i reporter di Doha sembravano John Reed in Russia nel 1919, cronisti ma soprattutto cantori della rivoluzione che dilagava da Tunisi al Cairo e poi a Sana'a, Aleppo, Bengasi. Certo, non mostravano esattamente la stessa partecipazione per i ribelli in piazza della perla a Manama, sciiti seppur con le stesse ambizioni democratiche dei coetanei sunniti. Né si dilungavano troppo sul malcontento popolare in Qatar, dove, rivela un insider, nei primi mesi del 2011 i giornalisti furono a dir poco «coccolati» dalla proprietà.
Ma nel mondo dei media chi è senza peccato scagli la prima pietra e al Jazeera era pur sempre la tv che dopo l'11 settembre aveva ottenuto e diffuso gli esclusivi video-messaggi di Osama bin Laden, narrato in arabo le bombe su Kabul e la seconda guerra del Golfo, denunciato la corruzione dei dittatori regionali (che per difendersi l'accusavano di lavorare per Israele).
Un faro: l'unico prima che arrivassero la filosaudita al Arabya, Sky News Arabia con base negli Emirati e mille altri canali privati online. Poi l'Egitto votò, i partiti islamici guadagnarono terreno, i Fratelli Musulmani si imposero sul palcoscenico politico fino a vedere eletto presidente il fino allora oscuro Mohammed Morsi. Erano i mesi in cui l'emiro del Qatar visitava Gaza accolto in trionfo dai sostenitori di Hamas, il cui leader Meshal aveva da poco lasciato Damasco per Doha. «E' stato un periodo folle, i miei colleghi sembravano aver perso la testa, acritici, tifosi del governo in carica» racconta off the record una voce da dentro la redazione.
Più l'Egitto s'infuriva contro la pessima prova di Morsi più al Jazeera la difendeva, più la piazza invocava la blindatura della Gaza di Hamas ritenuta rea di volersi infiltrare nel Paese più i suoi reporter spiegavano il contrario: prima che l'avvento di al Sisi ne facesse chiudere gli uffici e ne mettesse in prigione i giornalisti con l'accusa strumentale di terrorismo, i caffè del Cairo avevano già spento rabbiosamente la tv qatarina e i liberal si erano convinti che fosse stata proprio al Jazeera a indirizzare la primavera verso l'inverno islamista a cominciare da quando, due venerdì dopo l'uscita di scena di Mubarak, avevano visto comparire in piazza Tahrir il controverso tele-predicatore di al Jazeera Qaradawi, oggi nella lista nera degli indesiderati che Riad vorrebbe espulsi dal Qatar.
Non che nei suoi primi 15 anni la Cnn araba fosse stata sempre d'impronta anglosassone (a differenza della sua versione inglese nata nel 2006): già nel 2004 Cheney e Rumsfeld avevano protestato con il Qatar per la sospetta tempestività con cui le telecamere di Doha arrivavano sempre per prime sui sequestri di americani in Iraq e sulle criticità a stelle e strisce, ottenendo la promessa di un codice etico dell'emittente (poche settimane dopo però, Qaradawi tele-predicò che tutti gli americani in Iraq erano da considerare combattenti e ucciderli era un obbligo religioso).
Ma allora gli spettatori credevano ciecamente in al Jazeem tanto da denunciare come un «attentato» il bombardamento dei suoi uffici durante la guerra in Afghanistan e in Iraq. Oggi, dopo la copertura dell'Egitto di Morsi e poi della Libia post Gheddafi, l'ultimo mito panarabo, troppo a lungo in bilico tra la libertà d'espressione e di propaganda, perde lustro. Riad ha chiuso gli uffici di al Jazeera e lo stesso ha fatto la Giordania ma da almeno due anni in molte case, nei ristoranti e nei caffè delle capitali mediorientali il logo dorato non si vedeva quasi più.

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