Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/06/2017, a pag.15, con il titolo "Dalla Tunisia al Marocco, quei giovani anti-Ramadan", il commento di Rolla Scolari
La società laica fatica a muovere i primi passi nei paesi musulmani, però qualcosa si sta muovendo. Ecco la situazione in Tunisia, Marocco, Egitto.
Rolla Scolari
Quest'anno è stata la Tunisia a protestare. E per la prima volta nel Paese, il dibattito sulla possibilità di mangiare in pubblico durante Ramadan, il mese sacro del digiuno islamico che si chiude domenica, si è trasformato in un'inedita manifestazione di piazza, I'11 giugno. «Che fastidio ti dà, se tu digiuni e io mangio?», era la scritta sul cartello di un uomo, la sigaretta in mano, che ha partecipato alla protesta di domenica. Per i musulmani, durante il mese di Ramadan, iniziato il 26 maggio, i fedeli dall'alba al tramonto non possono mangiare, bere, fumare, fare sesso. Dal 2011, dalle rivolte di piazza contro i regimi in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria, ogni anno tornano puntuali le controversie e il dissenso attorno all'imposizione da parte degli Stati del digiuno. Anche in Paesi dove la legge non dice nulla a riguardo, come appunto la Tunisia. Qui mangiare o bere in pubblico non è reato. Eppure, nelle prime settimane di Ramadan quest'anno la notizia dell'arresto di quattro persone trovate a mangiare e fumare in giardini pubblici ha fatto scalpore. Erano stati alcuni passanti ad avvertire le autorità. Gli attivisti laici - il gruppo di cui fanno parte si chiama Mouch Bessif, in dialetto arabo locale «Non contro la nostra volontà» - ricordano come nella nuova Costituzione tunisina si parli di libertà di credo e coscienza. Le proteste sulla libertà di digiunare o non digiunare a Ramadan non sono nuove nei Paesi islamici del Nord Africa. Già nel 2014, un pranzo di dissenso era stato organizzato nella regione algerina della Cabilia, nel Nord. Qui, vive la minoranza berbera, più laica rispetto al resto della popolazione. In Marocco, invece, dove l'Islam è religione di Stato e il re Mohammed VI vuole proiettare in Medio Oriente, Africa ed Europa l'immagine di una religione istituzionale, tradizionale e moderata, esiste proprio una legge che proibisce di rompere il digiuno anzitempo e in pubblico. Nel 2012, l'ex ministro della Comunicazione marocchino, Mustafa el-Khalfi, membro del partito islamista per la Giustizia e lo Sviluppo, Pdj, aveva detto che le autorità sarebbero state inflessibili nell'applicare l'articolo 222 del codice penale, secondo il quale chi rompe il digiuno in pubblico rischia fino a sei mesi di prigione. E ci furono diversi arresti. Sia in Tunisia sia in Marocco i numeri «dei refusenik» del Ramadan restano esigui e relegati a una élite soprattutto giovane di attivisti.
In Egitto, nel 2014, dopo la caduta dei Fratelli musulmani, che dal 2012 al 2013 hanno detenuto la presidenza con Mohammed Morsi, diversi caffè erano stati chiusi - e i loro avventori arrestati perché trovati mentre bevevano e fumavano - ad Alessandria durante Ramadan. E ancora oggi, dopo la rottura serale del digiuno, per entrare in alcuni locali notturni dove sono serviti alcolici è richiesto un documento di identità: gli stranieri possono entrare, gli egiziani musulmani - la religione è riportata sulla carta di identità - restano fuori. I negozi che vendono liquori e alcolici sono chiusi durante l'intero mese oppure, senza una licenza speciale concessa per esempio ai grandi alberghi e ad alcuni ristoranti, non possono vendere. Eppure, se per Dar al-Ifta, l'istituzione che produce gli editti religiosi rompere il digiuno è un peccato, non esiste in Egitto una legge che vieti il mangiare e bere in pubblico.
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