Riprendiamo dal FOGLIO del 20/06/2017, a pag. 3, la recensione a "Carciofi alla giudia", di Elisabetta Fiorito, a cura di Alessandro Litta Modignani.
Alessandro Litta Modignani
Elisabetta Fiorito
La copertina (Mondadori ed.)
Il legame fra David Fellus, ebreo romano di origine tripolina, e Rosamaria Cecchiarelli, di tradizionale famiglia cattolica, è esposto a tutte le intemperie della vita quotidiana. Lei non è più giovanissima; si era ormai rassegnata a restare zitella, quando in extremis è rimasta incinta di lui, ex compagno di scuola rincontrato dopo tanti anni. Ai tempi del liceo David era bellissimo e le aveva spezzato il cuore, ora si sono ritrovati ed è arrivato il Grande Amore, portandosi però appresso un carico di problemi non di poco conto. Circoncidere o no la piccola creatura? Anche facendolo, il bambino non sarà ebreo, avverte bonariamente il rabbino. E in futuro, sposarsi o non sposarsi? Solo civilmente, come vorrebbe lei, oppure convertirsi lei stessa all’ebraismo e un domani, chissà, “salire” in Israele, come David spera? Da ragazza, Rosamaria ha sperimentato le confessioni religiose più originali e strambe, fino ad arrendersi a un sano agnosticismo; ora cerca di dedicarsi al teatro, sua passione e professione, ma continua a collezionare delusioni.
Sull’altro versante, i Fellus sono molto più concreti, si occupano di commercio senza troppe fisime e producono magliette trash per i turisti. La vita dei Cecchiarelli è però anche segnata da un grande dolore. Valerio, il fratello di Rosamaria, è scomparso nel nulla, tutto lascia pensare che si sia suicidato per sfuggire alla vergogna e ai debiti causati dal tracollo finanziario dell’azienda di famiglia. L’anziana madre non si rassegna, sogna che il figlio è nascosto lontano e inventa di continuo nuovi possibili nascondigli in cui Valerio potrebbe essersi rifugiato. Anche David, del resto, ha un passato che ritorna, lo avvolge, lo riconduce alle sue radici come un’irresistibile forza di gravità. Carciofi alla giudìa è un romanzo divertente e leggiadro, ricco di umorismo ebraico e di sarcasmo romanesco.
Quasi un ricettario di cucina, pieno zeppo di golosità gastronomiche, in cui intere pagine sono dedicate alla scrupolosa preparazione di prelibate pietanze, piatti che richiedono cura, ricerca, pazienza e pignoleria oltre ogni limite. L’abilità letteraria di Elisabetta Fiorito si manifesta in una particolare capacità di coniugare il dramma della scomparsa di Valerio con l’operosa quotidianità delle due famiglie allargate. Il rapporto fra la rigorosa ortodossia ebraica e la spensieratezza dei Gentili è descritto con ironia e leggerezza, in una continua tensione fra pregiudizio e dissacrazione. Il rapporto difficile e complesso fra occidente secolarizzato e morale ebraica non porta necessariamente a un’antitesi. Il dolore si stempera nella malinconia e la vita riprende il suo insopprimibile cammino.
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