Riprendiamo dal CORRIERE del TRENTINO di oggi, 20/06/2016, a pag. 21, con il titolo "Paradigma Mortara", l'intervista di Marika Damaggio a David Kertzer.
A gennaio 2018 è prevista l'uscita di un libro di Daniele Scalise sul caso Mortara. Ne avremo modo di parlare ancora a ridosso dell'uscita. Ottima l'intervista a David Kertzer.
Daniele Scalise
Ecco l'articolo:
David Kertzer
«Non possumus», rispose puntualmente il Pontefice alla richiesta di restituire il piccolo alla sua famiglia. Non posso, non possiamo. Nemmeno se il prezzo dell'ostinazione segna l'erosione dello Stato pontili do, spingendo i moti di protesta sino a San Francisco e prestando argomentazioni utili alla causa di Cavour, ultima spallata a un potere spirituale, presto allontanato dalla sfera temporale. «Mi sei costato un impero», disse ancora Pio IX a Edgardo Mortara. Il bambino ebreo di sei anni appena — battezzato in segreto dalla domestica — venne rapito a Bologna il 23 giugno 1858, su istanza della Sacra Inquisizione. «Il battesimo di Edgardo lo rendeva cristiano e secondo le leggi dello Stato pontificio, una famiglia ebraica non poteva allevare un cristiano», racconta David Kertzer che nel 1996 ha dato alle stampe per Rizzoli il volume dedicato al caso-Mortara, Prigioniero del Papa re. Una storia dimenticata per un secolo e mezzo. «Eppure le 700 pagine dei verbali erano lì, nell'Archivio di Stato di Bologna», ricorda Kertzer.
Figlio del rabbino Morris N. Kertzer, sbarcato ad Anzio prima e Roma poi come cappellano militare con le truppe alleate, il premio Pulitzer nonché professore delle cattedre di scienze sociali, antropologia e studi italiani alla Brown, giovedi sarà ospite dell'università di Trento (alle 17, Aula Kessker). Con Diego Quaglioni e Christian Zendri, Kertzer discuterà del rapporto tra ebrei e Vaticano, di battesimo, Inquisizione e Risorgimento, ma anche di cinema. Steven Spielberg porterà infatti sul grande schermo la storia di Edgardo.
Professore, a 23 anni, nel 1971, si è trasferito a Bologna per scrivere la tesi di dottorato sul rapporto tra Pci e cristiani. Il suo legame con la città è proseguito nel tempo, fino a farle riscoprire la storia di Edgardo Mortara. Come si è sviluppato il percorso storiografico sulle fonti? «È stato negli anni Novanta che ho sentito per la prima volta del caso Mortara. Una scoperta che mi ha stupito, ma ancora di più mi ha sorpreso vedere che gli storici italiani non ne sapevano nulla. È stato a quel punto che mi sono rivolto all'Archivio di Stato di Bologna dove ancora oggi si trovano i verbali del processo condotto dall'inquisitore in seguito al ratto del piccolo Edgardo. I verbali, drammatici, erano lì, a disposizione: oltre 700 pagine. Quando l'ho letto ho deciso non solo di scriverne, ma di scriverne per un pubblico più ampio».
Qual è il valore simbolico di questa storia e per quale ragione ha ritenuto opportuno divulgarla attraverso un libro? «In America in pochi conoscono la storia italiana, soprattutto moderno-contemporanea; volevo quindi contribuire a divulgarla. Il caso, poi, si presta a una riflessione più ampia. È stato infatti trascurato poiché si rivelava imbarazzante non solo per la Chiesa, perché chiaramente rapire un bambino e chiuderlo in un seminario a Roma ha sollevato proteste da più parti, ma è stato imbarazzante anche per la comunità ebraica italiana. All'inizio Edgardo era un martire ebreo, poi però è diventato prete e la storia del suo rapimento lui stesso l'ha utilizzata come ispirazione per il mondo cattolico. Nel tempo gli storici italiani hanno trascurato l'evento: non faceva parte della narrativa dominante. Sia chiaro: questi casi erano frequentissimi; battesimi forzati e bambini rapiti dallo Stato pontificio, dove l'Inquisizione ha avuto potere di polizia. Tuttavia è stato solo in questo periodo — nel mezzo del Risorgimento e della campagna per separare potere temporale dal potere spirituale — che tali episodi hanno colpito la collettività, tanto da essere utilizzati anche da Cavour per dimostrare l'urgenza del cambiamento e la fine dello Stato pontificio».
Steven Spielberg, prossimo regista di un film sul caso Mortara
Steven Spielberg colpito dal suo libro farà un film sul caso Mortara. Cosa si aspetta? «Innanzitutto la divulgazione della storia italiana sarà di per sé una grande occasione. Nel volume e anche nel film non si trova una contrapposizione tra buoni e cattivi, la vicenda è ben più complessa e spero che il pubblico la comprenda».
Il suo volume «Il patto col diavolo», uscito nel 2014 con Rizzoli, ha vinto il Pulitzer e racconta la storia dei rapporti tra Pio XI e Mussolini. Tra Vaticano e fascismo esisteva un interesse comune o, phittosto, la collaborazione era opportunistica? «C'erano cattolici veramente fascisti, ma se parliamo del Vaticano e della curia non si può dire che ne condividessero l'ideologia. Papa Pio XI non si illudeva: sapeva che Mussolini non era un uomo religioso. Tra l'altro vedo che oggi accade qualcosa di simile: pastori protestanti di destra che appoggiano convintamente Trump che non va certamente in Chiesa. Tornando al Vaticano, ricordiamoci che Mussolini ha offerto alla Chiesa un posto privilegiato, in cambio del mutuo sostegno. Un patto senza illusioni: c'erano le basi potenziali per un conflitto, ma c'era anche la consapevolezza dell'esistenza di un grande beneficio reciproco».
Nella sua ultima visita a Trento, nel 2014, ha condotto un seminario dedicato al rapporto tra Vaticano e fascismo, focalizzandosi sul processo di italianizzazione. Qui come si è declinato il rapporto tra Chiesa e fascismo? «Il fronte sudtirolese è ancora tutto da scrivere. I parroci erano perlopiù di madrelingua tedesca, aspetto non gradito dal regime che intendeva italianizzare il Tirolo meridionale. Ciò ha creato non poche tensioni con il Vaticano, poco incline a sostituire i propri preti. Purtroppo, però, l'accesso alle fonti non è ancora semplice. Speravamo che Papa Francesco fosse l'uomo dell'apertura degli archivi vaticani, ma a distanza di quattro anni così non è stato».
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