Da dieci anni che il regime di Hamas controlla Gaza: nuove prospettive
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Rochel Sylwetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Civiltà e Barbarie
Generalmente gli articoli che compaiono sui giornali tendono ad essere negativi e critici perché i giornalisti devono riferire calamità naturali, guerre, conflitti, problemi e ogni tipo di difficoltà e non invece l’inaugurazione di un asilo o la posa della prima pietra di un nuovo quartiere residenziale: le guerre fanno notizia, mentre una nuova scuola materna non interessa i lettori.
Purtroppo il mondo arabo offre un sacco di materiale sconvolgente, soprattutto dalla fine del 2010, quando è iniziata una terribile tempesta, chiamata in un primo momento “Primavera araba”, che ad oggi ha causato centinaia di migliaia di morti, milioni di feriti e più di dieci milioni di rifugiati, perlopiù siriani. Nessuno ha idea di quando e se questa orribile tragedia avrà fine.
Suggerisco una proposta dagli aspetti positivi per Gaza, anche se il mio Paese, lo Stato d’Israele, soffre non poco a causa sua, uno Stato fondato esattamente dieci anni fa, nel giugno del 2007, da Hamas.
Non sono certamente un sostenitore di Hamas, poiché uno dei suoi principali obiettivi è quello di eliminare me, la mia famiglia e il mio Paese. Si deve però riconoscere che questo movimento, contro ogni previsione, è riuscito a fondare uno Stato, ad amministrarlo, a difenderlo e a trasformarlo in un fait accompli sulla carta politica del Medio oriente.
Considero Gaza uno Stato, perché ciò che è stato istituito negli ultimi dieci anni è, a tutti gli effetti, uno Stato. E’ un’entità governativa con un leader, un dipartimento di polizia, un esercito, un’industria militare, agenzie di sicurezza interna e di intelligence, un sistema giuridico, dei media, un sistema fiscale, una legislazione, dei ministeri dell’istruzione e della sanità, delle infrastrutture e ogni altra istituzione di cui uno Stato ha bisogno.
Lo Stato di Gaza ha persino definito i suoi confini, dei valichi di frontiera con Israele ed Egitto, gli Stati che la circondano, trovando accordi con questi e altri Paesi che gli consentono di gestire la vita quotidiana.
Tuttavia, la creazione di uno Stato non cambia il fatto che Hamas sia un'organizzazione terroristica in tutto e per tutto, non solo a causa dei suoi atti di terrorismo contro Israele e la sua popolazione ebraica, ma a causa dei terribili sistemi che impiega contro i propri cittadini al fine di mantenere il suo totale dominio.
Israele è ben consapevole di questo, ma i suoi vertici politici non hanno alcuna intenzione di abbattere il governo di Hamas, e persino un Paese come l'Egitto, che sta conducendo una guerra a tutto campo contro i Fratelli Musulmani, di cui Hamas è un braccio armato, è in trattative con i rappresentanti dello Stato di Gaza che arrivano al Cairo come ospiti ufficiali.
Inoltre, lo Stato di Gaza è riuscito a forzare Israele, suo acerrimo nemico, a fornirgli cibo, carburante, medicine e materiali da costruzione, in parte utilizzati per scavare i tunnel da cui attaccare lo stesso Israele.
Nessun Paese al mondo è riuscito ad ottenere da un altro Stato, di cui invoca continuamente la distruzione, di rifornirlo di ogni tipo di merce. Qualcuno può immaginare che il Regno Unito, la Francia o gli Stati Uniti avrebbero inviato nulla più di una banana marcia, ad un Paese che avesse giurato di distruggerli?. Lo Stato di Israele invece, ogni giorno invia centinaia di tonnellate di banane perfettamente commestibili a Gaza, nonostante il fatto che lo statuto di Hamas – il documento della sua fondazione – inneggi, in termini inequivocabili, alla distruzione di Israele.
Ogni singolo giorno, oltre un migliaio di camion carichi di tutti i tipi di merce entrano da Israele nello Stato di Gaza. Hamas confisca subito tutto ciò che può essere utile per l’organizzazione ed i suoi attivisti e lascia gli avanzi per la popolazione. Inoltre, Hamas impone tasse governative per finanziare le proprie attività.
Quando c’erano ancora i tunnel per il contrabbando tra Gaza e l’Egitto, Hamas aveva gestito quest’industria, finché poi l'Egitto non li ha distrutti. Era consentito solo ai suoi militanti di scavare le gallerie, era vietato a chiunque fosse nella sua lista nera, e,come forma di imposta, si doveva consegnare una parte delle merci di contrabbando. Da un punto di vista politico, Hamas è riuscito a raggiungere una posizione dello stesso livello dell'OLP, cioè quello di rappresentare il “popolo palestinese”. Nelle prime elezioni a cui Hamas aveva preso parte - un dato significativo - aveva vinto la maggior parte dei seggi della Legislatura palestinese.
Un’altra impresa, altrettanto importante, è il fatto che i capi di Hamas sono riusciti ad avere dalla loro parte il Qatar, con tutta la massiccia capacità economica di quell’ emirato ricco di gas. L’Emiro del Qatar è il primo governante arabo, e finora l’unico, che ha visitato lo Stato di Gaza mentre è sotto il dominio di Hamas e lo ha fatto senza chiedere all’Autorità palestinese il permesso di farlo.
Il Qatar finora ha investito miliardi nello Stato di Gaza, finanziando con i propri soldi gli armamenti, i razzi e l'industria dello scavo dei tunnel.
Il sostegno economico del Qatar fornito ad Hamas, ha consentito di sopravvivere a tre violenti scontri con Israele: “Operazione Piombo Fuso” nel 2008-09, “ Pilastro di Difesa” nel 2012 e “Margine di Protezione” nel 2014.
L’emittente del Qatar Al Jazeera ha servito gli interessi di Hamas durante ognuna di queste operazioni e le sue trasmissioni anti israeliane non-stop, ha spinto l’opinione pubblica araba e internazionale contro Israele.
Di recente lo Stato di Gaza sta affrontando tempi duri: dapprima, a causa della divisione tra Qatar e gli altri Emirati. Poi Trump,nel suo discorso a Riad, aveva incluso Gaza nella lista delle organizzazioni terroristiche. L’AP si rifiuta oggi di continuare a pagare l'energia elettrica fornita da Israele allo Stato di Hamas, il cui intero costo annuale è di circa un decimo della quantità di denaro che Hamas riceve e investe nell’industria militare e nella costruzione dei tunnel, comportandosi con un cinismo assoluto: la popolazione di Gaza può continuare a soffrire nel buio e senza refrigerazione nella torrida stagione estiva, mentre i leader vivono una vita confortevole.
La popolazione di Gaza non ha detto una parola. Tutti sanno cosa succede a chi critica Hamas - prima viene arrestato, poi viene portato nelle camere di tortura nelle segrete di Hamas, e poi non se ne sa più nulla. Chiunque sia sospettato di collaborazione con Israele viene giustiziato sommariamente e questo è accaduto solo poche settimane fa. Lo stesso Sinwar, il nuovo leader di Hamas, è accusato di uccidere chi sospettava di tradimento. In casi estremi, uomini mascherati compaiono nelle case dei sospetti nel cuore della notte e umiliano le loro famiglie in tutti i modi possibili. Inoltre la più grande realizzazione dello Stato di Hamas è la situazione di stallo che ha raggiunto con Israele. Approfittando della sensibilità di Israele per la vita umana, Hamas pone i suoi lanciarazzi nel bel mezzo di aree civili in modo che i suoi cittadini formino degli scudi umani. In caso di emergenza, i leader di Hamas si nascondono nei bunker costruiti sotto gli ospedali, sapendo che Israele non li bombarderà. Il regime di Hamas scava i suoi tunnel d’attacco sotto le scuole dell'UNWRA perché le Nazioni Unite non permetteranno ad Israele di colpirle. E' quanto è successo nelle ultime tre guerre.
Proprio di recente, l’organizzazione delle Nazioni Unite ha scoperto uno di questi tunnel, e il suo Segretario Generale non si è nemmeno preso la briga di condannare Hamas per averlo scavato. Dopo tutto, il Qatar finanzia alcune organizzazioni delle Nazioni Unite, come l’UNESCO, e il Segretario Generale sa bene come astenersi dall’offendere la fonte del suo budget.
Israele si preoccupa per la sicurezza della popolazione israeliana nei pressi di Gaza e questo lo porta a cercare di evitare attriti con lo Stato di Hamas, per quanto possibile.
Ogni volta che qualcuno spara un colpo dalla Striscia di Gaza verso Israele, la reazione israeliana è immediata, e il governo di Hamas ha imparato la lezione.
Israele ha anche costruito barriere sotterranee al confine con Gaza, ma siamo certi che Hamas cercherà, e forse troverà, modi per aggirare questi ostacoli, sia distruggendoli che scavando ancora più in profondità.
Il Ministro dei Trasporti israeliano, Yisrael Katz, ha proposto la costruzione di un porto marittimo per Gaza e forse anche un aeroporto su un’isola artificiale di fronte alla Striscia, in modo che tutto ciò che arriva a Gaza debba passare con il controllo di Israele prima di raggiungere la costa. V’è una logica in questo progetto, ma è difficile credere che il governo di Hamas lo accetterà. Il regime terroristico non si preoccupa del benessere dei propri cittadini ed è solo interessato a gestire un proprio porto, non uno costruito nel mare, dove non può importare armi e razzi perché è sotto il controllo di Israele.
La domanda ovvia è quale dovrebbe essere la posizione che Israele nei confronti dello Stato di Hamas.
A mio parere, Israele dovrebbe garantire de facto il riconoscimento allo Stato di Gaza e relazionarsi con esso, come fa con qualsiasi Stato. Limitando l’accesso dal mare,
Israele può permettere a Gaza di utilizzare il vicino porto di Ashdod, consentendo a qualsiasi tipo di merce, che non rappresenti un pericolo per Israele, ad essere inviata direttamente a Gaza senza difficoltà e senza pagare dogana.
Israele dovrebbe poi favorire l' istituzione di altri Emirati, delle Città-Stato basate secondo le regole delle famiglie tribali, a Hebron, Ramallah, Schem, Qalqilya, Tulkarem e Jenin.
Israele dovrebbe mantenere il controllo nelle zone dei propri villaggi in Giudea e Samaria mentre tutti gli altri saranno cittadini dei nuovi Emirati.
Tale soluzione darà ai residenti arabi della Giudea e della Samaria l’indipendenza, la stabilità e la prosperità, garantendo la sicurezza in Israele e la pace a tutti.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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