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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, vale la pena di ragionare sul conflitto inter-arabo (o piuttosto: sul conflitto fra le forze musulmane del Medio Oriente, comprendendo anche gli iraniani, che, a parte qualche minoranza, non sono arabi) che si è appena aperto, perché esso può avere conseguenze importanti per Israele e per il mondo. Proviamo a riassumere i fatti: tutti sanno che forze arabe (principalmente, ma non solo, nella guerra sono coinvolti i curdi, che sono musulmani ma non arabi, i russi, gli occidentali, i turchi e naturalmente gli iraniani) si scontrano in Siria e nel confinante Iraq. Un altro scontro è in corso in Yemen. L’interpretazione generale che si dava di conflitti ne faceva lo sviluppo di guerre civili che avevano preso una dimensione inter-religiosa, e cioè la continuazione della più che millenaria guerra fra sciiti e sunniti. Nel fronte sunnita vi erano forze più estremiste (l’Isis) e più moderate (l’Arabia), ma il cuore del problema era quello. Vi erano altre tensioni (per esempio fra Arabia ed Egitto), ma superabili. Di recente, dopo che Trump ha coraggiosamente sparigliato il gioco arabo con il suo discorso a Riad, è esploso un conflitto latente da tempo fra Arabia a Qatar: tutti e due sunniti, il Qatar estremista e finanziatore di Isis e Hamas, l’Arabia più prudente. Il Qatar però ha raccolto la solidarietà della Turchia (che è stata anch’essa accusata di aiutare l’Isis e dunque fa parte degli estremisti, anche se membro della Nato e corteggiata dalla burocrazia dell’Unione Europea e ogni tanto dalla Merkel). E soprattutto ha avuto la solidarietà fattiva di quello che dovrebbe essere il suo peggior nemico, perché contende all’Isis il dominio di Siria e Iraq, e cioè l’Iran. Insomma, i campi non sono più due ma tre. C’è l’Iran coi suoi satelliti (Assad, il governo iracheno, Hezbollah). Ci sono i sunniti istituzionali (Arabia, Emirati, Egitto, Giordania, i paesi del Maghreb). E poi Qatar e Turchia (con la neutralità del Kuwait). Il Qatar è sì arabo e sunnita, come i suoi nuovi nemici, ma è impegnato in una strategia di tipo rivoluzionario, vuole rovesciare gli equilibri esistenti, appoggia la Fratellanza musulmana (che in sostanza è anche il partito di Erdogan), vorrebbe indebolire l’Occidente (anche se ospita una importante base americana) e combattere Israele. Proprio questa strategia rivoluzionaria e fortemente islamista che gli fa appoggiare Hamas e Isis, lo mette in sintonia con l’Iran, che a sua volta continua ad essere una potenza rivoluzionaria. Insomma il gioco fra i paesi musulmani del Medio Oriente è ora aperto, triangolare, il che consente delle opportunità significative a chi era escluso (o si era autoescluso) dalla partita in corso. Per esempio Israele, che sta rafforzando in maniera fino a poco tempo fa insospettabile il dialogo con i paesi sunniti (quelli “non rivoluzionari"). Ma anche i curdi, che forse ce la faranno a realizzare il loro sogno secolare di uno stato, anche grazie all’eroismo dei suoi combattenti, sempre che non si facciano prendere anche loro dalla tentazione della guerra civile, che già serpeggia. Per esempio gli Usa, che erano rimasti fuori gioco da anni, per via della folle strategia di Obama di appoggiare un nemico giurato come l’Iran. Altra conseguenza che non è stata evidenziata me che è importante: questo sviluppo mette in difficoltà la Russia, che non ha i mezzi per governare un conflitto così complesso e in effetti è stata molto tranquilla e silenziosa negli ultimi mesi. Un altro indizio che il vero complice di Putin era Obama (non senza l’appoggio della Clinton) e non certo Trump. Ah, mi dimenticavo, in tutta questa analisi sulla situazione mediorientale non mi è mai capitato di parlare della “Palestina”. Abbas come il solito non sa che cosa fare, in attesa di compiere la scelta sbagliata al momento sbagliato come è nella tradizione della dirigenza palestinista; Hamas riceve i soldi da Qatar e Iran e non ha dubbi. Il fatto è che la “Palestina” non solo non è più al centro dell’intrico mediorientale, ma è diventata sostanzialmente irrilevante, nonostante la decisione dei suoi dirigenti di cercare le prime pagine dei giornali mandando ragazzini col coltello ad ammazzare e farsi uccidere. E anche questo è uno sviluppo positivo. Quanto meno i palestinisti fanno notizia, quanto più sono ridotti alla loro dimensione marginale e trascurabile, tanto più probabile che si decidano a cercare una pace realistica sulla base dei rapporti di forza, cioè secondo la sicurezza di Israele e la verità della storia.
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