La sola speranza
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Hamas contro Fatah
Cari amici,
oggi vi sorprenderò, perché mi sento un tantino filopalestinese. Non che io creda all’esistenza di un popolo separato dal resto degli arabi che si chiamerebbe palestinese, il che è palesemente falso come loro stessi hanno spesso dimostrato. Né, beninteso, che io accetti anche in minima parte il progetto politico della leadership palestinista, che se potesse vorrebbe chiaramente distruggere Israele e magari sterminare tutti gli ebrei del mondo, sulle tracce del loro patriarca Al Husseini muftì di Gerusalemme, che cercò in tutti i modi di appoggiare i nazisti e di aiutarli nella Shoà. No, non desidero l’ennesimo stato islamico della regione che si trasformerebbe presto in un rifugio per i terroristi, non voglio aiutarli nella loro apartheid antisemita, né nella sperimentazione di forme nuove di terrorismo, che negli ultimi decenni hanno spesso avuto origine proprio fra i palestinisti, dai dirottamenti terroristici agli attentati suicidi con le cinture esplosive agli attacchi con automobili e camion al microterrorismo dei coltelli.
E però non posso non sentire un certo sentimento di solidarietà con un gruppo umano che è stato massacrato dai paesi arabi “fratelli” che avrebbero dovuto ospitarlo (così oggi in Siria, ma qualche tempo fa in Giordania e nel Kuwait), espulso, ghettizzato, impedito di lavorare (sempre dai fratelli arabi, beninteso, per esempio in Libano). E che viene quotidianamente guidato dalla sua leadership non all’integrazione e alla normalizzazione con Israele (che avrebbe dato loro uno stato e anche benessere economico e pace), ma alle avventure del terrorismo, della guerra, dell’odio, dell’impossibilità di vivere una vita normale. E’ vero che questi dirigenti se li sono scelti, quando hanno avuto occasione di votare, o comunque li subiscono senza protestare troppo, ma restano degli infelici che meritano pietà, anche se molti di loro sono imparentati o comunque legati ai terroristi.
Prendete un caso che è stato molto nominato ma poco compreso: Gaza. A Gaza gli ebrei sono stati presenti ininterrottamente dai tempi di Sansone, circa 3200 anni fa, fino al 1948, quando furono espulsi dagli egiziani. Tornarono nel ‘67 e furono di nuovo espulsi da Sharon, contagiato dalla stupida illusione della Terra in cambio della pace. Gli ebrei avevano costruito un’agricoltura intensiva di grande qualità, con serre che furono lasciate intatte nel 2005, al momento della ritirata decisa da Sharon. Ma tutto fu distrutto e Hamas, già prima di prendere il potere nel 2007 trasformò la striscia in un’immensa caserma terroristica a cielo aperto. Nei dieci anni che seguirono portò irresponsabilmente il suo dominio in guerre contro Israele che non poteva vincere, solo per rinsaldare il suo potere e la sua fama. E’ Hamas che ha provocato tutti i morti e le distruzioni e le sofferenze che hanno segnato la vita dei gazawi in questi anni: la prova si ha semplicemente passando da Gaza a Ramallah, a Gerico o in un altro qualunque territorio governato dall’Autorità Palestinese: dove Israele non è stato attaccato, non ha ovviamente risposto e in questi posti non vedete né distruzioni né tunnel né case abbattute né lanciarazzi. Israele non ha interesse alla guerra ma alla pace e non turba i luoghi in cui regna la quiete.
Ma non basta essere solidali con i gazawi per le guerre in cui li ha coinvolti e per l’atroce regime clericale e reazionario con cui li opprime. Da dieci anni Hamas è anche in rotta con Fatah: ha ucciso i suoi militanti che ha potuto, perseguita quelli che trova, con un colpo di stato ha separato la striscia dall’Autorità Palestinese, per cui una pace oggi non sarebbe di due stati per due popoli, ma almeno di tre stati. Fatah, che certo non è un movimento di beneficenza, rende pan per focaccia: imprigiona e tortura gli uomini di Hamas nel suo territorio, li tradisce all’esercito israeliano quando si organizzano e fa il possibile per danneggiare Gaza. Ogni tanto partono delle trattative di “riconciliazione” ma poi la guerra intestina araba riprende. L’ultimo episodio è in corso. Prima l’amministrazione di Ramallah ha tagliato gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici di Gaza (i soli stipendi, in pratica, oltre a quelli dei terroristi attivi). Poi ha rifiutato di prendersi la responsabilità economica dei malati ricoverati negli ospedali israeliani.
Infine ha deciso di tagliare l’elettricità smettendo di pagare la bolletta all’ente nazionale elettrico israeliano che, dopo la chiusura della centrale termoelettrica di Gaza (dovuto, al solito, al rifiuto dell’AP di pagare il conto), e l’interruzione frequente del collegamento con la rete elettrica egiziana, è rimasto l’unico fornitore di elettricità a Gaza. Inizialmente Israele aveva deciso per ragioni politiche di continuare le forniture, anche senza i pagamenti (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Israeli-Minister-halts-Gaza-electricity-reduction-494576) ma poi l'AP ha deciso di insistere per mettere in difficoltà i concorrenti di Hamas e Israele ha ceduto (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Israel-cedes-to-PA-demand-cuts-Gaza-electricity-by-40-percent-496603). Il risultato sarà che i gazawi avranno non più di quattro ore di elettricità al giorno, con tutti i problemi conseguenti (difficoltà di funzionamento dei sistemi idrici e di smaltimento dei liquami, impossibilità di conservare adeguatamente il cibo ecc.) oltre ai disagi spiccioli. Il rischio di un’esplosione è evidente, e questa esplosione rischia di avere la forma di una nuova guerra (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Hamas-warns-of-explosion-as-Gaza-electricity-crisis-deepens-496637). Comunque la popolazione civile soffre e va compianta (almeno per quel tanto per cui non è essa stessa corresponsabile del proprio destino).
E qui arriva l’ultimo punto della mia riflessione. Ho finora incolpato l’Autorità Palestinese di non pagare gli stipendi, i trattamenti medici, il gasolio per la centrale e l’energia elettrica, danneggiando gravemente la popolazione. E’ un’accusa perfettamente ragionevole, visto che individua una precisa volontà politica dell’AP di usare la popolazione civile come bersaglio per colpire Hamas. Oltretutto l’AP riceve letteralmente miliardi di euro di aiuti da tutto il mondo e li dilapida in trattamenti clientelari per i suoi sostenitori, forti veri e propri dei suoi dirigenti e delle loro famiglie e last but not least in stipendi ai terroristi, pagati per i loro crimini, come solo fa la mafia.
Ma vi è un altro colpevole e cioè Hamas, che prende anch’esso finanziamenti esagerati da mezzo mondo e li dilapida anch’esso pagando i propri sostenitori, creando tesori privati per i suoi dirigenti e soprattutto costruendo armi e fortificazioni come i tunnel, comprando missili e armamenti sofisticati, mantenendo milizie di cui non ha alcun bisogno, insomma preparandosi alla guerra invece di rispondere ai bisogni della sua popolazione civile. Hamas potrebbe benissimo pagare trattamenti medici, stipendi agli impiegati civili, gasolio per la centrale elettrica ed elettricità da Israele; ma non vuole farlo, perché riserva i suoi soldi per scopi più nobili come i conti bancari dei suoi dirigenti e i tunnel d’assalto sotto le scuole e in territorio israeliano. E’ lui il principale colpevole del malessere dei poveri gazawi (a parte il fatto che costoro l’hanno votato e non si ribellano). Essere almeno un tantino filopalestinese, ma davvero, vale a dire nel senso di sentire pietà per una popolazione civile maltrattata significa sperare che Hamas (e anche Fatah) siano abbattuti, processati, eliminati e sostituiti da dirigenti ragionevoli, civili, pragmatici, attenti al benessere del loro popolo. E’ una speranza difficile, certo, ma la sola che indica una possibilità reale di pace.
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