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Il Foglio Rassegna Stampa
12.06.2017 Da Londra a Londonistan
Analisi di Walter Laqueur (del 2008 ma sempre attuale)

Testata: Il Foglio
Data: 12 giugno 2017
Pagina: 3
Autore: Walter Laqueur
Titolo: «Diventare terroristi nel Londonistan»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/06/2017, a pag. III, con il titolo "Diventare terroristi nel Londonistan" l'analisi di Walter Laqueur.

Su Walter Laqueur (96 anni), il link a wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Laqueur

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Walter Laqueur

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Londonistan, 2050?

Pubblichiamo un estratto del libro dello storico Walter Laqueur, “Gli ultimi giorni dell’Europa” (Marsilio, 2008), uno dei primi dedicati al fenomeno del “Londonistan”, oggi sotto i riflettori per tre attentati islamisti in Inghilterra in poco più di due mesi.

I musulmani in Gran Bretagna, 1,6 milioni, provenienti specialmente dal Pakistan e dal Bangladesh (con un po’ di somali, arabi e altri), costituiscono circa la metà della popolazione immigrata dal dopoguerra, e per questo motivo come anche per altri la loro situazione è diversa da quella di altri paesi europei in cui gli immigrati musulmani sono la grande maggioranza. La popolazione musulmana della Gran Bretagna è concentrata a Londra, Birmingham, i West Midlands, il West Yorkshire e il Lancashire; in città come Dewsbury la sua quota sulla popolazione totale è del 30 per cento. I musulmani non sono stati politicamente più attivi di altri gruppi di immigrati, ma grazie alle attività radicali di alcuni settori di queste comunità essi hanno attratto più degli altri l’attenzione del pubblico. (…) Un rapporto del British Home Office (ministero dell’Interno) rende conto di una ricerca sulle origini dello scontento, dell’alienazione e della delusione tra i giovani musulmani. Viene nominata la convinzione che la politica estera britannica sia iniqua (per esempio in Kashmir, in Palestina e in Iraq) e che in questi paesi non sia in conformità con gli interessi musulmani. Inoltre ci sono proteste contro la xenofobia e l’islamofobia, dato che alla maggioranza dei musulmani, che sono innocenti, è stata data la colpa degli attacchi violenti di una minoranza. Questa argomentazione può essere in parte giustificata, ma è anche vero, come dice lo stesso rapporto, che i musulmani hanno una più alta probabilità di altri gruppi religiosi di avere qualifiche professionali più basse (per due quinti non ne hanno alcuna), di essere disoccupati e quindi inattivi economicamente, e di essere sovrarappresentati in alcune zone.

La disoccupazione giovanile è almeno tre volte più alta della media inglese. In confronto la situazione di altri gruppi di immigrati, indiani, sikh, ciprioti e molti altri, è molto migliore; per gli indiani non ci sono dati che indichino una disoccupazione più alta della media, né di problemi scolastici. Un altro rapporto sugli immigrati dal Bangladesh nell’East End di Londra, pubblicato negli anni Novanta, nota che quando queste persone arrivarono erano riluttanti ad accettare l’assistenza sociale pubblica perché ciò era disonorevole e contrario alla loro religione; solo quando cominciarono a seguire i consigli degli assistenti sociali la dipendenza dagli aiuti divenne accettabile, e alla fine endemica.

Con il Race Realations Act del 1976 e una serie di altre leggi sui diritti umani, il governo britannico ha provveduto a difendere i sentimenti delle comunità musulmane, e secondo i risultati di diverse inchieste i loro membri hanno ammesso in maggioranza di essere trattati meglio in Gran Bretagna che in altri paesi europei. Per esempio, non c’è stata alcuna proibizione di portare Yhijab a scuola, mentre ci sono state piuttosto molte lamentele da parte della classe lavoratrice inglese perché gli immigrati hanno un trattamento preferenziale per la casa e per altri servizi. Londra (il “Londonistan”) è diventata il rifugio di molti estremisti che erano stati condannati a lunghe pene detentive o anche a morte nei loro paesi d’origine del mondo arabo.

Organizzazioni radicali bandite nella maggior parte dei paesi arabi, come i Fratelli musulmani, per esempio, possono operare liberamente nel Regno Unito. In una ricerca d’opinione del febbraio 2006 il 26 per cento dei musulmani intervistati dichiarò di non sentire alcun obbligo nei confronti del paese acquisito; il 40 per cento era favorevole all’introduzione della sharia in certe regioni inglesi; il 13 per cento appoggiava gli attentati sullo stile di al Qaida e il 47 per cento approvava gli attentati suicidi come quelli compiuti in Israele. Le comunità di immigrati in tutto il mondo tendono a stare insieme almeno nella prima e seconda generazione, ma questa tendenza è particolarmente forte fra i musulmani. Secondo alcune inchieste pochissimi musulmani hanno amici di estrazione diversa: ciò vale in particolare per quelli molto ortodossi, che obbediscono al comandamento di non avere relazioni strette con gli infedeli, i kufr, meno per la classe media, che comunque è molto ristretta. Tra le organizzazioni più radicali ci sono Hizh al Tahrir e Al Murahitum, fuori legge in quasi tutti i paesi del medio oriente ma a lungo tollerate in Gran Bretagna. Hanno continuato la loro attività sotto varie coperture, mentre il governo Blair cercò di metterle fuori legge ma incontrò opposizione in ambienti legali e anche nei servizi segreti.

Hizh al Tahrir, che significa “partito della liberazione”, sostiene la restaurazione del Califfato (Khalifat), non ha sostenuto apertamente la violenza, ma alcuni suoi membri sono stati implicati in attentati terroristici in varie parti del mondo. E’ stato descritto come razzista e totalitario dai suoi critici anche all’interno della comunità musulmana, ma ha trovato sostegno tra alcuni membri prominenti del Labour Party, come Clare Short per esempio, già titolare di un ministero. Certe moschee, come quella di Finsbury Park a Londra, sono servite come terreno di reclutamento per i terroristi; non sono chiuse, e sono state tenute sotto osservazione dalla polizia. La situazione dei musulmani in Gran Bretagna è diversa da quella di altri paesi europei, in parte perché costoro non sono la maggioranza tra gli immigrati, e anche perché, a differenza dei musulmani in Francia e Germania, non sono un gruppo omogeneo: quelli che vengono dal Pakistan, dal Bangladesh e dal mondo arabo letteralmente non hanno una lingua comune, se non l’inglese. L’atteggiamento delle autorità britanniche è stato tradizionalmente quello della benevola noncuranza; finché le organizzazioni musulmane radicali non disturbavano apertamente il quieto vivere, venivano lasciate in pace.

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La situazione cominciò a cambiare dopo l’1l settembre 2001, gli attentati terroristici del 7 luglio 2005 e gli attentati preparati per l’agosto del 2006. Le autorità si interessarono più attivamente ai predicatori radicali che incitavano all’assassinio, e che per la maggior parte vivevano di assistenza pubblica come i loro colleghi in Francia e in Germania. Una campagna dei media ebbe il suo effetto: alcuni furono deportati e uno, Abu Hamza al-Mizri, fu condannato a sette anni di carcere nel 2006. In generale, però, le autorità ritenevano che non ci fosse un’alternativa al tentativo di stabilire rapporti di fiducia e un dialogo con quei membri della comunità musulmana che venivano considerati, spesso erroneamente, almeno relativamente moderati, anche se non sembra che i moderati siano stati di grande aiuto nella lotta al terrorismo e nella prevenzione di attentati. Anche quando si sono trovate di fronte ad aperti incitamenti all’assassinio, come durante le manifestazioni per la “guerra fra civiltà”del febbraio 2006, le forze dell’ordine hanno preferito sbagliare dal lato della moderazione piuttosto che agire secondo la legge, e così hanno ignorato quegli incitamenti. Alle manifestazioni si potevano leggere scritte come: “Uccidete [o decapitate] quelli che insultano l’Islam”; “Sterminate quelli che parlano male dell’Islam”; “Libertà vai all’inferno” e “Europa, impara la lezione dell’11/9”.

In un futuro prevedibile i musulmani non saranno una forza politica decisiva a livello nazionale, a meno che il governo non permetta un’immigrazione incontrollata nei prossimi anni, cosa che è improbabile vista l’esperienza passata. I musulmani in Gran Bretagna avranno piuttosto un ruolo più attivo nella politica locale, come consiglieri comunali o anche sindaci di alcune città (come Mohammed Afzal Khan a Manchester) e anche come parlamentari. E’ difficile che diventino una forza politica decisiva eccetto forse nei quartieri poveri di città come Bradford e Birmingham e in alcune zone di Londra; sono in tutto circa quaranta o cinquanta circoscrizioni elettorali, come Birmingham-Sparkbrook, Bethnal Green e East Ham. I politici di queste circoscrizioni fanno attenzione al voto musulmano, perché con il sistema elettorale vigente i risultati di qualche dozzina di circoscrizioni potrebbero acquisire una certa importanza. Dozzine di parlamentari dovranno stare attenti a prendere posizioni politicamente corrette sul Kashmir, sul conflitto israelo-palestinese e questioni simili.

I musulmani potrebbero voler fondare un partito etnico, ma questo non è molto probabile; anche coalizioni con altri gruppi etnici o religiosi sono possibili, ma probabilmente non durerebbero. Il governo inglese ha cercato più di ogni altro di venire incontro alle comunità musulmane, a livello collettivo permettendo un’immigrazione quasi indiscriminata e l’attività di gruppi estremisti già messi fuori legge nei paesi arabi; come si è già detto, negli anni Novanta Londra divenne il centro di attività degli islamisti radicali. Allo stesso tempo sono stati fatti grandi sforzi per dialogare con le organizzazioni musulmane, e non solo quelle moderate; sono stati organizzati gruppi di lavoro per ridurre la disaffezione e sono state promulgate leggi che proteggono gli interessi dei musulmani e ne impediscono la discriminazione.

A livello individuale è stata accordata una corsia preferenziale agli immigrati musulmani per quanto riguarda la politica della casa e altri servizi. Alcuni di questi sforzi erano lodevoli, ma hanno ottenuto magri risultati. Secondo una grande inchiesta di opinione condotta dalla Pew Foundation nel giugno 2006, da una parte circa il 63 per cento degli inglesi aveva un atteggiamento positivo nei confronti della comunità musulmana, mentre dall’altra i musulmani “avevano un atteggiamento verso gli occidentali molto più negativo di quello dei musulmani in Francia, Germania e Spagna”, e criticavano gli inglesi per il loro egoismo, l’arroganza, la violenza, l’avidità di denaro, l’immoralità e il fanatismo. I musulmani in Gran Bretagna tendevano anche a credere a teorie della cospirazione: solo il 17 per cento era disposto a dire che gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 erano stati compiuti da arabi (in confronto, per esempio, al 48 per cento in Francia). Quando i rapporti tra gruppi etnici erano tesi, più inglesi che musulmani tendevano a dare la colpa ai propri compatrioti mentre i musulmani davano la colpa agli inglesi, il che, se è esatto, mostra che le proteste contro l’islamofobia sono prive di fondamento. Molti più musulmani in Gran Bretagna (il 47 per cento) che in altri paesi europei erano pessimisti sul futuro, perché percepivano un conflitto fra la propria fede religiosa e la vita in una moderna società democratica. Secondo la stessa inchiesta, i cittadini tedeschi e spagnoli avevano opinioni molto più negative di quelle degli inglesi sui musulmani che vivono nel loro paese; d’altra parte, gli atteggiamenti di indiani e nigeriani verso i musulmani erano molto più critici di quelli di ogni europeo. Un esempio è quello di Bradford, una città di circa 470.000 abitanti nel Lancashire, con una vecchia comunità musulmana prevalentemente pakistana; oggi ci sono circa 80.000 pakistani, metà dei quali nati nel Regno Unito.

Secondo rapporti semiufficiali, c’è stato a Bradford un tentativo liberal di garantire dei diritti ai musulmani, compreso quello di avere scuole divise fra maschi e femmine. Nel 1982 c’era una moschea, ora ce ne sono più di sessanta. Ma secondo lo stesso rapporto, è apparso presto chiaro che non c’era alcuna definizione dei “valori condivisi” che sono stati sempre invocati in città. Le autorità locali e i leader musulmani di fatto non hanno prestato alcuna attenzione alla necessità di impegnarsi in un dialogo critico sull’idea di una società integrata e multietnica. Secondo un altro rapporto, Bradford è diventata una città autosegregata, demarcata da differenze culturali, etniche, religiose e sociali. Ci sono stati alti livelli di disoccupazione e un serio problema di criminalità, mentre la droga veniva venduta apertamente nei quatrieri bassi della città. In breve, la situazione era molto simile a quella di molte altre città britanniche con una simile composizione etnica. Bradford fu uno dei luoghi dove nel 1989 furono bruciati i libri di Salman Rushdie, al tempo dello scandalo e della protesta provocata dal suo “Satanic Verses”, e poi ci furono disordini nel 1995 e in altre occasioni. I non musulmani, sia inglesi sia indiani, furono costretti a traslocare (qualche residente ha usato l’espressione “pulizia etnica”) e la zona fu islamizzata.

Chiese e pub furono presi d’assalto, mentre le donne non musulmane non potevano avventurarsi per le strade al buio e anche durante il giorno correvano il pericolo di essere molestate. Per dirla con le parole dei giornali locali, i quartieri bassi erano diventati zona di guerra. I pakistani prendevano anche parte alla politica amministrativa: c’erano tredici consiglieri comunali e uno divenne sindaco, ma secondo alcuni i consiglieri musulmani dipendevano quasi sempre da istruzioni date per telefono dal Pakistan, pare da leader politici e religiosi. Secondo un intellettuale musulmano cresciuto a Bradford, i leader locali del Labour Party e quelli dell’estrema sinistra erano in parte responsabili per questi fatti. Avevano formato un Consiglio delle moschee e lo consideravano come la voce della comunità. Il multiculturalismo non ha creato l’Islam militante, ma ha creato per esso uno spazio nelle comunità musulmane della Gran Bretagna che non esisteva prima. Esso ha favorito la formazione di una nazione più tribale, ha ostacolato le tendenze progressiste nelle comunità musulmane e ha dato forza ai leader religiosi conservatori. Gli attivisti dell’estrema sinistra abbandonarono la vecchia idea marxista della classe operaia come agente di cambiamento e sostennero ogni genere di “nuovi movimenti sociali”; quando questa tattica non funzionava, allora sostennero la “politica dell’identità”.

In altre parole, i valori comuni erano meno importanti di ciò che vari gruppi etnici o tribali rivendicavano, per quanto fossero reazionari. L’ironia è che a Bradford, come in tutta la Gran Bretagna, nemmeno l’appoggio ai leader musulmani conservatori portò ad alcun risultato politico. Nella comunità c’era un crescente conflitto generazionale, e l’influenza dei leader religiosi sui giovani era scarsa o nulla. I portavoce locali della comunità musulmana non negavano la serietà del problema, ma davano la colpa alla crisi d’identità di cui soffrivano i giovani, alla disoccupazione, alla mancanza di opportunità di istruzione, all’alienazione sociale e all’islamofobia (o razzismo), compresi “i messaggi islamofobici dei mass media”. Ma secondo la legge britannica, qualsiasi messaggio del genere è proibito e punibile. La verità è che non mancavano affatto le opportunità di istruzione; Bradford ha anche un’università, ma i giovani pakistani non approfittavano di queste opportunità, anzi, molto spesso non andavano nemmeno a scuola. (…) Il governo britannico, attraverso il ministero dell’Interno e altri dipartimenti, ha istituito varie commissioni e sottocommissioni che hanno prodotto e in parte implementato una serie di raccomandazioni, da lezioni sulla cittadinanza nelle scuole musulmane e il reclutamento di poliziotti musulmani, all’offerta di benefici fiscali e corsie preferenziali per l’impiego e l’istruzione superiore, sempre favorendo i cittadini musulmani. Ma alla fine dei conti l’iniziativa di un cambiamento per il meglio deve venire dalla comunità musulmana, perché le autorità possono solo facilitare il processo. Se i genitori non incoraggiano l’istruzione dei figli – o nel caso delle ragazze spesso la scoraggiano o la proibiscono – c’è poco che gli amministratori possano fare. Non ci sono stati segni di sorta che una leadership musulmana alternativa stia per emergere nel breve periodo.

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