Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, a pag. 14, con il titolo "Qatar sotto assedio, ponte aereo dall’Iran", la cronaca di Giordano Stabile; con il titolo " 'Ha offeso il Profeta sui social': Sciita condannato a morte in Pakistan", la cronaca di Carlo Pizzati.
Ecco gli articoli:
Giordano Stabile: "Qatar sotto assedio, ponte aereo dall’Iran"
Giordano Stabile
Qatar: uno Stato corrotto e terrorista
Un ponte aereo con centinaia di tonnellate di frutta, verdura, carne, per aiutare il Qatar a resistere all’assedio imposto dai suoi ex alleati del Golfo. L’Iran entra con decisione nel duello fra le potenze sunnite, dal quale ha tutto da guadagnare. Ieri i primi quattro aerei cargo, grandi B-747F, sono atterrati a Doha e hanno cominciato un’operazione a lungo termine, almeno nelle intenzioni di Teheran, che parla di rifornimenti «quotidiani».
Gli aiuti sono essenziali per la sopravvivenza dell’emirato, 2,7 milioni di abitanti su una superficie pari a quella del Lazio, ma desertica. L’80 per cento del cibo consumato deve essere importato. La principale arteria era l’autostrada che collega Doha all’Arabia Saudita, ma ora il confine è chiuso, in seguito al blocco imposto da Riad assieme a Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Le scorte potrebbero finire in poche settimane.
Iran e Turchia si sono subito offerte di rifornire l’emirato, ma è il vicino iraniano la strada più comoda. Via mare sono 200 chilometri e fonti da Doha confermano che decine di piccole imbarcazioni stanno già facendo la spola con derrate alimentari. Il «ponte aereo» parte dalla città iraniana di Shiraz, come ha precisato il portavoce di IranAir, Shahrokh Noushabadi: «Ogni giorno esporteremo 100 tonnellate». Industrie alimentari e grossisti si sono tuffati nel nuovo business. Gli scambi fra i due Paesi sono rimasti intensi anche durante il periodo delle sanzioni contro gli Ayatollah, e sono una delle ragioni della rottura con l’Arabia Saudita. Riad ha sempre puntato a un isolamento totale dell’Iran, rivale storico e guida del mondo sciita, considerato «eretico». E ora ha addirittura proibito ai qatarini di entrare nella più sacra delle moschee, quella della Kaaba alla Mecca.
Il Qatar è molto ricco ma fragile. La sua economia dipende dalle esportazioni di gas ed importa quasi tutto il resto. Con gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo i legami sono stretti. Le conseguenze della rottura si sono già manifestate nel settore finanziario. Le banche hanno quasi finito i dollari liquidi, perché i lavoratori stranieri, l’85% della popolazione, hanno cominciato a inviare i risparmi all’estero.
Il blocco saudita ha messo sotto tiro sei banche, sospettate di finanziare organizzazioni terroristiche. Nel mirino c’è anche il Fondo sovrano del Qatar, uno dei più grandi al mondo, con partecipazioni del valore di 316 miliardi di dollari: 40 solo in Gran Bretagna, 1,7 in Italia. I timori di un terremoto finanziario spingono alla prudenza l’Europa e gli Stati Uniti, nonostante la posizione più bellicosa del presidente Donald Trump.
Prosegue l’iniziativa diplomatica dell’emiro del Kuwait, Sabah al-Ahmad al-Sabah, che ieri ha fatto trapelare uno spiraglio e ha detto che il Qatar è disposto «al dialogo con i fratelli arabi». Anche il re del Marocco Mohammed VI si è offerto di mediare. La guerra intestina fra gli alleati del Golfo è imbarazzante per l’Occidente. Ad Al-Udeid, a pochi chilometri da Doha, c’è la più grande base americana in Medio Oriente e la sede del comando regionale Centcom. Che aerei iraniani riforniscano Doha, come gli americani ai tempi del ponte aereo di Berlino, è paradossale. Allora era chiaro chi era il nemico. Ma ora?
Carlo Pizzati: " 'Ha offeso il Profeta sui social': Sciita condannato a morte in Pakistan"
Taimoor Raza
Taimoor Raza è un trentenne pachistano che verrà giustiziato per aver insultato la religione islamica. Sempre che riesca ad arrivare vivo al processo, naturalmente. Sì, perché in Pakistan finora nessun accusato è ancora salito al patibolo per avere insultato il Corano, il profeta Maometto o qualche leader religioso, come previsto dalla nuova legislazione in materia.
Ci ha sempre pensato prima un sicario o una folla ben manovrata. Ora, una nuova legge dà ampio margine all’Agenzia per le investigazioni federali (Fia) di arrestare chiunque scriva frasi blasfeme o anche «antimilitari», compresi giornalisti e militanti dell’opposizione. Tutto grazie al Decreto per la Prevenzione del Crimine Elettronico, che dà potere alla Fia di sequestrare laptop e cellulari senza mandato. «Siamo autorizzati a trattenere chiunque, basta che siano sospettati di qualcosa», ha dichiarato un agente dell’Agenzia.
Lo scorso aprile è stato massacrato lo studente universitario Mashal Khan, che aveva accusato i dirigenti del suo istituto d’essere corrotti e di far pagare troppo la retta. È bastato accusarlo di blasfemia online. In maniera infondata, come rivelano le indagini. Ci ha pensato una folla di studenti e dipendenti dell’Università a far strame del corpo di Kahn, gettandolo dal secondo piano, torturandolo, sparandogli addosso e prendendone a calci il cadavere. I 25 poliziotti presenti alla Abdul Walikhan University sono intervenuti solo per impedire che si desse fuoco a quel che restava di Khan.
La severa legge anti-blasfemia, ora in versione on-line, è stata spesso usata per vendette personali, regolamenti di conti o per la persecuzione di minoranze religiosi. E, fenomeno in realtà ancora più disumano, ha punito anche i malati di mente che si dichiarano profeti.
Ma nella condanna di Taimoor Raza c’è un dettaglio inquietante legato al conflitto che sta attraversando il mondo islamico. Perché Raza è uno sciita, in una Paese a gran maggioranza sunnita. Ed è caduto in un tranello on-line, irretito da un agente del contro-terrorismo, lasciandosi andare a dichiarazioni che sono state interpretate come blasfeme. Questo s’è verificato proprio quando nei Paesi del Golfo, dall’altra parte del mar d’Arabia, si sta scatenando una sfida di tensione e di prese di posizione, che minaccia di diventare bellica, proprio tra sunniti e sciiti.
La notizia non è che questi tranelli si svolgano nei social network, dove ormai si dipana molta della nostra realtà, ma il fatto che la prima esecuzione per blasfemia nel severissimo Pakistan colpisca proprio uno sciita accusato di attacchi dissacratori della religione in un Pakistan a maggioranza sunnita. «Mio fratello ha solo partecipato a un dibattito settario su Facebook con una persona che si è rivelata esser l’agente Muhammad Usman», ha detto Waseem Abbas, fratello di Raza. Un avvocato di Human Rights Watch, Saroop Ijaz, ha dichiarato che la situazione è diventata pericolosa: «Queste condanne incoraggeranno chi vuole incastrare i proprio nemici. La confusione tra sicurezza nazionale e religione è allarmante».
E non sono nemmeno al sicuro dal letale articolo 295C del codice penale i pachistani che vivono all’estero. Il presidente Nawaz Sharif, che quest’anno ha lanciato la caccia alle streghe contro la presunta blasfemia online, ha chiesto a tutti i cittadini di fare la spia alle autorità, denunciando quei cittadini che, pur stando all’estero, commettono crimini di presunta blasfemia online. Sharif ha promesso di utilizzare con la più ampia facoltà possibile il diritto di estradizione per riportare in patria i «blasfemi», processarli e giustiziarli.
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