Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/06/2017, a pag.17, con il titolo "Sfida dei Paesi del Golfo al Qatar, una lista nera dei terroristi", l'analisi di Giordano Stabile
Giordano Stabile
Egitto, Emirati, Bahrein e Arabia Saudita lanciano un nuovo ultimatum al Qatar e pubblicano una lista di 59 personalità e 12 organizzazioni, «sponsor del terrorismo», che mette il piccolo principato con le spalle al muro. Dopo aver chiesto all’emiro Al-Thani di tagliare i ponti con i gruppi estremisti e cacciare i loro leader, la lista va oltre, perché nell’elenco ci sono anche figure di spicco della famiglia reale, compreso l’ex ministro dell’Interno, e zio paterno dell’emiro, Abdullah Bin Khalid al-Thani. Una mezza dichiarazione di guerra, mentre il ministro degli Esteri saudita Adel Al-Jubeir rincara la dose, ribadisce che il Qatar «deve rescindere tutti i legami con il gruppo islamista palestinese di Hamas e i Fratelli musulmani in Egitto, se vuole mettere fine al suo isolamento». Condizioni che Al-Thani ha detto chiaro e tondo di non voler accettare. Che l’alleanza del Golfo voglia far sul serio lo si capisce anche dalle ultime misure prese in Bahrein, dove il governo ha annunciato che chiunque esprima solidarietà con i qatarini, anche sui social, sarà punito con una pena fino a 5 anni. Il Qatar si sta trincerando per resistere all’assedio e all’eventuale assalto. Il ministro degli Esteri Mohammed bin Abdulrahman al-Thani ha respinto le accuse: «Siamo una piattaforma di pace, non di terrorismo, questo scontro minaccia l’intera regione, noi non siamo disposti ad arrenderci». Il ministro ha confermato che l’Iran ha offerto tre dei suoi porti per rifornire il Paese ma l’offerta non è stata accettata per non irritare ancora di più gli ex alleati del Golfo. Oman e Kuwait, in posizione neutrale, stanno mediando, assieme all’America. L’emiro del Kuwait ha incontrato i leader sauditi, Donald Trump ha invitato il sovrano qatarino alla Casa Bianca ma il governo di Doha ha fatto sapere che «l’emiro non ha intenzione di lasciare il Qatar mentre il Paese è sottoposto a un blocco». Trump ha poi parlato con il presidente egiziano Al-Sisi e ha sottolineato «l’importanza di applicare gli accordi per la lotta la terrorismo», mentre il Segretario di Stato Rex Tillerson si è detto preoccupato che il blocco del Qatar «mini la guerra all’Isis». Si è mosso anche il ministro degli Esteri del Bahrein Khalid bin Ahmed, arrivato in Turchia per discutere con il collega Mevlut Cavusoglu e il presidente Erdogan. Ankara è diventata centrale negli sviluppi della crisi. Erdogan ha controfirmato ieri la legge che permette di dispiegare soldati turchi in Qatar, in base a un accordo bilaterale. Una brigata, cinquemila uomini, è già pronta, assieme a jet e navi appoggio. Il leader turco ha ribadito che «isolare il Qatar non risolve nessun problema» e si è offerto anche lui di provvedere ai rifornimenti di acqua e cibo. I primi aerei da trasporto sono già arrivati. Il piccolo emirato, tre milioni di abitanti, importa il 90% degli alimenti, la metà via terra dall’Arabia Saudita. Si delinea così un inedito asse Iran-Turchia-Qatar che cambia ancora una volta gli equilibri in Medio Oriente. La potenza sciita è nemica dei Fratelli musulmani e le loro derivazioni terroristiche, non ultima l’Isis che ha fatto strage a Teheran tre giorni fa. Ma in questo momento la cosa più importante è scardinare il sistema di alleanze degli Stati Uniti nella regione. Washington ha basi militari in territorio turco e qatarino, e negli Emirati: la «guerra civile sunnita» complica i movimenti e allenta la presa statunitense. Il nuovo asse ha ripercussione anche in Libia. Al-Sisi ha imposto che nella lista ci fossero tutti i nemici del suo alleato Khalifa Haftar: il Gran Muftì Sadiq Ghariani, megafono della Fratellanza, l’imam islamista Ali Muhammad al-Sallabi, fondatore del partito Giustizia e Progresso che appoggia l’ex premier Khalifa Ghwell, l’ex qaedista Abdelhakim Belhadj, uno dei bracci armati del Gran Muftì a Tripoli, e le Brigate di Difesa di Tripoli, l’avversario militare più tosto che il generale ha trovato sul suo cammino verso la capitale libica. Senza i finanziamenti qatarini difficilmente riusciranno a resistere ma la Turchia potrebbe sostenerli ancora più apertamente.
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