Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 07/06/2017, a pag. 9, con il titolo "II Qatar tenta la mediazione, Iran cauto, Trump euforico ", l'intervista di Michele Giorgio a Ali Hashem.
Michele Giorgio intervista un oscuro analista filo-iraniano, che conferma le tesi del quotidiano comunista, auspicando un riavvicinamento delle posizioni dei Paesi del Golfo e dell'Iran.
Vero è, però, che in Medio Oriente le alleanze sono in continua mutazione. Oggi sono tre i blocchi in cui la regione si divide (con l'ovvia esclusione di Israele): quello delle monarchie del Golfo sunnite, guidate dall'Arabia Saudita, quello sciita dell'Iran e dei suoi alleati Assad, Iraq e Hezbollah e infine quello che fa capo a Qatar, Fratellanza musulmana e Turchia. Un mutamento grazie all'azione diplomatica di Donald Trump durante la sua visita in Arabia Saudita.
Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
L'emiro del Kuwait, lo sceicco Sabah Al Ahmad Al Sabah, è partito ieri per Gedda per mediare una soluzione della crisi che lacera i rapporti tra l'Arabia saudita, sostenuta da Bahrain, Emirati ed Egitto, e il Qatar accusato di simpatizzare con il "nemico", l'Iran, e di «sostenere il terrorismo» ossia i Fratelli musulmani. Dietro le quinte media anche la Turchia alleata di Doha. Si cerca di ridurre la frattura che due giorni fa ha raggiunto il punto più ampio con la decisione presa da Riyadh di chiudere la frontiera terrestre, sospendere i collegamenti aerei e interrompere i rapporti diplomatici, economici e commerciali con il Qatar. Nonostante le dichiarazioni morbide di Doha, che teme l'isolamento, l'Arabia saudita è determinata a mettere in ginocchio i cugini qatarioti e a costringerli a piegarsi al "nuovo ordine" sotto la sua autorità che ritiene si sia creato o ricreato nella regione da quando il presidente americano Donald Trump, proprio da Riyadh, ha lanciato la campagna «contro il terrorismo» e contro l'Iran. I tweet diffusi dal presidente americano a commento della crisi nel Golfo («È bello vedere che la visita in Arabia Saudita e l'incontro con i 50 leader di Stati stanno ripagando. Hanno detto che avrebbero assunto la linea dura sui fmanziamenti al terrorismo, puntando al Qatar. Forse questo sarà l'inizio della fine dell'orrore del terrorismo») rischiano di irrigidire ulteriormente la posizione saudita. Intanto, sull'altra sponda del Golfo, l'Iran sta alla finestra cercando da un lato di comprendere l'evoluzione della crisi esplosa nel campo avverso e dall'altro di lanciare segnali — come l'apertura dello spazio aereo nazionale alle compagnie aeree qatariote — volti ad avvicinare il Qatar e le petromonarchie, come Kuwait e Oman, che non condividono l'aggressività dei sauditi. Sugli scenari aperti in conseguenza dello scontro tra Doha e Riyadh abbiamo intervistato Ali Hashem, analista del portale mediorientale di politica e diplomazia al Monitor ed esperto delle relazioni tra Iran e mondo arabo.
L'Impressione è che sfamo solo all'Inizio della crisi. È così. Le misure adottate dall'Arabia saudita, gli Emirati, l'Egitto e il Bahrain sono dure e non hanno precedenti nei rapporti tra le monarchie sunnite. Sono molto più incisive e gravi di quelle adottate qualche anno fa quando il Qatar fu ugualmente messo sotto accusa per i suoi rapporti con i Fratelli musulmani e una serie di paesi ritirarono i loro ambasciatori a Doha. Riyadh fa sul serio.
A Tehran come guardano allo scontro In atto? Direi con soddisfazione e allo stesso tempo con preoccupazione. Non ci vuole molto a capire che la spaccatura del fronte arabo sunnita, quello che dovrebbe, secondo le intenzioni e i desideri di Trump, schierarsi compatto contro l'Iran e cercare di isolarlo, non può che rallegrare e far tirare un sospiro di sollievo ai dirigenti iraniani, quelli conservatori come i riformisti. Di fronte c'è l'occasione di stringere i rapporti con gli arabi che non accettano la mano pesante dei sauditi e la tensione regionale lungo linee settarie, tra sunniti e sciiti. Senza dimenticare che, diplomazia e politica a parte, dal punto di vista commerciale le relazioni dell'Iran con il Qatar e altri regni arabi del Golfo sono già intense. Allo stesso tempo Tehran non vuole instabilità che vuol dire anche imprevedibilità, quindi la possibilità di sviluppi fuori controllo con esiti che potrebbero capovolgere il quadro ed essere dannosi per lo stesso Iran.
Donald Trump
La tensione potrebbe scatenare uno scontro militare tra le parti che si affrontano per ora solo diplomaticamente? Non credo alla possibilità di una guerra vera e propria ma in Medio Oriente è meglio non dare nulla per sicuro. Nessuno credeva che l'Arabia saudita avrebbe formato una coalizione e attaccato con i suoi aerei i ribelli Houti in Yemen, eppure è accaduto. E non sottovaluterei le voci insistenti, rilanciate dalla stampa araba in questi giorni, che parlano di un possibile cambiamento di regime (in Qatar) imposto con la forza.
E' credibile che l'Iran arrivi a un'intesa più strategica, più politica, con il Qatar e altre monarchie sunnite che non condividono la linea saudita? Dubito che ciò avvenga. È possibile che Tehran migliori ulteriormente i suoi rapporti con Doha e altre capitali ma che arrivi a una alleanza organica con quei paesi non lo ritengo possibile. Tra l'Iran sciita e le monarchie sunnite del Golfo, anche quelle più concilianti, la distanza resta ampia. Piuttosto dobbiamo considerare che nella regione, anche in conseguenza di questa crisi, è emerso evidente un terzo polo. Accanto al fronte sunnita guidato da Riyadh e all'asse Iran, Siria, Iraq e Hezbollah ora c'è il blocco composto da Qatar, Turchia e Fratelli musulmani.
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