Riprendiamo da ITALIA OGGI del 03/06/2016, a pag.11, con il titolo " Per la palestina sono martiri " il commento di Angelica Ratti.
L'unica cosa sensata è il titolo (chi l'ha scelto non ha evidentemente letto il pezzo!), per il resto mai abbiamo letto - nemmeno sul Manifesto- un cumulo di idiozie così numerose. Viene da chiedersi se a Italia Oggi funziona una direzione che valuti gli articoli, oppure ci sia luce verde per qualunque porcheria che arriva, come l'esaltazione del crimine contenuta nel pezzo di questa irresponsabile dal nome Angelica Ratti..
Angelica Ratti giornalista? Complice!
Dall'annuncio del crimine commesso dal loro figlio, la famiglia Halabi ha chiesto agli amici di aiutarli a togliere i mobili. Quattro mesi più tardi, l'esercito israeliano è venuto a distruggere la grande casa che la famiglia Halabi abitava a Sourda, a Nord di Ramallah. Le ruspe non hanno sorpreso nessuno. Partecipano ad un copione classico: la punizione collettiva israeliana in rappresaglia alle violenze palestinesi. Il 3 ottobre 2015, Mouhannad,19 anni, aveva pugnalato a morte due israeliani all'ingresso della vecchia città di Gerusalemme, prima di essere ucciso. Aveva anche guidato la cosiddetta terza intifada alla testa di decine di giovani palestinesi mimetizzati nei social network. L'espressione terza intifada è paradossale, ma vuole indicare un filo diretto, di continuità, con i decenni precedenti: l'idea del sacrificio passato in eredità da generazione a generazione come una maledizione. In cinquant'anni, qualcosa come fra 800 mila e un milione di palestinesi sono stati imprigionati in Israele. Un diploma di vita, ma quale vita? Studente di legge all'università Al-Qods, Mouhannad era molto motivato nella difesa della moschea di Al-Aqsa, terzo luogo santo dell'Islam, a Gerusalemme Est. A casa, in televisione vedeva tutti i giorni le immagini dei credenti malmenati dai soldati israeliani. Il padre, Shafih, imprenditore edile, 52 anni, e la madre, Souher, 43 anni, vivono adesso in una casa in affitto il cui salone è dedicato alla gloria del loro figlio defunto: manifesti, foto, targhe commemoratrici, offerte arrivate da fazioni politiche, genitori di martiri. E come una seconda pelle. Un orgoglio obbligato. I sentimenti intimi dei genitori si forgiano anche nello sguardo degli altri, nella loro ammirazione e benevolenza. Aspettano una nuova casa poco distante da quella dove vivevano prima che venisse abbattuta dagli israeliani. Uno sforzo di solidarietà ha permesso di raccogliere 600 mila shekels (più di 150 mila euro) per acquistare il terreno. Martire è una parola onnipresente già fin dalla più giovane età presso i palestinesi. Designa a volte i prigionieri detenuti in Israele; gli assalitori uccisi dagli israeliani e le semplici vittime dei soldati, morti o feriti. Da decenni esiste una rete di solidarietà nella società palestinese con un complicato sistema di aiuto finanziario. Il martirio è, in fondo, un cemento sociale quando il sogno di uno Stato sembra più lontano che mai. I giovani sono pronti a farsi uccidere e restare feriti o handicappati perchè questo darà un senso alla loro vita. E per questo sono celebrati con monumenti di ogni tipo, come quello che mostra Souheir Halabi, la madre di Mouhannad, considerato un martire. Alla sua memoria è stata eretta una stele perché il giovane studente di legge è stato ucciso dopo aver pugnalato a morte due israeliani nell'ottobre 2015. Anche se, come ha raccontato Le Monde, Mouhannad si era fatto affascinare dalla jihad islamica.
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