L'esodo degli ebrei dalla Libia Commento di Daniele Toscano
Testata: Shalom Data: 29 maggio 2017 Pagina: 8 Autore: Daniele Toscano Titolo: «Quell’esodo dalla Libia ‘invisibile’ e ‘silenzioso’»
Riprendiamo da SHALOM di maggio 2017, a pag. 8, con il titolo "Quell’esodo dalla Libia ‘invisibile’ e ‘silenzioso’", il commento di Daniele Toscano.
Daniele Toscano
Ebrei tripolini in una cartolina italiana
La storia degli ebrei di Libia rientra nel processo migratorio che nel XX secolo ha interessato tutti gli ebrei del mondo arabo. Un fenomeno che ha molteplici sfaccettature e che offre numerosi spunti di riflessione. David Meghnagi, professore all’Università di Roma Tre, con le sue dichiarazioni a Shalom ha cercato di richiamare l’attenzione su alcuni punti nodali. “Nel celebrare i 50 anni degli ebrei di Libia a Roma bisogna mettere a fuoco tre aspetti distinti. Anzitutto, questa storia permette una lettura più equilibrata della storia della decolonizzazione, del nazionalismo arabo e di conseguenza del conflitto arabo-israeliano: questo esodo, “invisibile” e “silenzioso”, fu declinato dagli ebrei in fuga dalla Libia come una liberazione, un riscatto da una condizione di asservimento. Segue una riflessione generale su cosa ha significato l’arrivo degli ebrei del mondo arabo in Israele. C’è poi il terzo aspetto, relativo alle trasformazioni demografiche e culturali dell’ebraismo italiano negli ultimi decenni: i vari flussi migratori hanno determinato profondi cambiamenti e hanno prodotto una rivitalizzazione dopo fasi storiche difficili. Questo anniversario può dunque costituire l’occasione per un ripensamento generale dei cambiamenti intervenuti nel dopoguerra”.
La storia degli ebrei di Libia rientra nel processo migratorio che nel XX secolo ha interessato tutti gli ebrei del mondo arabo. Un fenomeno che ha molteplici sfaccettature e che offre numerosi spunti di riflessione. David Meghnagi, professore all’Università di Roma Tre, con le sue dichiarazioni a Shalom ha cercato di richiamare l’attenzione su alcuni punti nodali. “Nel celebrare i 50 anni degli ebrei di Libia a Roma bisogna mettere a fuoco tre aspetti distinti. Anzitutto, questa storia permette una lettura più equilibrata della storia della decolonizzazione, del nazionalismo arabo e di conseguenza del conflitto arabo-israeliano: questo esodo, “invisibile” e “silenzioso”, fu declinato dagli ebrei in fuga dalla Libia come una liberazione, un riscatto da una condizione di asservimento. Segue una riflessione generale su cosa ha significato l’arrivo degli ebrei del mondo arabo in Israele. C’è poi il terzo aspetto, relativo alle trasformazioni demografiche e culturali dell’ebraismo italiano negli ultimi decenni: i vari flussi migratori hanno determinato profondi cambiamenti e hanno prodotto una rivitalizzazione dopo fasi storiche difficili. Questo anniversario può dunque costituire l’occasione per un ripensamento generale dei cambiamenti intervenuti nel dopoguerra”.
Gli ebrei dei paesi arabi sono stati perseguitati nelle loro terre d’origine e sono stati costretti alla fuga. Il dolore dell’esilio però è stato trasformato in esodo e, in particolare per i libici, ha significato resurrezione, riscatto, permettendo loro di sopportare anche condizioni di vita particolarmente difficili. Ma la storia degli ebrei libici riguarda solo gli ebrei di Roma o tutta Italia? “L’intero ebraismo italiano è coinvolto, a prescindere dall’arrivo dei libici dopo il giugno 1967. Durante la dominazione italiana (1912-1943), la comunità ebraica libica è stata parte integrante dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, anche se in una condizione subalterna. Poi, naturalmente, le vicende del 1967 hanno influito sulla composizione specifica della comunità ebraica milanese e soprattutto su quella romana”. Nonostante dunque “giuridicamente” gli ebrei libici fossero già legati a quelli italiani, la convivenza ha generato una condizione inedita.
“L’impatto è stato sostanzialmente positivo. Grazie alla loro vitalità e al loro legame con le tradizioni, i libici hanno immesso nella realtà romana qualcosa che prima sopiva. Hanno poi introdotto un notevole dinamismo: avevano infatti una grande capacità imprenditoriale, ampia cultura e conoscenza delle lingue. Ovviamente non sono mancanti inevitabili problemi di integrazione, legati alle difficoltà di far coesistere due culture diverse o a semplici questioni concorrenziali. All’interno di questo processo molto positivo, un aspetto problematico è emerso dall’atteggiamento delle istituzioni ebraiche, non sempre pronte a inserire un rabbino o altre figure di riferimento all’interno delle strutture dei nuovi immigrati, considerati più un elemento di passaggio che strutturale”. Gli ebrei libici sono così diventati un elemento del mondo ebraico italiano e non solo. Chi sono dunque oggi i giovani tripolini? “Le nuove generazioni sono molto colte e fortemente integrate sia nell’ebraismo italiano che nella realtà italiana; sono ragazzi legati alla tradizione e all’identità tripolina, ma quando vanno in Israele si percepiscono come romani. Non rinunciano alla loro specifica storia, ma allo stesso tempo hanno sviluppato un profondo legame con l’attualità”. Un doppio filo che sembra continuare a sopravvivere. “Uno dei canti più noti della tradizione ebraica romana, Bar Yohai, che risuona in ogni occasione festiva, è stato composto a Tripoli da Rabbì Shimon Labì, un autorevole cabbalista, autore di un commento importante sullo Zohar”, spiega ancora Meghnagi. “Arrivò a Roma secoli prima rispetto al giugno 1967, per diventare emblema di un legame profondo tra le diverse comunità ebraiche del Mediterraneo. Forse alcune combinazioni non si verificano totalmente per caso: molti ebrei tripolini, infatti, oggi a Roma vivono nel cosiddetto quartiere africano, tra via Tripoli, viale Libia, via Tripolitania. Come se una parte del mondo si fosse fermata, pur continuando ad andare avanti”.
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