Buon per lui: ha perso, ma gli restano le merendine
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Marwan Barghouti, terrorista condannato a 5 ergastoli
Cari amici,
avete letto ieri che è terminato lo sciopero della fame dei terroristi arabi detenuti nelle carceri israeliane. (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=66461). Ci vuole tutta la faccia tosta del “Manifesto” per definire “vittoria” l’esito di questa manifestazione. In realtà dei 1500 carcerati che avevano dichiarato lo sciopero, solo la metà sono arrivati fino in fondo, nonostante un certo numero di adesioni successive, e di questi solo una quarantina sono stati ricoverati per precauzione in ospedale, senza che nessuno fosse mai in pericolo di vita – il che dimostra che per molti lo sciopero non è stato reale o almeno non certamente totale, come è stato del resto documentato nel caso del promotore Marwan Barghouti, ripreso da una telecamera di sicurezza mentre si faceva uno spuntino fuori vista. Le richieste dei terroristi erano piuttosto stravaganti: aria condizionata in ogni cella, televisione con venti canali, liberalizzazione delle comunicazioni con l’esterno per mezzo di cabine telefoniche pubbliche, contatto fisico coi familiari in visita (che avrebbero potuto contrabbandare materiali pericolosi e proibiti). In nessuna prigione del mondo questi privilegi sono concessi. Alla fine la protesta si è spenta dopo aver ricevuto la sola concessione di un aumento delle possibilità di visita dei parenti (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/230254). Ma questo numero non era limitato dai regolamenti israeliani, bensì dalla disponibilità dell’Autorità Palestinese a pagarne i costi di viaggio, che alla fine saranno coperti dalla Croce Rossa (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=42727). Non certo una sconfitta per Israele che aveva rifiutato di trattare coi detenuti e ha discusso della situazione solo con la Croce Rossa e con l’Autorità Palestinese.
Una immagine del video che mostra Marwan Barghouti mentre mangia una merendina
In realtà, per capire quel che è successo bisogna guardare alla situazione generale in cui la protesta si inquadrava e vederne le motivazioni. Lo sciopero della fame era stato proclamato in vicinanza della visita di Trump e doveva servire a promuovere una mobilitazione contro il presidente americano. Doveva dunque rilanciare l’immagine intransigente e “di lotta” di Barghouti contrapponendola a quella di Abbas che riceveva Trump. Il tutto per dare forza alla candidatura del terrorista in carcere (condannato all’ergastolo, è bene ricordarlo, per cinque omicidi terroristi da lui organizzati) alla successione di Abbas. Se ne andasse il vecchio ottantunenne “presidente” da dodici anni (con un mandato di quattro…), se ne andasse comunque colui al quale i palestinisti rimproverano di essere troppo accomodante, troppo “politico”, cioè consapevole dei rapporti di forza, e prendesse il potere il capo storico delle milizie terroriste di Fatah. Che costui stesse in carcere e dunque fosse impossibilitato a fare il presidente anche della bocciofila di Ramallah, ai palestinisti non importa. Israele l’avrebbe dovuto rilasciare in seguito alla “mobilitazione” oppure chissà; del resto a che serve un capo dell’amministrazione pubblica per coloro che parlano strumentalmente di stato, ma in realtà non lo vogliono davvero, sono solo interessati a distruggere Israele e a cacciare (o piuttosto ammazzare) gli ebrei?
Nessuna meraviglia che un politico molto attaccato alla sua poltrona e intollerante di eredi e concorrenti come Abbas abbia in sostanza sabotato lo sciopero, pur intonando peana agli “eroici combattenti” delle carceri (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/230260). D’altro canto Barghouti, che è uno di quei capi terroristi che organizzano i crimini ma fanno assumere i rischi agli altri, guardandosi bene dal mettere in pericolo la loro vita e la loro carriera, ha preso nota della situazione e ha pensato bene di approfittare del minimo accordo con la Croce Rossa per salvare la faccia anche a costo dell’onore (www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=19123). Vedremo come questa “eroica lotta” o piuttosto disastroso fallimento inciderà sulla sua carriera di autoproclamato “Mandela palestinese”.
Ci sono però alcune cose da imparare in questa vicenda. La prima è che Israele ha interesse a tener duro nelle trattative coi palestinisti. Cedere, anche trattare spesso non conviene. Barghouti aveva scommesso sull’atteggiamento malleabile di governi precedenti timorosi della propaganda internazionale ed è rimasto sorpreso quando non ha avuto la resa che si aspettava. La seconda lezione è che i leader palestinisti agiscono politicamente, badando soprattutto all’amplificazione dei media e alla sponda di organizzazioni internazionali e governi europei amici. Scordatevi l’idea di una “lotta” senza paura e senza compromessi, totalmente autonoma e spinta dalla “rabbia”, dalla “frustrazione”, dalla fiducia nella propaganda antisemita di imam e televisioni: in realtà i palestinisti si muovono come esperti di relazioni pubbliche che provano a costruire “eventi” per sostenere la loro comunicazione. Se non funziona lasciano stare la campagna di comunicazione e si mettono a progettarne un’altra. La terza lezione è che anche su questo piano oggi essi sono deboli, come su quello militare. Provano in tutti i modi di far danno a Israele, ma la loro capacità di usare il terrorismo fisico come quello mediatico dura poco, perché Israele studia le lezioni e impara come rispondere. E soprattutto, senza Obama alla Casa Bianca, con i maggiori paesi arabi preoccupati soprattutto dell’aggressività iraniana, il mondo non è più disposto a fare per loro il cartellone pubblicitario. Meglio così, signor Barghouti, improbabile candidato Mandela, assurdo candidato premio Nobel, perdente candidato presidente dell’Autorità palestinese e ormai solo cittadino onorario di Palermo o di Napoli o di entrambe le città governate da sindaci “arancione”, oltre che di qualche cittadina comunista in Francia. Che si accontenti di contemplare il Vesuvio in cartolina e delle merendine da mangiare in cella, questa volta senza doversi nascondere…
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