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Trump, il terrorismo e Gerusalemme (Traduzione di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Giorgio Berruto)
Molto è stato scritto del viaggio di Donald Trump in Arabia Saudita, Israele e presso l’Autorità palestinese, ma sempre dal punto di vista di opinionisti israeliani e americani. Questo articolo, al contrario, si incentra sulle visioni degli arabi, e in particolare degli arabi palestinesi. Due aspetti principali hanno colpito molti opinionisti arabi. Il primo a proposito della visita a Riyad, a decine di capi di Stato arabi e musulmani, tra cui il sovrano saudita, Salman ben Abd Al-Aziz. Il discorso di Trump si è incentrato sull’obbligo, per il mondo islamico – o meglio, per i governanti nel mondo islamico – di combattere il terrorismo, intendendo il terrorismo contro gli Stati Uniti, l’Occidente e, tranne in alcuni casi, gli stessi governanti musulmani. Nel discorso Trump ha citato quattro organizzazioni: Isis, Al Qaeda, Hezbollah e Hamas. E’ importante sottolineare che, in base alla stessa definizione del governo americano fissata ai tempi dell’amministrazione Bush – Hamas è un’organizzazione terroristica autentica. Al alcuni dei presenti all’incontro, in particolare l’Emiro del Qatar, l’inclusione di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche pone un serio problema perché, dopo tutto, il Qatar è il principale sostenitore, economicamente, di Hamas. Parecchi anni fa, il Qatar ha donato mezzo milione di dollari per lo sviluppo di infrastrutture – strade, scuole e ospedali – a Gaza, ma è risaputo che una buona parte della somma è stata destinata alla costruzione di infrastrutture terroristiche, tra cui tunnel sotterranei per penetrare in Israele, nuove armi e missili più potenti. I capi di Hamas si sono sistemati in Qatar, operando senza problemi da lì. Qualcosa mi dice che l’Emiro del Qatar ha fatto un balzo sulla sua poltrona imbottita quando Trump ha incluso Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche, ma non ha proferito verbo in risposta, esattamente come gli altri capi di Stato musulmani presenti. Il rumoroso silenzio dei governanti ha fatto infuriare molti arabi palestinesi, in primo luogo i portavoce di Hamas, che hanno afferrato ogni microfono a disposizione per dichiarare che Hamas non è un’organizzazione terroristica ma una organizzazione di liberazione nazionale che combatte contro “l’occupazione” e che ha costituito una entità politica funzionante.
Uomini, donne e bambini di Gaza hanno dimostrato, protestando contro le parole di Trump, mentre i portavoce di Abu Mazen, Presidente dell’Autorità palestinese, sono per lo più rimasti in silenzio, benedicendo implicitamente le parole di Trump, che interpretano come un colpo sotto la cintura assestato agli arcinemici di Hamas. A telecamere spente, hanno certamente sorriso per la felicità. Il resto del mondo arabo si divide tra i sostenitori di Hamas, che hanno protestato per l’inclusione tra le organizzazioni terroristiche, e quelli contro Hamas, che sono rimasti in silenzio o hanno approvato con discrezione. Hamas non è l’unico argomento che ha provocato malumori tra Qatar e Stati Uniti. Più importante ancora è la questione della cooperazione del Qatar con l’Iran. Nel discorso di Riyad, Trump ha insistito sul ruolo negativo dell’Iran nei numerosi conflitti in Medio oriente (in Yemen, Siria, Iraq e Libano), nella diffusione del terrorismo in tutto il mondo e nel provocare disordini nel mondo islamico. Due Paesi, Qatar e Iran, si dividono il possesso dei depositi sotterranei di gas del Golfo Persico, il che spiega perché l’Emiro del Qatar sia così attento a non inimicarsi i leader iraniani. D’altra parte, il Qatar ospita il più grande e importante campo d’aviazione americano nel Golfo, perciò ci può essere un limite alla pressione che Trump può esercitare sui legami del Qatar con l’Iran. La seconda questione unisce tutti i giocatori in campo perché si tratta del consenso. Trump ha detto che Gerusalemme è una città santa, che al mondo non esiste alcuna città tanto bella e magnifica con una tradizione simile. Ha affermato che il legame del popolo ebraico con la Terra di Israele sono antichi ed eterni, già esistevano migliaia di anni fa, durante il regno di re Davide; Trump ha poi pregato al Muro occidentale. Sebbene, come i suoi predecessori, non abbia dichiarato Gerusalemme capitale dello Stato di Israele e non abbia spostato l’ambasciata americana, il mondo arabo ha percepito queste cose come implicite. Per esempio, l’affermazione secondo cui il legame degli ebrei con la Terra di Israele esisteva già migliaia di anni fa è interpretata come il riconoscimento che il popolo ebraico visse in questa regione prima della comparsa dell’islam 1400 anni or sono. Questa frase mette a nudo la menzogna degli arabi palestinesi, che affermano di essere i discendenti degli antichi gebusei e di aver vissuto in Israele prima degli ebrei; una menzogna che i Paesi arabi utilizzano per rifiutare l’idea che la Terra di Israele appartenga agli ebrei. Perfino il parlamentare Ahmed Tibi, che conosce la politica israeliana meglio di molti ebrei, ha detto in una videointervista che Gerusalemme est (incluso il Monte del Tempio) deve essere la capitale di uno Stato palestinese e che non ci sarà uno Stato Palestinese senza Gerusalemme come capitale. E dunque chiedo: su che cosa si basa la richiesta di Tibi, condivisa da molti arabi e musulmani? Quando Gerusalemme è stata capitale di uno Stato arabo o islamico? Un califfo, emiro, re o sultano arabo ha mai governato risiedendo a Gerusalemme? E’ mai esistito uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme? Le risposte sono chiare a chiunque, per cui le parole di Tibi non hanno alcun fondamento storico.
Trump non ha citato l’ipotesi di uno Stato palestinese né a Riyad né a Gerusalemme né visitando l’Autorità palestinese. E’ un’omissione dal profondo significato, soprattutto in confronto alla centralità che aveva nel discorso tenuto al Cairo nel 2009 dal suo predecessore alla Casa Bianca. Il significato di questa omissione è che Trump non crede che la fondazione di uno Stato simile sia indispensabile, è aperto ad altre idee e lascia la questione in gran parte a negoziati tra le due parti coinvolte. Questo aspetto, chiaramente, non fa piacere ad Abu Mazen e all’Autorità palestinese, mentre suscita il sorriso di Hamas, anche se esclusivamente a telecamere spente, perché a Hamas fa piacere vedere che Abu Mazen ha fallito nel tentare di convincere Trump a sostenere pubblicamente uno Stato palestinese, mentre Hamas uno Stato di fatto lo ha creato dieci anni fa a Gaza nonostante Israele, e nessuno al mondo, neppure Israele e il suo forte esercito, potrà eliminarlo. Tuttavia, nonostante il dovuto apprezzamento vero i discorsi di Trump, tutto questo deve essere considerato nelle sue giuste proporzioni. Trump ha espresso la sua opinione, ma non ha scritto i discorsi – altri lo hanno fatto per lui – e il suo impegno a sostenere quelle parole per un lungo periodo è tutto da verificare. Ciò che conta è quello che accadrà in futuro, che cosa Trump dirà al suo inviato speciale in Medio Oriente, Jason Greenblatt e i consigli che quest’ultimo darà al Presidente. Tutto ciò accade lontano dai media, ma è quello che conta davvero. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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