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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
28.05.2017 Un nuovo Qohelet sotto il sole
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 28 maggio 2017
Pagina: 33
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Amaro Qohelet a tinte forti»

Riprendiamo dal SOLE24ORE-DOMENICA di oggi, 28/05/2017, a pag. 33, con il titolo "Amaro Qohelet a tinte forti", la recensione di Giulio Busi.

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Giulio Busi

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La copertina (Tallone ed.)

Oggi non ho comprato un libro. Da almeno quarant'anni, sono pochissimi i giorni in cui succede, e per questo mi sono annotato dov'ero, cos'ho pensato, che tempo faceva. Un bibliomane compulsivo sa di che cosa parlo. Adocchiare un volume sullo scaffale, rigirarlo fra le mani, sfogliare un paio di pagine, richiuderlo, pensare che no, di questo posso fare a meno. Poi riprenderlo furtivamente, pagare, andarsene in fretta, con quella nuova preda sottobraccio, colpevoli, felici. È un rito, uno scongiuro, una malattia. La riva del fiume, gli alberi piegati dal vento, il castello arcigno sopra noi, il piccolo antiquario con i volumi in mostra su una panca, davanti alla vetrina, il sorriso di mia moglie.

Era tutto così sereno, che quel libriccino fine Ottocento, a fregi d'oro, oggi, sarebbe quasi stato di troppo. L'ho riposto, sono passato oltre. Tutti gli altri giorni, quelli normali, ieri, domani, sono ostriche ben chiuse sulla loro perla d'afflizione. Le parole stampate, vecchie e nuove, servono, eccome. A che cosa? «Una parola che dà la pace flagellando se stessa, implacabilmente, finché dura l'agonia del mondo».

Più libri sfogliate, più troverete. E se girate le pagine del vecchio Qohelet, l'Ecclesiaste, il più saggio, disperato, frenetico dei libri, quello che vi viene incontro vi metterà in pensiero, per anni, per sempre. Le parole tra virgolette, che dicono il flagello della Parola, sono di Guido Ceronetti. Da quando ero timida matricola di lingue orientali, ancora ai tempi in cui Gutenberg la faceva da padrone, prima degli sfarfallii digitali, penso che Ceronetti sia nato apposta per strappare l'Ecclesiaste al suo trono, e farlo scendere per strada. Ceronetti è naturalmente nato per tante altre cose, con quella sua prosa di cui s'è perso il conio, ma la saggezza istrionica di Qohelet, legno ricurvo per troppe piogge, è fatta proprio per lui.

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Guido Ceronetti

I libri vanno smontati - ambiente, lingua, datazione, stile - tutto l'apparato, secolare e utilissimo della filologia e della critica. E poi, una volta che li si è fatti a pezzi, e li si è riportati all'ordinata follia che chiamiamo Storia, comincia il compito più arduo, quello di capirli. A questo punto, quando entra in gioco la comprensione, la misteriosa energia che ci permette ancora di essere uomini, le cose si fanno più complicate. La filologia biblica ci aiuta a stabilire da dove e quando sia sortito il libro dell'Ecclesiaste. Ma cosa vuole dirci, davvero, questo sovrano senza regno, che non ci racconta di grandi imprese, di eserciti, di flotte, e perde invece tempo a ripeterci che siamo leggeri e diafani come un soffio, un respiro, e che tutto il nostro destino è più lieve di una brezza, più fugace d'una nebbia?

A tanti anni di distanza dall'edizione originale, Ceronetti ha ripensato la sua traduzione italiana di Qohelet, e l'ha data da stampare a Tallone. Un testo lavorato di fino s'incontra con un tipografo accuratissimo, che sa dosare l'equilibrio del foglio, la grana della carta, il colore dell'inchiostro. Si aggiungano le tavole disegnate da un maestro di forme e d'invenzione come Mimmo Paladino: quello che ne esce è una festa per gli occhi, esausti per gli schermi retro-illuminati e immiseriti da migliaia e migliaia di pagine in Times New Roman. Ce n'era bisogno? Serve, la bellezza, per capire l'amarissimo Ecclesiaste? Provare per credere.

«Il maestro tutto nodi che scioglie il grande nodo» così lo chiama Ceronetti. Provate a toccarlo, questo nodo, sulla carta. Cercate di vederlo, il re intricato di piaceri, sazio di giorni, mentre si dilegua tra righe perfette di consonanti, premute sotto il torchio dello stampatore. La Hokhmah, la Sapienza, concubina, madre, figlia del re, è donna in carne e ossa, non esangue astro celeste. La Sapienza è di sangue, e le parole devono essere di carta e d'inchiostro, per avvolgerla e contenerla. «Teatro, portico, piazza, alla Sapienza non interessa che avere uno spazio affollato, meglio se gremito, dove mettersi a gridare, contorcersi e cantare».

Ceronetti accompagna la traduzione con accurate istruzioni agli attori, su come metterla in scena, questa pièce su tutto ciò che è tahat ha-shemesh, sotto il sole. Ed è per lo stesso motivo che noi, ormai avvezzi a libri nel cloud, sulle nuvole, evanescenti più del soffio delle vanità, siamo felici, una volta tanto, di stringerlo, chiuderlo, aprirlo, rimetterlo nella custodia, il nostro Re dei nodi, Qohelet, Sovrano del troppo umano. Credo che domani tornerò dall'antiquario sul lungofiume. Domani, il libro, lo compro.

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