Da Manchester ai copti: la guerra islamista contro bambini e 'infedeli' Analisi di Carlo Panella
Testata: Libero Data: 27 maggio 2017 Pagina: 2 Autore: Carlo Panella Titolo: «La radice dell'odio è nella loro fede»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/05/2017, a pag. 2, con il titolo "La radice dell'odio è nella loro fede", l'analisi di Carlo Panella.
Carlo Panella
La scena dopo la strage sull'autobus dei copti
In un mondo devastato dagli attentati, la strage dei copti di Anba Samuel colpisce per la sua incredibile ferocia. Abbiamo negli occhi la strage dei ragazzini di Manchester e ora ci dobbiamo confrontare con il racconto da incubo del commando jihadista che blocca due autobus di fedeli cristiani, quanto di più pacifico e mite si possa dare, vi sale e con sventagliate di mitra ad alzo d'uomo ne uccide 35 -di nuovo, anche bambini- e ne ferisce decine. ll tutto nel nome di Allah, per punire con una morte atroce chi non venera il vero, unico, dio e anzi professa la «idolatria» del culto dei santi. Solo i nazisti sono stati capaci di simili e folli atrocità nel nome della loro ideologia e della loro «purezza».
Questa strage e le sue vittime, ci dicono tutto sugli autori, venga o non venga una rivendicazione ufficiale: sono i membri di quella non piccola parte dell'Islam che si rifà agli insegnamenti di Mohammed Wahab, che considera i cristiani «nemici della Vera Fede», apostati e degni di morte per il loro culto dei santi, della Madonna e della Santa Trinità. Un Islam egemone in Arabia Saudita, dove sei arrestato e condannato se solo porti una croce al collo, ma anche in Pakistan e Afghanistan, come pure in Indonesia, nello Stato di Anceh. Un Islam che non è sicuramente maggioritario, ma che ha centinaia di migliaia di seguaci nel mondo. Un Islam che è causa della persecuzione dei cristiani nel mondo islamico che fa una media di tre nostri -e uso volutamente questo termine- martiri ogni giorno. In Egitto poi, e in specie nell'Alto Egitto, dove si è consumata la strage, queste follie islamiche si intrecciano con millenarie tensioni etniche, tra le popolazioni autoctone, appunto i copti, e le successive migrazioni di ceppi arabi.
Ma queste stragi si ripetono anche perché è totalmente fallita la promessa del presidente Fattah al Sisi di proteggere i cristiani e sconfiggere il terrorismo. Quella stessa arrogante e crudele inefficienza dei dirigenti delle forze di sicurezza, degli uomini di maggior fiducia di al Sisi, che abbiamo visto operare nel «caso Regeni», caratterizza l'azione dell'antiterrorismo egiziano. A tre anni dalla presa del potere, al Sisi non è minimamente riuscito a sradicare i gruppi di jihadisti che non solo fanno saltare l'una via l'altra le chiese cristiane durante le sacre funzioni, ma che tengono in scacco l'esercito egiziano nelle poche e delimitate zone abitate del Sinai, provocando la morte in attentatie persino in combattimenti diretti di più di 500 militari egiziani. Regime corrotto, come quelli precedenti, nonostante il suo autoritarismo, nel contrasto al jihadismo quello di al Sisi si dimostra uguale o peggiore di quello di Hosni Mubarak o di quello dei Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi, che ha detronizzato. Un'inefficacia, una debolezza, che hanno dello spaventoso e che ci riportano al dato drammatico: questo terrorismo jihadista nasce dentro un Islam che non ha in sé la forza, la capacità e la determinazione per espellerlo dal suo corpo, anche se a parole lo condanna.
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