Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/05/2017, a pag. 13, con il titolo "Questa è una guerra ed ecco il bollettino: da Charlie a Londra", il commento di Pierluigi Battista; dal FOGLIO, a pag. I, con il titolo "In assetto di guerra", l'analisi di Paola Peduzzi.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Questa è una guerra ed ecco il bollettino: da Charlie a Londra"
Pierluigi Battista
Il terrorismo islamico sfrutta il politicamente corretto per decapitare l'Occidente
Un bollettino di guerra dal gennaio del 2015, con l’assalto a Parigi alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato ebraico. Di una guerra che per paura e cecità non vogliamo chiamare guerra, ma che ha mietuto infinite vittime di guerra. Episodi clamorosi ed episodi dimenticati, senza un criterio cronologico preciso. Ma che non dovrebbero essere mai dimenticati. Nel dicembre del 2016 un Tir rubato con targa polacca viene scaraventato nel cuore di Berlino sulla folla che si accalca nel mercatino di Natale, provocando 12 morti. A luglio del 2016, in un centro commerciale di Monaco di Baviera vengono mitragliate a morte 9 persone (l’attentatore si suicida dopo la strage). A Wurzburg, sempre a luglio, un ragazzo armato di ascia si scaglia contro i passeggeri di un treno regionale prima di essere ucciso dalla polizia. Sul treno Thalys diretto a Parigi, nell’agosto del 2015, un terrorista con un fucile sta per uccidere un gruppo di passeggeri ma viene bloccato all’ultimo momento da due soldati americani in licenza in Europa. Nel luglio del 2015 a Suruc in Turchia, al confine con la Siria, un kamikaze si fa saltare in aria uccidendo 30 persone, tra cui molte ragazze in partenza per Kobane, che avevano scattato un selfie di gruppo subito prima di morire. Nel gennaio del 2016 a Istanbul un uomo si fa esplodere presso l’obelisco di Teodosio ammazzando 13 turisti. A marzo del 2016, a Istanbul, nella centralissima Istiklal Avenue, un uomo si fa esplodere provocando la morte di 4 persone. Nel giugno del 2016 in un’esplosione terroristica all’aeroporto di Istanbul muoiono 45 persone. Nella notte di Capodanno 2017 un terrorista islamico irrompe con un kalashnikov nella discoteca Reina club e uccide 39 persone.
A Oriente come a Occidente
Nel gennaio del 2016, a Giacarta, in un centro commerciale un terrorista si fa saltare in aria con una cintura esplosiva lasciando sul terreno 8 vittime. A Dacca, in un ristorante situato nel quartiere diplomatico della capitale del Bangladesh, un uomo prende in ostaggio gli avventori e ne uccide ventidue. Nel marzo del 2015, nel museo nazionale Bardo a Tunisi, un attentato terroristico uccide 24 persone. A Susa, in Tunisia, nel giugno del 2015 un gruppo di terroristi irrompe in un centro turistico gridando «Allah Akbar» e uccide 39 persone, molte delle quali erano in spiaggia, sotto gli ombrelloni. A Tel Aviv, il primo gennaio del 2016, un uomo spara sugli avventori di un bistrot, uccidendone due (senza considerare il numero elevatissimo di attentati di matrice islamista in Israele). Nella domenica delle Palme del 2017, due esplosioni nelle chiese copte di Tata e Alessandria d’Egitto fanno strage di fedeli. Nel luglio del 2016 due terroristi islamici, durante la messa mattutina nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino a Rouen in Francia, sgozzano Padre Jacques Hamel dopo averlo costretto a mettersi in ginocchio, gridando «Daesh».
A Copenaghen, nel febbraio del 2015, un giovane con un passamontagna irrompe con un kalashnikov in un caffè dove si svolge un convegno sulla libertà d’espressione alla presenza del vignettista svedese Lars Vills, «colpevole» di aver disegnato vignette considerate blasfeme su Maometto: muore una persona. Successivamente un terrorista attacca la Sinagoga Grande della capitale danese: muore una persona. A Orlando in Florida, nel giugno del 2016, un terrorista spara sulla folla di un night club frequentato dalla comunità gay uccidendo 49 persone. Senza provocare morti, si registrano attacchi di uomini armati di coltelli e asce in un centro commerciale del Minnesota, a New York e nel New Jersey. A Nizza, nel luglio del 2016, durante la festa con i fuochi d’artificio per celebrare la presa della Bastiglia, un terrorista a bordo di un camion lanciato a velocità folle si scaglia sulla folla del lungomare provocando 84 morti. A Londra, sul ponte di Westminster a un passo dal Parlamento inglese, nel marzo del 2017, un uomo si lancia con un suv sui passanti uccidendone cinque. Nell’aprile del 2017, a Stoccolma, nella zona commerciale di Drottninggatan, un camion travolge la folla provocando la morte di 5 persone. A San Pietroburgo, nell’aprile del 2017, un terrorista islamico kirgizo fa esplodere un ordigno in un vagone della metropolitana uccidendo 14 passeggeri.
Dal Bataclan agli Champs-Élysées
Nel novembre del 2015, a Parigi, circa una decina di terroristi uomini e donne, armati di cinture esplosive, mitragliatrici, fucili e bombe a mano uccide 130 persone al teatro Bataclan, nei pressi dello stadio, in alcuni ristornati, caffè e pizzerie. Nel marzo del 2016 all’aeroporto di Bruxelles due terroristi islamici si fanno esplodere provocando la morte di 31 persone. Dopo appena un’ora nella stazione della metropolitana di Bruxelles vicina alle istituzioni europee esplode un’altra bomba, con il bilancio di 20 morti. Nel febbraio del 2017 un uomo armato di machete e con due zaini sulle spalle ha aggredito dei soldati sotto la piramide del Louvre a Parigi. Nel marzo del 2017, all’aeroporto di Orly, un uomo spara a un posto di blocco e ferisce un’agente di polizia gridando «morirò per Allah». Nell’aprile del 2017, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Francia, a Parigi, sugli Champs-Élysées un terrorista spara a una pattuglia della polizia e uccide un poliziotto. Poi ci sono il Pakistan, l’Afghanistan, la Nigeria, lo Yemen. Poi c’è la notte di Manchester, la strage delle ragazze.
IL FOGLIO - Paola Peduzzi: "In assetto di guerra"
Paola Peduzzi
Terrorismo islamico: Corano e armi
Gli inglesi non mandano “i carri armati” per strada, è un tabù di cui si sono dotati da anni, da quando Tony Blair, nel 2003, decise di inviare 400 soldati e tre blindati a Heathrow, in risposta a un possibile attacco – con i missili – agli aerei di linea di cui era venuta a conoscenza l’intelligence. Erano gli anni dell’Iraq, Blair fu accusato, tra le tante altre cose, di voler importare la guerra a casa sua più che esportare la democrazia, e da quel momento l’antiterrorismo britannico, su cui si è ampiamente investito, ha avuto l’ambizione di rimanere trasparente, di non essere visibile, percepibile, condannabile. Poi ieri è cambiato tutto: c’è il rischio di un attacco “imminente”, ha detto Theresa May a ventiquattro ore dall’attentato all’Arena di Manchester, ed è necessario prendere tutte le misure necessarie. Era un decennio che non si annunciava un allarme tanto elevato, e anche prima non era accaduto spesso: più di recente, durante e dopo gli attentati a Parigi, si era presa in considerazione l’ipotesi, poi esclusa.
Oggi le informazioni in possesso del governo e dei servizi devono essere ben più preoccupanti, e allora pazienza se si vedono le mimetiche e le armi per strada, pazienza se già molti dicono che la May vuole fare “come i francesi” e imporre lo stato d’emergenza perenne, un eccesso di zelo che ha – secondo i detrattori – un gran sapore elettorale, solo io posso proteggervi, votatemi. Pazienza: un altro attentato non è tollerabile, vedrete i soldati per strada, ce ne saranno quasi quattromila, di cui circa mille a Londra. Così l’“Operation Temperer” è iniziata. Il cambio della guardia fuori da Buckingam Palace a Londra è stato cancellato (più o meno nell’orario del celebre rito, la polizia ha arrestato un uomo con un coltello, in mezzo ai turisti atterriti: pare non fosse però collegato con la caccia all’uomo che è partita in tutto il paese, da quando il ministro dell’Interno, Amber Rudd, ha detto che è “probabile” che l’at - tentatore di Manchester non fosse solo), i soldati sono stati dislocati davanti ai palazzi reali e del governo e davanti alle ambasciate, mentre tutte le visite aperte al pubblico a Westminster sono state sospese – hanno fatto il giro del mondo le immagini delle guardie irlandesi e dei parà insieme, rarità assoluta, che marciano dentro al Parlamento.
Anche per i poliziotti i ritmi sono cambiati, i turni modificati, le assenze rifiutate, c’è bisogno di tutti e dappertutto. Si può davvero proteggere una città, un paese, da una minaccia così subdola com’è quella del terrorismo islamico?, chiedono i commentatori, sapendo che la risposta è no, non si può prevedere tutto, ma l’alternativa cauta non è percorribile, non quando un ragazzo ha fatto strage di altri ragazzi al concerto di una cantante-ragazza, non quando diventa chiaro che il network terrorista è ampio, non c’è solo un attentatore, c’è un fratello, e ci sono altri. La parte invisibile però resta. Molti esperti di sicurezza ieri (ri)spiegavano sui media che le sole forze di sicurezza non bastano, l’essenza dell’antiterrori - smo è “la vigilanza collettiva”, tutti in allerta pronti a dare informazioni: difendersi è una questione anche culturale. L’intelligence lavora su questo, non senza difficoltà, perché se è vero che l’Mi5 è uno dei servizi più rispettati e celebri del mondo, è anche evidente che se c’è un mondo globalizzato è quello dell’intelli - gence. Più si lavora insieme meglio è.
E’ il motivo per cui, nel tormento della Brexit temporaneamente sospeso, si parla spesso di come resteranno i rapporti tra il Regno Unito e l’Europa in termini di intelligence: la linea, almeno su questo, è comune, non si può fare a meno di nessuno. Pure se in questi giorni ci sono state alcune frizioni, perché lo scambio di informazioni è diventato anche rapporto con i media, mestiere complicato, che cosa si rende pubblico, come e soprattutto quando. Bisogna accordarsi anche su questo. La Rudd ieri ha detto di essere “irritata” dal fatto che gli americani hanno fatto filtrare alla stampa informazioni sull’attentatore e sui suoi trascorsi che il governo inglese invece aveva deciso di tenere segreti. “Irritato” è stato letto come un modo british per dire “furibondo”, visto che la Rudd ha precisato che “il flusso di informazioni” deve essere controllato dalla polizia britannica, “sono stata molto chiara con i nostri amici sul fatto che questa cosa non debba accadere più”. Fonti americane avevano fatto sapere già all’indomani dell’attentato che si trattava di un terrorista suicida fornendo informazioni per identificarlo quando ancora il governo inglese restava fermo sulla linea: per il momento non si diffonde nulla. In un’altra epoca, forse nessuno si sarebbe irritato, o forse non così tanto, ma oggi esiste quasi un nuovo genere sul traffico di informazioni operato dagli stessi leader politici, basti pensare al presidente americano Donald Trump che dice di essere stato intercettato dal suo predecessore quando ancora era alla Trump Tower e che in un’altra occasione spiega di avere tutto il diritto di dare informazioni ai russi che ha ricevuto da un altro alleato (Israele).
Se si pensa che i trumpiani hanno accusato gli inglesi di essere stati loro a piazzare cimici alla Trump Tower, dovendosi poi scusare, diventano più chiare le ragioni per cui il ministro dell’Interno britannico sia stato tanto deciso nel sottolineare – in modo poco usuale – la propria irritazione. Ma non ci si può fare molto, va detto: proprio mentre la Rudd esternava sugli americani chiacchieroni, da Parigi il collega Gé- rard Collomb, appena insediatosi, diceva che i legami tra l’attentatore di Manchester e lo Stato islamico sono “provati”. Si tratta di informazioni presumibili, ma quando si è già irritati si è più sensibili. Sullo sfondo di questo momento di grande allerta e cordoglio, mentre continua l’identificazione tragica delle vittime e si scopre che c’è anche una poliziotta fuori servizio, resta la politica. La campagna elettorale è stata sospesa, ma molti fremono: di fatto, la gestione dell’attenta - to è tutta visibilità per il premier Theresa May (che ha trovato toni e modi invero efficaci per annunciare misure allarmanti senza creare eccessivo panico). Così gli indipendentisti dell’Ukip, che pure sono in una crisi profondissima, hanno detto di avere il diritto di commentare senza essere tacciati di mancanza di sensibilità, ma a fremere sono soprattutto i laburisti, che infatti ieri hanno detto: da venerdì si ricomincia a fare campagna. Alcuni tic non si possono contenere nemmeno di fronte all’emergenza, e così ieri il figlio del capo della campagna di Jeremy Corbyn, leader del Labour, ha sentito l’ur - genza di dire che la bomba a Manchester arriva in “un momento incredibilmente ideale” per “la disastrosa campagna dei conservatori”. La teoria del complotto era già stata enunciata dalla laburista Debbie Hicks che ha scritto su Facebook che l’attentato arriva “con un tempismo meraviglioso per Theresa May”. Il business as usual non è soltanto mostrarsi forti e liberi, insomma, è anche questo.
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