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Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.05.2017 Trump in Medio Oriente: le analisi
Analisi di Fiamma Nirenstein, Monica Perosino intervista Mordechai Kedar, commento di Davide Frattini

Testata:Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Monica Perosino - Davide Frattini
Titolo: «Asse con Israele, spiraglio per i colloqui di pace - 'Solo il realismo di Donald potrà fermare i Paesi complici del terrorismo' - Medio Oriente, le (due) parole non pronunciate»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/05/2017, a pag. 15, con il titolo "Asse con Israele, spiraglio per i colloqui di pace", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo 'Solo il realismo di Donald potrà fermare i Paesi complici del terrorismo', l'intervista di Monica Perosino a Mordechai Kedar; dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, con il titolo "Medio Oriente, le (due) parole non pronunciate", il commento di Davide Frattini.

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Asse con Israele, spiraglio per i colloqui di pace"

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Fiamma Nirenstein

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Donald Trump

Gerusalemme Sostegno incondizionato a Israele, promessa che l'Iran non avrà nessuna bomba atomica, apertura di un fronte antiterrorista comune col mondo arabo che porti a un nuovo tipo di processo di pace coi palestinesi. È valsa la pena per Benjamin Netanyahu di resistere con determinazione a otto anni di punizione da parte della presidenza Obama senza fare passi indietro: Trump ha rovesciato la posizione americana con una visita in Medio Oriente. L'opinione pubblica internazionale, l'Onu, l'Ue, erano stati plasmati dagli stilemi obamiani, quelli di un mondo islamico in cui la Fratellanza Musulmana è un alleato, mentre l'Arabia Saudita, l'Egitto e i Paesi del Golfo venivano messi da parte; in cui l'Iran era l'alleato strategico dell'Occidente; e soprattutto Israele veniva trasformato in uno stato paria.

Trump ieri prima che i tappeti rossi venissero riarrotolati e Air Force One riprendesse, enorme e azzurrino, il volo, ha tenuto al Museo d'Israele un discorso che ha esordito con il cordoglio per l'attentato di Manchester per avventurarsi di nuovo nel tema del terrorismo: è il grande nemico del mondo intero, senza nessuna differenza fra l'Inghilterra o il suo stesso Paese e Israele, e nemmeno il mondo islamico tormentato dal continuo bagno di sangue. La guerra contro l'Isis è comune, come deve esserla quella contro Hamas e gli Hezbollah. Inoltre, l'Iran ambizioso e violento trascina il mondo sciita verso la nuclearizzazione e un ruolo imperiale. Trump ha giurato sia a Ryiadh che in Israele che l'Iran non avrà la bomba. Lo sfondo strategico sul quale si costruisce il disegno della nuova amministrazione americana è quello di un'alleanza onnicomprensiva di tutti gli uomini di buona volontà contro le forze del male. C'è per Trump un mondo che ama la morte e che deve essere battuto. «Not with D. J. Trump», ha detto il presidente, un'uscita fra John Wayne e Lawrence d'Arabia: l'unica licenza trumpiana.

Per il resto ha usato toni da pacificatore e da statista: Israele, che si è sentito ripetere senza sosta che Gerusalemme non gli appartiene, ha goduto per la prima volta di una ricostruzione storica realistica. La Gerusalemme che Trump ha descritto con toni incantati è tornata ad essere la patria ideale, religiosa, storica di quattromila anni di storia del popolo ebraico. Nel discorso del presidente è stata disegnata per ciò che è, con le sue strade, con la gente di tutto il mondo che visita tranquilla e rispettata il Santo Sepolcro, le Moschee, il Muro del Pianto: una città dove le tre religioni possono finalmente vivere nel rispetto reciproco, nell'educazione pluralistica. La prospettiva di pace fra Israele e i Palestinesi non è stata disegnata nei particolari: è apparsa piuttosto come una prospettiva, un comma della generale guerra appena dichiarata contro il terrorismo. Abu Mazen, che Trump ha incontrato durante la mattinata a Betlemme, è stato descritto come un leader che vuole la pace. E così Netanyahu. Probabilmente i leader si sono promessi molte cose, molti accordi sono intercorsi di cui ancora non si sa: probabilmente Trump punta a ottenere una riapertura dei colloqui fra le due parti in cambio di facilitazioni economiche e di sicurezza, consolidando intanto lo sfondo del sostegno del mondo arabo sunnita al progetto generale.

 

LA STAMPA - Monica Perosino: 'Solo il realismo di Donald potrà fermare i Paesi complici del terrorismo'

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Monica Perosino

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Mordechai Kedar

«Quanto successo a Manchester è l’effetto dell’insegnamento radicale di chi non vuole che una donna canti e che ragazzi e ragazze stiano insieme di notte». Mordechai Kedar, uno dei più importanti analisti di Medio Oriente, avverte del rischio che corre l’Europa «che sta perdendo le difese immunitarie contro l’estremismo».

Quali sono le contromisure?
«Il discorso Trump a Riad dice molte cose, una determinante: il presidente, a differenza di Obama, ha parlato rivolgendosi direttamente ai governi e chiedendo ai leader in sala di prendere misure energiche per combattere il terrorismo. È un uomo realista, che sa che gli accordi si stringono con i leader, che sono i governi a poter mettere in atto misure efficaci contro il terrorismo, e non certo parlando alle masse.

Si riferisce a Obama?
«Sì. Quando Obama andò in Egitto nel 2009 si rivolgeva al “mondo musulmano”, alla gente. Ha ignorato i regimi, non è mai andato in Arabia Saudita: la sua politica liberal era debole, demagogica, populista. E totalmente inefficace. Trump, invece, si rivolge a chi può davvero fare qualcosa, ai leader».

A Riad Trump ha menzionato la minaccia di Isis, Al Qaeda, Hezbollah e Hamas. Cosa ha chiesto ai governi?
«Contromisure decise. Peccato che seduti in platea ci fossero i leader di Paesi come il Qatar, lo Stato che supporta Hamas e ha buone relazioni con Hezbollah. C’erano anche i sauditi, “creatori” di Al Qaeda. Gli ospiti ascoltavano e probabilmente sorridevano tra sé e sé, si chiedevano: ma di cosa sta parlando? Dobbiamo invece fare in modo che siano proprio questi Paesi complici del terrore a iniziare a cambiare corso».

Crede che fosse un discorso ipocrita?
«Di ipocrisia, quando si parla di terrorismo, ce n’è molta, ma non so se Trump sia ipocrita, è sicuramente responsabile di quello che dice, ma non pienamente consapevole».

Quali sono le azioni che l’Europa dovrebbe fare per contrastare efficacemente il terrorismo?
«La prima cosa è che l’Europa si svegli dal sonno profondo in cui è caduta. Deve decidere se vuol continuare a dormire in piedi o permettere la critica, affrontare il tabù e parlare apertamente di islam radicale».

Poi?
«Deve attivare le intelligence locali per raccogliere informazioni su imam, religiosi e insegnanti arrivati in Europa con l’unico scopo di radicalizzare, e poi monitorare queste persone e il materiale che diffondono nelle moschee, nelle scuole, nei luoghi pubblici. Non solo: occorre scandagliare i siti web e punire chi predica l’islam radicale. Aggiungo: la polizia europea deve essere unita, a partire da una cosa banale come la traslitterazione dell’arabo. Ci sono almeno 10 modi diversi di scrivere il nome Mohammed, ogni Paese ne usa uno diverso, e i terroristi ne approfittano per scomparire. Poi devono cambiare le regole: in Israele se un cittadino aderisce all’Isis perde la cittadinanza, se invece viaggia in Siria e torna in Europa, non succede nulla. Dobbiamo difendere la democrazia europea da chi vuole distruggere la democrazia».

Ha parlato più volte delle scuole come anello cruciale, perché?
«A Manchester, come a Parigi con il Bataclan, si è voluto punire lo stile di vita occidentale, ed è uno degli effetti della radicalizzazione sostenuto, ad esempio, dall’Arabia Saudita, che froma gratis insegnanti e predicatori da tutto il mondo per poi rimandarli in Occidente a diffondere il radicalismo islamico».

Secondo lei chi sta facendo qualcosa di concreto in Europa?
«L’Ungheria e la Polonia».

Con i muri anti migranti?
«Questi Paesi monitorano tutti gli ingressi e i musulmani non sono così liberi».

Ma così non si rischia di punire anche i musulmani moderati e i rifugiati?
«La Turchia, il Kuwait, l’Arabia Saudita hanno preso parte alla distruzione della Siria, sono loro a doversi prendere carico dei rifugiati. L’Europa non ha fatto nulla, perché deve sostenere lei tutto il peso? Poi, i rifugiati sono in gran parte musulmani, sarebbe più facile per quei Paesi assorbirli».

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Medio Oriente, le (due) parole non pronunciate"

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Davide Frattini

Nelle prime trenta ore dedicate a quello che considera l’«accordo del millennio» Donald Trump è riuscito a non pronunciare mai la formula «soluzione dei due Stati» e a non dover rispondere della promessa fatta in campagna elettorale: l’ambasciata americana per ora resta a Tel Aviv. Del vagheggiato spostamento a Gerusalemme non gli ha certo chiesto conto Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, che ha spremuto tutte le energie diplomatiche per evitare di indispettire l’ospite americano. Fino a scegliere con i consiglieri del presidente la sala semi sotterranea dell’Israel Museum come scenario per il suo discorso. La Knesset — pare — sarebbe stata troppo insidiosa, il comportamento dei parlamentari imprevedibile. Trump ha ripetuto molte volte la parola «pace». Haaretz — il quotidiano della sinistra israeliana — fa notare che le ha ridato un’enfasi che sembrava perduta. Soprattutto ha esteso la possibilità di «pace» a quasi tutto il Medio Oriente, in Israele ha ribadito il suo piano per la regione: un’alleanza con i Paesi arabi sunniti, anche quelli che per ora non hanno relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico, in chiave anti-iraniana.

Così ha già cominciato a smantellare la dottrina del predecessore Barack Obama, che aveva costruito le sue mosse attorno al coinvolgimento nelle questioni mediorientali del regime di Teheran. Per Netanyahu, commentano gli analisti, è come risposarsi dopo otto anni di un cattivo matrimonio. L’intesa pensata da Trump dovrebbe rappresentare l’avanguardia contro il terrorismo. Anche ad Abu Mazen ha chiesto di agire perché «la violenza non sia tollerata, finanziata e premiata». Con il presidente palestinese parla del possibile accordo di pace, ancora una volta senza dettagli, senza neppure indicare come far ripartire le trattative dirette con Netanyahu ibernate dall’aprile del 2014. Come fumosa sembra la strategia di Jared Kushner, incaricato di seguire la questione. Scrive l’agenzia Reuters in un commento: «Se il genero ha un piano, per ora resta segreto».

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