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Ugo Volli
Cartoline
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Un presidente davvero americano 23/05/2017
Un presidente davvero americano
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Donald Trump al Muro occidentale

Cari amici,

non essendo fornito di telepatia, di intercettazioni fornite da qualche giudice in cerca di pubblicità o della fervida immaginazione che i giornalisti cialtroni di moda oggi impiegano contro i politici che danno fastidio ai loro pregiudizi (Trump innanzitutto, ma anche Renzi in Italia, Netanyahu in Israele eccetera), non sono in grado di dirvi come siano andati davvero i colloqui che il presidente americano ha avuto in Israele e prima in Arabia. Conosco solo le dichiarazioni pubbliche, i gesti, i discorsi e le immagini. Mi sembrano però sufficienti a confermarmi la mia opinione sul personaggio e su quel che è successo.

La prima cosa è l’immagine di Trump. Il giornalismo spazzatura dei media americani, capeggiati da quell’ex “grande giornale” trasformato in versione americana del “Manifesto” (o se volete da press agent della signora Clinton) che è il New York Times, ha diffuso nel mondo la convinzione che il nuovo presidente americano fosse un pagliaccio, un incapace, un deficiente, una persona inaffidabile incapace di intendere e di volere, oltre che naturalmente un venduto alla Russia e un avventuriero alla ricerca di denaro. Be’, non è così. Non si conquista e non si gestisce una grande ricchezza come la sua senza essere lucidi e ben presenti; non si passa attraverso il terribile processo di selezione di un candidato alla presidenza degli Usa contro la volontà del vertice del suo partito senza essere forniti di tenacia e capacità strategica, non si vincono le elezioni contro tutta la stampa se non si è in sintonia con le idee prevalenti nel popolo americano. Semplicemente Trump vuole rovesciare la politica fallimentare degli ultimi otto anni (e anche di più) e l’ideologia che la sostiene e sta sperimentando i limiti della sua possibilità di mettere in atto le sue idee, scontrandosi con lo “stato profondo” americano che lo circonda. Questo spiega le incertezze, le marce indietro, le dichiarazioni contraddittorie che vengono dalla Casa Bianca. Trump non fa quel che vuole, ma quel che può; tutto intorno gli tendono trabocchetti, remano contro, cercano di annullare e deformare le sue innovazioni. Ma lui prosegue, perché sa qual è il suo mandato; per farlo cerca di sparigliare il gioco, di aprire nuovi fronti, di spiazzare i nemici che dovrebbero eseguire la sua politica e vogliono invece continuare con la linea di Obama.

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Lo si è visto benissimo in questo viaggio in Medio Oriente. Trump ha detto delle cose che sono ovvie per qualunque persona informata e di buon senso: che il terrorismo oggi è quasi esclusivamente islamico, che i paesi musulmani hanno l’obbligo di combatterlo, che i nemici principali dello status quo (cioè della pace) in Medio Oriente sono due, cioè l’Isis e l’Iran coi suoi satelliti, che vanno combattuti tutti e due, che Hezbollah e Hamas sono terroristi, che Israele è il migliore alleato per gli Stati Uniti e gode di uno speciale affetto nel cuore del popolo americano. Sono cose che qualunque presidente normale avrebbe detto, magari con meno calore e convinzione personale, magari senza andare lui e la famiglia al Kotel, comportandosi con tutto il rispetto religioso che il residuo del vecchio Monte del Tempio merita agli occhi degli ebrei; magari non dicendo proprio in faccia ai capi di stato arabi che devono smetterla di chiudere gli occhi di fronte al terrorismo. Ma non c’è dubbio che Reagan avrebbe fatto lo stesso. Non però Carter e soprattutto non Obama, non quella parte consistente della società politica, giornalistica e intellettuale dell’America e dell’Europa per cui l’odio per i nostri valori è un merito e l’autodifesa dell’Occidente è un abominio. Per questo odiano Trump, perché è un presidente americano, che difende gli interessi e i valori dell’America e dell’Occidente, perché non si inchina davanti ai re musulmani come faceva Obama, perché sua moglie non si vela come hanno fatto Mogherini e Merkel di fronte ai leader iraniani, perché non avrebbe fatto velare le opere d’arte della Casa bianca come ha fatto l’Italia di fronte agli stessi leader, perché ha dignità e coraggio.

La visita in Israele è andata nello stesso modo, segnata da un amicizia e da un affetto che Israele non sentiva da tempo. E’ un momento importante per lo stato ebraico e per chi difende la libertà: la conferma di avere un amico alla Casa Bianca, benché scioccamente diffamato da giornalisti, politici e intellettuali di sinistra. Non vi sono stati fatti eclatanti, almeno a quel che se ne sa al momento in cui vi scrivo, anche se se ne attendevano. Ma, come vi dicevo prima, Trump deve fare i conti con l’opposizione sorda del Dipartimento di Stato, del Pentagono, dei giudici, dei servizi segreti, dell’establishment politico, di una stampa che prosegue la campagna elettorale e che è al 90% contro di lui. Io mi sono fatto la convinzione che ce la farà, che riuscirà a cambiare l’America, a farla uscire dalla palude masochista in cui l’avevano piombata decenni di indottrinamento socialista e antioccidentale delle università (già denunciata negli anni Ottanta da quel gran libro che è “La chiusura della mente occidentale” di Allen Bloom), con il risultato di formare generazioni di personale politico e mediatico. Ancor più di qualunque atto politico, è importante che questa tendenza suicida cambi, che la coscienza di sé, dei propri meriti e dei propri doveri di fronte al mondo trovi di nuovo espressione nel vertice degli Stati Uniti.

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